•Capitolo 13•
/Jackson\
Lascio scendere per primo Adam dal pick-up, sospendendosi con il palmo sullo sportello, guardando la struttura della palestra.
Definirla tale forse é un tantino esagerato.
Sembra un magazzino in mattoni rossi con un portone verde bottiglia, e solo strada nei dintorni oltre il parcheggio.
Richiudo il mio con un tonfo secco, portandomi il borsone blu sulla spalla sinistra.
«Sei sicuro che sia questo, il posto?» Domanda stranito, corrucciando le labbra in una smorfia sbieca, soffermandosi con lo sguardo verso i bidoni della spazzatura, quasi ricoperti da sacchi d'immondizia accatastati sopra, dove l'odore fetido e marcio, ci colpisce di più ad ogni passo.
Non rispondo alla sua domanda, poiché sospingo la maniglia nera del portone, e una luce alogena abbagliare le nostre figure.
Sento Adam a pochi passi dalle mie spalle, mentre mi guardo intorno. Sembra che nessuno si sia accorto di noi, poiché sono tutti intenti nella loro attività.
Il rumore di ganci che cigolano, sospiri tesi e rilasciati a contornare la puzza di sudore e cuoio tra le pareti grigie.
I sacchi neri disposti in fila e distanziati, dove ragazzi si allenano, facendo smuovere il pesante sacco che ondeggia ad ogni pugno assestato con controllo e sapienza.
Al centro un ring quadrato, dove i quattro lati sono assicurati da paletti che sostengono le quattro corde rosse, bianche e blu che lo delimitano.
Un brillio si accende come luce ad intermittenza, nelle mie iridi.
Il ragazzo con delle freccine scuro di carnagione, compie un movimento semicircolare, aggirando la guardia e colpisce l'avversario con un gancio destro che va a sferzare contro la mandibola, mandandolo a sbattere lateralmente contro le corde, come un rimbalzo.
L'avversario dai capelli rasati, si protegge con i guanti ravvicinati, cercando di riprendere l'equilibrio precario, mentre il ragazzo con le treccine, attacca con una raffica di pugni sull'addome, e nel momento che il ragazzo rasato si lascia colpire, compie una rotazione della gamba, facendo ricadere il ragazzo con le treccine che viene immobilizzato dalla morsa intricata.
Faccio un salto, quando sento il portone chiudersi con un tonfo battente dietro le nostre spalle, e un ragazzo tirami una spallata, per farsi spazio senza degnarsi di scusarsi.
«Non sai chiedere, permesso?» Gli intimo sprezzante e duro, vedendolo fermarsi sul posto, girato ancora di spalle e ora fa una mezza torsione, lasciando ricadere il borsone sul pavimento di linoleum come peso morto.
«Come scusa? Ce l'hai con me?» S'indica divertito, sogghignando con le labbra che formano una virgola innalzata.
Avverto la mano di Adam poggiarsi sulla mia spalla, come ad invitarmi di non rispondere, ma lo scosto malamente ruotando la spalla in avanti, come il passo che faccio verso faccia di virgola.
«Si hai capito bene. Con te.» Avanzo spavaldo, digrignando con disprezzo-come le parole ruvide- i denti, verso di lui, che non muove un solo muscolo.
Finché non scoppia a ridere come sfottò, e mentre penso di poterlo stendere con un gancio sinistro, si muove sicuro in un unico saltello di gambe, immobilizzandomi entrambi i polsi dietro la schiena, dove gemo e gonfio il corpo con i respiri, per divincolarmi dalla stretta.
Fletto la gamba all'indietro, circondando con la caviglia la sua, e in uno scatto, ci ritroviamo a terra, dove un pugno arriva dritto e dolente, sul mio zigomo.
E cazzo, fa male, porca puttana.
Fa un male cane.
Sento il mio gemito acuto fendere il silenzio interrotto solo dalla cacofonia di rumori degli attrezzi, e Adam invocare il mio nome.
Invocare, ma chi cazzo sono? Dio?!
No, un coglione che si é fatto stramazzare al suolo, dove sono ancora spiaccicato.
Capto il corpo soddisfatto del ragazzo rialzarsi, e riprendere il borsone che giace a terra come me, riportandolo sulla spalla.
Credo che si stia allontanando ma si ferma di nuovo, avvicinandosi e acquattandosi sulle ginocchia.
«Ti do un consiglio, Fox, la prossima volta pensa di più, parla di meno, agisci in fretta.» Mi consiglia come un avvertimento da amico, ma talmente detto con un sorriso da scherno, che vorrei davvero rinfocolarmi e metterlo al suo posto.
E invece gli lancio solo un'occhiata con le iridi velate di rabbia compressa, poiché sento distintamente la voce del capo della palestra, chiamare faccia di virgola, detto: Samuel.
«Arrivi dopo due mesi, a cui avrai ponderato come uno stitico che non caga da giorni, e ti fai già un livido.» Cazzo! Fanculo! Deridetemi pure dementi. E si, si che alcuni ridono sommessi, altri invece sono immersi nelle loro azioni.
Mi rialzo su mezzo ammaccato, prendendomi il mento con l'indice, mentre il pollice va a massaggiare la parte dolente.
«Incidente di percorso.» Minimizzo irritato, mentre Adam si avvicina, grattandosi un punto impreciso della fronte.
Vedo le iridi marroni che virano al cioccolato fondente, dell'allenatore, indagarmi a lungo, mantenendo una postura rigida e dritta come una spranga di metallo.
«Non si chiamano incidenti. Non lo sono mai. Si chiama piuttosto: Coglione pieno di rabbia, che cerca rogne nella mia, palestra.» Sottolinea Mia, con talmente tanta potenza come il tono vigoroso, che vorrei imprecare ancora per maledirmi, ma invece lascio ricadere mollemente la mano, lungo i fianchi.
Sospiro mortificato, perché non era certo questa la prima impressione che volevo fargli.
Vorrei aggiungere qualcosa, forse addirittura scusarmi, invece la sua voce plana ogni mio tentativo.
«Seguimi.» M'intima netto, e come un soldatino mi allineo dietro la sua stazza ampia, seguito da Adam.
«Ah Samuel.» Richiama faccia di virgola con un tono secco, e il ragazzo si volta, rilegando le mani con le fasce.
«Si, Coach.» Ribatte come un militare che aspetta l'ordine che gli impartiranno i superiori.
Noto di profilo il sorriso che stende le rughe del Coach, e credo che non preannunci niente di buono.
«Fai 300 flessioni, subito. La violenza la voglio su quel Ring -Punta l'indice squadrato verso il campo di battaglia, con una voce che farebbe rabbrividire anche un orso bruno- Non ammetto pugni al di fuori.» Conclude assertivo, riprendendo a camminare, per avviarsi verso una porta marrone ciliegio che apre, lasciando entrare me.
«Lui, sarebbe?» Si sospende con il corpo vicino allo stipite, analizzando Adam che ribatte prontamente con voce molle.
«Un suo amico. Adam Spencer.» Noto che innalza un sopracciglio brizzolato, come i capelli in un taglio ad onda laterale, studiandolo.
«Sei qui per cosa, esattamente?» Impreco e prego che non dica per allenarsi, poiché se lo scoprisse Sky sarei un uomo senza più attributi. Il che sarebbe un peccato, dato che vorrei affondare nella sua morbidezza calda e avvolgente. Cristo, se lo vorrei.
Ma uccido subito il pensiero nel vedere le iridi nocciola di Adam supplicarmi di aiutarlo nel quiz.
«Mi ha accompagnato. Niente di che.» prendo parola io con tono incolore, e lo vedo annuire, fino a lasciar passare anche Adam, richiudendo la porta oltre le nostre spalle.
Spiega una mano in avanti, per indicarci di sederci sulle due sedie di plastica bianche, come quelle che trovi fuori ad un chiosco, e nel mentre che fa il giro della scrivania mogano, mi guardo intorno.
Qui le pareti sono rivestite con assi di legno ciliegio, quadri di lottatori famosi. Medaglie che ciondolano dalle coppe d'oro disposte su uno scaffale bianco. Nessun quadro di famiglia, niente che possa parlare della sua vita privata.
E una foto, attira la mia attenzione. Una che mi fa schizzare il cuore in gola, dove il respiro si blocca. Il sangue sfrigolare come lava bollente nelle vene. La pelle accapponarsi.
I muscoli tendersi. E le pupille risucchiare tutto il verde dell'iride, paralizzandomi su questa fottuta sedia.
Poiché vedo il coach più giovane di qualche anno, con un sorriso e il braccio intorno al collo di Kyle.
Boccheggio in cerca di respiro, e non sento neanche Adam che mi picchietta il braccio con le dita. Sono un corpo rigido, dentro molle.
Il sudore imperla la fronte, gira la testa. Gira la stanza. Le pareti si animano. Il sole fuori attraverso i vetri mi colpisce come una torcia.
Sono un assassino sotto torchio.
"Lasciami guidare, Kyle. Ti prego." Rimbomba tra le pareti marce dei ricordi, con violenza inaudita.
Mi acceca. Mi accecano quei fari. Tremo. È un treno che arriva di corsa e ti schiaccia su i binari, portandoti a morte certa.
Lo schianto. Sobbalzo. Grido.
«Kyle.» Urlo affranto, e non mi rendo conto che non sono più in quel pick-up rosso. Che tra qualche mese compirò ventidue miseri anni in cui lui non sarà con me.
Ma mi trovo qui. In questo ufficio, in questa palestra, con l'uomo che conosce mio fratello.
Mi volto con lo sguardo inebetito, spaesato, verso il coach, che tiene una mano racchiusa in un pugno dentro un palmo, e i gomiti puntellati sulla scrivania.
Il volto accentuato da rughe di espressione mortificate, strusciandosi con i pollici il naso aquilino.
«Non lo sapevo. Avevo dei sospetti. Quando ti ho visto, mi è sembrato di vedere un fantasma, e ho avvertito un gancio al cuore. Braveheart è stato il miglior lottatore che abbia mai avuto l'onore di addestrare. Di vederlo combattere con grinta, ferocia, contro lottatori famosi. Sarebbe dovuto concorrere alle nazionali, quest'anno. Si era preparato così costantemente...con tenacia, e...» Si blocca come la sua voce estasiata che trema alla fine, come il mio cuore che cessa di battere.
Morirò. Morirò e ti raggiungerò fratello mio. Non sarai più solo, tu...tu non sarai mai solo.
Porto una mano gelida, chiusa in un mezzo pugno sulle labbra che tremano violentemente, e sento le iridi velarsi e appannarsi di quella consistenza liquida, che non voglio che scenda. Non deve.
E non mi accorgo neanche che Adam mi accarezza la spalla, alza il mento verso il coach silenzioso come me, in un cenno di saluto, e la porta si richiude debolmente, calando nel silenzio gelido, atroce, amaro.
«Quindi suppongo, sappia che è mio fratello.» Fisso il pavimento di linoleum lievemente polveroso, parlando di Kyle al presente. Come se lui fosse ancora lì. Forse ha preso il posto di Adam sulla sedia vuota. Magari ora è con noi, ad ascoltare silenzioso i nostri discorsi.
«Mi ha parlato molto di te. Sempre solo cose belle, Jason.» E adesso so come ci si sente, quando la morte ti porta con se.
Jason. Jason. Jason.
Lo ero per lui.
«Jackson.» Maciullo con disprezzo il mio nome, sibilandolo tra i denti serrati in una voce cavernosa che non riconosco nelle mie corde.
Questo mutismo mi trapana l'udito.
Ho bisogno di evadere.
Struscio con violenza le gambe di plastica sul pavimento, e come un robot mi alzo, per avviarmi alla porta.
«Aspetta, Jackson.» La sua voce frettolosa, sembra una preghiera. Una supplica di fermarmi e dargli una chance.
Sento il peso della felpa dell' Adidas sulle mie spalle appena ricurve.
Lo sguardo che fissa il vuoto, e non so se riportarlo verso di lui, o eclissarmi.
«Ti voglio qui. Voglio allenarti, imparare a trasformare la rabbia in potenza. In capacità. Velocità e riflesso. Dammi una possibilità. Lui ti somigliava tanto, e sarò sempre fiero dell'uomo che è stato. Dimostrami che avete lo stesso fegato. Lo stesso sangue. La stessa dedizione. Combatti come se esistessi solo te e i tuoi demoni, Jackson. E sarà lì che sconfiggerai le paure.» Le stesse parole che Kyle mi disse con orgoglio e una punta di tristezza ancorata. Un brivido congelato, si libra dietro la mia schiena ampia, arrivando alla nuca dove i peli dei capelli si drizzano, mentre sono ancora voltato di spalle.
È lui che insegnò tutto a Kyle. Io che ammiravo la sua precisione, e mi ripetevo "Da grande sarò come Kyle. Indistruttibile."
Sono distrutto invece, ma il mio corpo no, purtroppo lui resiste agli urti.
«Domani alle 6. Ti aspetto, e se non ti vedrò entro le 6.30, saprò che avrai preso la tua decisione. Se sia giusta o sbagliata lo saprà dire il tuo cuore.» E come l'ultima volta, dopo le sue perle, stringo la maniglia d'ottone che cigola sotto la forza del mio palmo che suda, e richiudo la porta con un tonfo secco, avendo già in mente la mia decisione.
Ma amo far restare la gente sulle spine.
Amo essere silenzioso.
Ancor di più onorare Kyle, e portare a compimento, ciò che lui non ha avuto il tempo di terminare.
Ciao donne cazzute...😎
Prometto che nel prossimo vedremo Sky 🌊
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