•Capitolo 12•
/Jackson\
Cosa mi succede quando sono in sua presenza?
Mi scatena impulsi di bisogno famelico.
Rinfocola la voglia assetata di spogliarla dalla castità, e venerarla con affondi precisi.
La immagino nuda. Bagnata. Calda. Pronta per farmi banchettare.
La immagino e mi tendo nei boxer.
Mi racconto frottole, per auto convincermi che seppur il suo vestiario non mi attizzi, il suo corpo senza quegli strati potrebbe fottermi la testa.
Voglio fotterla.
Ecco cosa mi macina nella mente, ogni sacrosanto giorno.
Mi sfida. Rasenta il mio filo di pazienza, che é in bilico.
Ho paura di cadere, e scivolare sul pendio del suo corpo.
Come sei nuda, Sky?
Una Dea dannata, dalla pelle di porcellana, costellata di efelidi graziose che costellerei di baci. Di morsi. Di leccate intense.
Mi arrovello il cervello, per saperla così.
Mi annienta con quella lingua tagliente, che vorrei incastrare tra i miei denti e succhiarla.
Poi penso ad Adam.
Cosa direbbe se toccassi sua sorella?
Cosa mi direbbe se sapesse che la penso in ogni posizione, disposta a farmi tutto.
Io sarei disposto a farla godere fino all'infinito.
Sarei implacabile.
Insaziabile.
Non m'importerebbe neanche di raggiungere il mio appagamento, se sapessi che godrebbe di me. Per me.
Dannata Dea. Sei dannata.
Devo togliermi dalla testa questa idea malsana che mi frigge.
Per questo la voglio evitare. Ma sembra che mi voglia esasperare, e istigarmi.
Non ho modo di sgusciare dalla sua testardaggine.
Ormai sono passati quasi altri due mesi, in cui continuiamo a punzecchiarci.
E mamma ha avuto la splendida idea di invitare lei e Adam alla cena di Natale.
Violet era entusiasta, lo vedevo nei suoi occhietti dolci.
Quanto ti amo principessa mia.
Io sono meno felice.Meno. Molto meno.
Avrei dovuto fingere la più totale indifferenza.
E sono anche due mesi, che penso al bigliettino.
L'ho sempre sul comodino, sotto l'abat-jour.
Non riesco a prendere una decisione.
Ma al ricordo delle sue parole, so che ha ragione.
Da quella volta al pub, ho slogato il polso ad un ragazzo del college, che aveva scritto -Succhiami il cazzo frocio- sull'armadietto di Adam.
Lo avevo visto mentre stava agitando la bomboletta verde sull'ultima parola, e non ci ho visto più.
Ha iniziato a correre come una lepre spaventata da un lupo.
Piangeva poverino.
"Chi é ora il frocio?" Gli ho sussurrato malevolo e sprezzante sul suo orecchio mentre il corpo vibrava, preso da spasmi di terrore.
Ed é stata una fortuna che la preside del college, mi abbia sospeso solo per una settimana, in cui per non farmi scoprire da mia madre, ho fatto straordinari da Bern.
«Ragazzo non puoi continuare così.» Sto aggiustando la batteria di una Jaguar XF.
La testa china sotto il cofano, e so bene che mi sta riprendendo con tono quasi paterno.
Come se più che il mio capo, volesse farmi da padre, quello che non ho mai realmente avuto.
Mi vede studiare.
Gli appunti che Adam mi passa dei corsi che frequentiamo insieme.
E come sempre é pentito, poiché anche lui é qui.
«Ha ragione Bernard. Infondo é la verità, sono omosessuale.» Butta fuori a fatica l'ultima parola, con un suono quasi metallico che trascina tra i denti.
Ancora non riesce ad essere convinto come vorrebbe, ma dentro di lui lo sa.
E io gli voglio bene così. Non lo cambierei.
Non mi frega niente. Lui é stato il primo a rivolgermi la parola, l'ultimo che sentirá la mía.
«Avete sinceramente rotto il cazzo. Sono sicuro che con il polso slogato, non potrà farsi le seghe per un bel po'.» Replico goliardico, per farli ridere e pensare meno a rimproverarmi.
So bene che non é un linguaggio da usare con il proprio capo, ma ormai siamo entrati così in stretto rapporto, che sembriamo conoscerci da una vita.
Cosí come con Adam, che si pulisce con il dorso la bocca, dopo aver dato una sorsata di Sprite.
«Questo é certo. Comunque da quando hai pestato Gaz, tutti cercano di trattarmi meglio. Credo che temono il tuo ritorno.» Ride di gusto a farmi quella confessione, e me ne compiaccio in parte.
Cosí innalzo le spalle, e sta per aggiungere altro, quando un rumore strimpellante e squillante di un clacson, non ci arriva oltre il portellone dell'officina.
So già a chi appartiene quel suono, e ne ho sopratutto conferma quando Adam riprende parola.
«É arrivata. Vuole per forza scegliermi l'abbigliamento per la cena.» Sbuffa annoiato, facendo oscillare la bottiglia in plastica di Sprite nella mano destra.
Guardo il lavoro fatto, fuoriuscendo con la testa da sotto il cofano, e punto subito le iridi verso la sua direzione, strofinandomi i palmi sul torace.
Se ne sta seduta in macchina, con un broncio sulle labbra, come se la infastidisse l'attesa.
L'essere qui, dove ci sono anche io.
Il sapere di essere fissata da me, che invece maschero un sorrisetto da bastardo catalogato.
Innalzo un sopracciglio, nel notare le sue dita affusolate, stringere maggiormente il volante in pelle, e sono sicuro che le sudano i palmi.
Il profilo mostra quanto sia contratta, come le spalle dritte e rigide.
«Che cena?» Domando incurante, continuando ad osservare lei, che dopo minuti, si volta fulminea verso di me.
Vedo le sue iridi azzurre, lanciarmi lampi e tuoni, rendendo il suo celeste una burrasca a cui non vi é riparo.
Vorrei sapere cosa le ho fatto.
«Adam, muoviti.» Sbraita inferocita, con un digrigno di denti, che la rende veramente sexy.
La bocca morbida, assume una linea dritta e appena piegata all'ingiù.
«Quella di Natale.» Sento replicare cristallino Adam, come a farmi intendere l'ovvietà.
«Te ne eri scordato?» aggiunge con un risolino divertito, mentre scuoto solo la testa, dove un ricciolo ribelle e madido di sudore mi solletica la fronte.
Come potrei dimenticarmene?
Dovrò sorbirmi i sorrisi dolci della tua adorabile sorella.
Quella che sembra un toro nell'arena, pronta a passare sotto la Muleta scarlatta.
Ci fissiamo e ci diciamo tutto nel silenzio, poiché l'espressioni e i colori delle iridi camaleontiche, svelano più di mille parole inutili.
Sa della rissa avvenuta al college.
Lo percepisco nel suo "non ti dirò grazie, per aver difeso Adam."
E invece dovrebbe elogiarmi.
E glielo confido anche, irrigidendo la mascella e affilando lo sguardo, passandomi la lingua sul labbro inferiore con lentezza.
Un gesto che le fa dilatare le pupille, e schiudere le labbra rosee.
Scivola come un'esaminatrice quelle iridi torbide, verso la mia tuta blu, sporca di grasso, rialzandole con un sospiro per leggere svogliata la mia risposta.
"Il tuo ringraziamento, mi sarebbe stato indifferente."
Ecco la mia risposta.
So che l'ha letta.
Perché vedo di sbieco, il suo medio sollevarsi in orizzontale, lasciando le alte dita intorno al cuoio del volante.
Vorrei ridere di cuore, per quanto mi faccia sempre girare come una ventola.
Ma riesco ad affondare i denti nel labbro, per resistere.
Saluto Adam con una pacca sulla spalla, e finalmente le ruote del maggiolino stridere sul terriccio ghiaioso.
Chiudo con uno scatto secco, il cofano, e nel preciso momento avverto gli occhi di Bern, fissarmi il volto, che resta di profilo a dove é lui.
«Bella ragazza.» Afferma lineare, conteggiando dei listini, con la calcolatrice sotto le dita.
Non capisco che voglia dire, ma non ho bisogno di ribattere, poiché ci pensa lui ad incalzare con un'altra frase.
«Quelle toste come lei, non sono adatte a tutti. E fidati di me, ascolta Adam, vai a quella palestra figliolo. La violenza non é mai la soluzione giusta. E lui sa difendersi da solo, o devi almeno imparare a fargli fare le ossa, o non riuscirà mai a farsi valere nel mondo.» Spiega così limpido e sincero, con quella voce appena roca nelle corde vocali graffiate, che ha centrato il tutto.
Ha centrato bene il mio stomaco, con un pugno da vero lottatore.
So che ha ragione su tutta la linea.
Specialmente su Adam. Sopratutto su Sky.
E il mio cenno di assenso come lo sguardo che gli getto come ringraziamento, lo fa intendere.
Fa scivolare appena gli occhiali sulla punta del naso a gobba e leggermente storto, osservandomi come a cercare sempre qualcosa che non troverà nessuno.
«Vai, per oggi hai fatto anche troppo.» Spiega rapido la testa di lato, verso il parcheggio, e gli restituisco un sorriso.
«A Domani Bern.» Lo saluto asciutto. Perché non so più essere pieno di euforia.
Non riesco a ringraziare se non con lo sguardo.
E non ho voglia di soffermarmi a capire sempre come devo moderare il tono di voce. Il modo di parlare.
Io parlo e spesso non penso. E quando penso riesco a ferire, per rafforzare l'armatura, che mi aiuta ad attutire la gentilezza e farmi rimbalzare l'odio che provo ogni giorno per chi sono, e per chi purtroppo rimarrò.
Ho ponderato sulla mia decisione per tutta la notte, tenendo le braccia flesse sotto la testa, come un secondo cuscino, e osservando il soffitto bianco abbellito solo da una piantana circolare bianca anch'essa.
Non sono riuscito a ricevere l'offerta di Morfeo, declinandola più volte, verso il crollo del precipizio per dormire.
Ho voluto gustarmi i bagliori lunari che filtravano dalla finestra senza tende ad oscurare la luna.
Andare?
Non andare?
Ho ripetuto quelle due domande, come se stessi staccando i petali da una margherita.
Poi come un richiamo, ho voltato metà viso, verso la foto di me e Kyle sulla scrivania.
Il suo sorriso limpido, era una sorta di incitamento.
Ho avvertito le mie iridi illuminare la stanza, e la sua voce parlarmi.
"il combattimento non é un divertimento Jason. É una conseguenza, di una lotta interiore che non ti lascia mai in pace. Tu non lotti contro il tuo avversario. Lotti contro te stesso. Contro il tuo cervello che scarica adrenalina, e cerca uno sfogo. Se trovi un motivo, combatti per quello."
Le parole che aveva detto al mio compleanno, ma le ultime non c'erano.
Forse stavo solo diventando pazzo.
Deliravo, come sempre.
La sua voce roca era melodia, e senza rendermene conto, allo sbattere le ciglia, una lacrima é scivolata a rigarmi lenta la guancia.
Si é gustata il mio volto plasmato dalla tristezza infinita, perdendosi tra la barba ispida che incorniciava il mento.
Ho sentito i bulbi bruciare come sale su una ferita aperta, che sanguina.
Non ho garze. Non ho punti, per fermare l'emorragia.
E ora che l'alba sta per cedere i suoi colori sfumati ad un cielo limpido che verrà abbagliato dal sole, ho finalmente trovato la mia risposta.
So che anche oggi sfoggerò le mie occhiaie violacee, come un nuovo marchio.
Le doghe del letto scricchiolano al mio muovermi, e mi alzo per andare verso l'armadio.
Ho riposto infondo, due scatoloni con tutte le cose di Kyle.
Sono oggetti che ho voluto tenere, perché anche se me ne fossi sbarazzato, non me ne sarei mai liberato sul serio.
Sarei stato solo ancora più marcio, di quanto mi senta adesso.
Mi acquatto sulle ginocchia, rovistando dentro il primo scatolone.
Le sue medaglie che luccicano, come le mie iridi nel ricordo di quando l'arbitro a fine, dichiarava la sua vittoria nelle regionali.
Gli metteva la fascia colorata intorno al collo, lui si portava sulle labbra il medaglione come simbolo di ringraziamento, e poi lo mostrava alla folla ululante.
Lettere di ragazze; già ho conservato anche quelle.
E poi finalmente tiro fuori i suoi guantoni da boxe rossi, dove trascinandoli con foga, cade anche un cd rilegato nella copertina trasparente.
Un brivido estasiato e malinconico, serpeggia la mia spina dorsale, nel toccarli.
Quante volte lo avevo visto allenarsi con questi. I gorgoglii che emetteva mentre colpiva il sacco con forza, inspirando ed espirando a labbra socchiuse.
Prendeva fiato e tirava ancora con precisione, facendo cigolare quel sacco.
I muscoli del petto che si gonfiavano, le vene del collo che pompavano.
L'espressione del volto incattivita, dove le rughe di espressione andavano a solcargli la fronte, quando aggrottava le sopracciglia scure.
I bicipiti prorompenti. Kyle era una forza della natura.
E poi come se sentisse i miei occhi, si sospendeva nella sua posa, pronto a sferzare ancora, e rideva di cuore.
"Lo so che stai guardando, pivello." Mi prendeva bonariamente in giro. Sempre.
E ora trovarli così usurati, segno di tante partite, tanto allenamento. Qualche sfregio dove la gommapiuma si intravedeva da sotto la pelle consunta.
Ne allungo uno verso le narici, inalando l'odore di pelle vecchia.
Le palpebre serrate forte, per imprimere solo il senso dell'olfatto, avvertendo quella morsa allo stomaco che ti riempie e allo stesso modo ti svuota.
Ricalco affascinato ogni piega che hanno formato, mentre i polpastrelli tremolano a quel contatto, come una connessione.
Forse mi sta osservando, ammirarli con ardore che fanno sfavillare i miei occhi.
Mi rialzo e come lo faccio, afferro anche il cd.
Non mi ricordo di questo. Non so che cosa contenga, poiché non c'è scritto niente con il pennarello indelebile.
Appoggio i guantoni sul piumone d'oca, perché la mia decisione sarà irremovibile.
Utilizzerò quelli e anche le sue fasce.
Voglio sentirlo con me.
Voglio che ammiri il duro lavoro che farò per combattere contro me stesso.
Mi annienterò. Mi disintegrerò. Probabilmente mi spezzerò, ma spero di rinascere.
Infilo il cd dentro la console, e mi siedo di nuovo sul bordo del letto, dove il materasso sprofonda appena, e aspetto che parta il video.
Appaiono delle strisce che tremano nere e grigie, e poi come un vecchio film a pellicola, sento la voce di Kyle, che mi fa sbalzare il cuore in gola.
"Tanti auguri a te, tanti auguri a te. Tanti auguri a Jason, tanti auguri a te."
Le voci si sovrappongono, tra quelle di mia madre e Kyle, e ora inizio a vedere le loro figure.
C'è Violet piccola che batte le manine, e si scuote sul seggiolone tutta contenta.
Sorride dolcemente, e ora ecco mia madre, che fa cenno a Kyle di spostare la telecamera verso di me.
Si nota quanto io sia restio, poiché faccio una smorfia contrariata e allungo un palmo per coprirmi il viso.
"Smettila Kyle." Lo intimo sbuffando, e lo sento ridere.
"Soffia quelle maledette candeline. Sedici anni, sei un bambinone." La sua voce che mi prende in giro con amore, mi fa stringere le labbra tra loro, e scuotere nel petto.
«Kyle» Lo chiamo tra i singhiozzi che mi rendono il respiro tratteggiato e me lo tolgono.
È così dolce sentire le lacrime che mi bagnano il viso e il collo, perché le posso donare solo a lui. Nel silenzio della camera. Nascosto dal mondo falso.
Tiro su con il naso, e rido nel vederlo ora inquadrarsi.
Mi viene dietro, scostandomi la mano, e con un ultimo sbuffo mi impegno a spegnere tutte le candeline, dove esultano.
C'è il momento in cui io e Kyle iniziamo a tirarci pezzi di torta con la panna addosso, sporcando le t-shirt e mia madre gridare che le laveremo noi con la lingua.
E quella dove Kyle mi getta le chiavi del pick-up suo.
"Ti insegno, ma se provi a toccare la mia macchina, sei fritto." Mi minaccia falsamente severo, portandosi l'indice e il medio verso gli occhi e poi puntandomi contro l'indice a mo' di avvertimento.
E rido. Rido di cuore nel vedermi impacciato, mentre se la ride anche lui, confondendo la mia risata di ora con la sua.
Il timbro caldo così uguale, invece nel video imprecavo perché si spegneva ogni volta che facevo un metro.
E allora rido ancora, tra le lacrime di gioia e tristezza, che mi inzuppano.
«Jackson.» Ingioio il groppo che ho in gola, e mi volto fulmineo, sospendendo con il telecomando il video.
Vedo Adam sulla soglia, mentre le sue dita stringono la maniglia d'ottone, e lo noto osservare il mio sguardo spaesato.
Sono bagnato di lacrime. So di avere il bulbo arrossato, le occhiaie come un drogato, e ha visto il video.
Lo so. Lo capisco da come abbassa appena il mento e lo sguardo sulle sue Nike.
«È...Era tuo frate...Si insomma...» Balbetta impacciato e fievole, mentre so solo chiudere un secondo le palpebre per esalare un sospiro pesante, e riaprirle, confessando.
«È morto in un'incidente sette mesi fa.» Pronuncio la frase con una forza che mi coagula il sangue nelle vene. Sento il peso della coscienza sporca. L'odio verso me stesso.
Tento di non vacillare con il tono, ma lui vuole cadere ripido, tramortendomi.
«Mi dispiace, non lo sapevo.» Ammette con aria afflitta, e scuoto la testa dove i riccioli mi solleticano la fronte.
«Non lo sa nessuno. Abbiamo cambiato città. Mio padre è morto anche lui la stessa sera, ma definirlo così sarebbe davvero esilarante.» Mi sospendo un attimo con una risata amarognola, che mi frizza sul palato, e punto il mio sguardo più severo e risulto verso il suo pieno di stupore e compatimento che odio vedere.
«Non voglio che lo sappia nessuno. Specialmente tua sorella, Adam. Mi fido di te, e te lo sto raccontando. Ma non guardarmi con compassione, perché se c'è una cosa che odio è proprio questa.» Sputo fuori grezzo e ispido quelle frasi, vedendolo annuire e venire verso di me.
«Hai deciso.» Mi fa notare con un cenno del mento, verso i guantoni, e capisco che vuole alleggerire in parte la tensione venutasi a creare.
«Sono i suoi.» Confesso con un sorriso che mi illumina il volto, e lui insieme a me, mentre si siede chinandosi in avanti con i palmi che sfrega tra loro.
«Sappi solo che non volevo vedere o ficcanasare.» Si scusa cupo, dove poggio la mano sulla sua spalla, per rasserenarlo.
«Accompagnami dai.» Lo incito ilare, facendolo balzare in piedi dalla sorpresa.
«Sul serio?» Domanda come se gli avessi fatto un regalo che desiderava da anni.
«Non fare la femminuccia che mi guarda con amore.» Lo derido affettuosamente, e sento il suo cazzotto arrivarmi sull'avambraccio.
«Vaffanculo Jackson. Muoviti a prepararti e fatti una doccia. Puzzi di putrefazione. Ti aspetto giù.» Mi grida e beffeggia, mentre sta già scendendo le scale e avverto insolitamente un peso in meno sul cuore.
Ecco dove ho fermato il video.
Su i suoi occhi uguali ai miei che mi sorridono.
Un sorriso che restituisco, con la pelle intorno agli occhi che tira per le lacrime essiccate, dedicate a lui.
Vado a lavare Jackson e torno eh...Si si...aspettatemi 🤤🤤🤤🤤
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