•Capitolo 11•
~•Sky•~
«Voltati, piccola Sky.» Sempre lo stesso ordine. La voce già impastata dall'eccitazione, che formicolava le sue papille gustative.
Ero seduta sul bordo del letto, i palmi serrati sulle ginocchia.
Mi aveva avvisata la sera prima, fingendo di volermi dare il bacio della buonanotte.
Mi ero coperta fin sotto al setto nasale con le coperte raffiguranti dei coniglietti, e la sua ombra che si stagliò oscura, insieme al cigolio sinistro della porta.
Chiusi gli occhi di scatto, facendo finta di dormire, ma lui lo sapeva che stavo fingendo.
Che dentro pregavo, urlavo, scalciavo per fuggire in una landa sperduta, pur di non cadere nell'oblio devastante.
Le mani strette in due pugni, lungo i fianchi di un corpo immobile. Quasi esanime.
Si, volevo credere di essere morta, ma il respiro che vibrava per uscire dalle labbra o dal naso, mi schiacciava il petto.
Il cuore che pulsava di paura viscerale, mi torceva lo stomaco.
Sentii la sua presenza avvicinarsi. La suola degli scarponi antinfortunistici scricchiolare sopra una mattonella traballante del pavimento.
Strizzai forte le palpebre, come darmi manforte, e non pensare al pizzicore che assaliva le narici, per salire verso il bulbo e spingere il condotto lacrimale.
Non piangere. Non mostrarti debole. Non gridare e non succederà nulla.
Ripetevo sempre la stessa litania.
Girava nel mio cervello come un carillon dell'orrore.
Finché il suo tanfo di whisky ed erba bruciata, non invase il mio volto.
Avrei voluto arricciare il naso a quell'odore graveolente, che sporcava quello del mio bagnoschiuma alla ciliegia.
Ma restai come un sasso di pietra.
«Domani mattina, indosserai il vestitino che abbiamo comprato oggi con la tua bella mammina. Compi quattordici anni esatti, mio adorato cielo. Sognami.» Sussurrò con quel tono rabboccato dall'alcol, facendolo ridere appena.
Potevo immaginarmi i suoi denti giallognoli, consumati dalla nicotina e storti.
Ma comunque non fiatai. Non finché la porta non si richiuse, e potei dar sfogo a quelle lacrime amare e brucianti.
Più volte avevo detto a mamma quando lui non c'era, che abusava di me.
Lei non mi aveva mai creduto.
Sentivo solo i suoi schiaffi sonori arrivarmi in pieno viso, come se io fossi il pezzo in difetto, della catena di montaggio.
A scuola ero l'emarginata.
La bambina diversa.
La strana.
"Rossana puzzi. I tuoi capelli arancioni puzzano."
"Tua mamma si è scopata mezza città. Mio padre l'ha vista succhiare il pene al direttore di banca."
Ridevano. Ridevano sguaiatamente. E io correvo, veloce, forte. Volevo dissolvermi come polvere nell'aria.
Il sole riluceva i miei capelli rossi. Lo odiavo.
Lo zaino pesava sulle spalle scarne, ma io continuavo anche fossi stata alla stregua.
Sarebbe stata una benedizione esalare l'ultimo respiro e morire tra le spighe di granoturco.
Stendermi sopra come un angelo, e morire bruciata dai raggi solari.
Ritornai con la mente nel mio incubo reale, quando lui riformulò più vigoroso e pieno,
«Voltati.» Tuonò come un fulmine che squarcia il cielo sereno.
E così feci.
Mi alzai come un soldatino, e feci una giravolta su me stessa, dove la gonnellina a ruota, si sollevo ad uno spostamento d'aria.
«Oh, mia piccola, dolce, verginella Sky. Quanto mi arrapi. Vieni dal tuo patrigno.» Sembrava perso nei suoi film porno che faceva ad occhi aperti, con quella voce sempre carica di desiderio sessuale, che mi ripudiava.
Lo volevo uccidere. Squartare.
Non avevo candele da spegnere. Regali da scartare. Desideri da esprimere, e poi soffiare.
Perché una volta che soffi dove vanno?
Volano lontani, e non tornano più.
Si prendono anche loro beffa di te.
Ti illudono di cose irreali.
Avanzai a piccoli passi, verso di lui, che sedeva stravaccato sulla sedia girevole, della mia scrivania.
Le braccia lungo i braccioli di plastica, e i polsi ciondoloni.
Ormai sapevo. Mi voleva in mezzo alle sue gambe divaricate.
Non volevo alzare lo sguardo.
Immaginavo che fosse solo frutto di una fantasia malata, e mi convincevo che una volta aperti gli occhi, fosse stato solo un maledetto incubo.
Ma non era mai così. Mai.
«Sbottonami i pantaloni, e fai correre giù la zip. Oggi non ti tocco, ti voglio fare un regalo. Farai il tuo primo lavoretto con quella manina di fata.» Rise come un mostro a quattro teste.
Sibillava compiaciuto. Gemeva fiero. Mentre io piangevo con la mano stretta intorno a lui.
Suoni gutturali che graffiavano il mio udito.
Godeva ad occhi chiusi.
E io continuavo a piangere silenziosa, sporcandomi sempre di più.
Offuscando il reale colore del cielo, solo del colore dell'ossidiana.
~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•
Erano tre settimane e poco più, che non vedevo Jackson neanche per puro sbaglio, fare irruzione in casa.
Ero quasi sicura che mi stesse evitando, e da una parte mi andava maledettamente bene.
Dopo la sua visita a casa mia, puramente casuale, non ci eravamo lasciati nei migliore dei modi.
Poi mi ricordai, che noi non ci eravamo mai dispensati parole di affetto reciproco.
Lui mi evitava.
Io lo odiavo.
Lui mi stuzzicava.
Io lo ricambiavo con la stessa moneta, puntandolo nel suo ego.
Però da una parte mi dava anche noia, e il non sapere perché mi faceva sentire frustrata.
Insomma se mi stava seriamente evitando, gli avrei teso un'imboscata.
Mi sarei presentata da Violet con due ore di ritardo, evitando di dirlo a sua madre.
Infondo i disguidi possono esserci, no?!
Ebbene sì. Jackson non si sarebbe rifiutato di evitarmi nuovamente.
Almeno uno "scusa" lo esigevo.
Benché forse non sarebbe mai avvenuto.
Sapevo solo che con Adam erano diventati buoni amici, ma non gli avrei mai detto, quanto la loro amicizia mi restasse indigesta.
Con tutti i bravi ragazzi, proprio con la canaglia Thomson.
Sento il trillo armonioso del forno, segnarmi che i biscotti sono pronti.
Noto Violet alzare le sue iridi luminose verso di me, e sicuramente il suo stomaco sta brulicando, sopratutto per l'odore piacevole che si sente della pasta frolla.
Ha colorato per tutto il giorno, e risolto equazioni matematiche, che non avrei saputo svolgere neanche io.
È molto intelligente. Lei mi parla con lo sguardo, e io ci vedo tutto lì dentro.
Io la conforto con il mio addolcito dalla sua presenza innocente, di non aver paura di ripiombare nella realtà.
Ma lei contorce sempre il viso. Non è pronta, e io la comprendo.
Dopo l'incubo di stanotte. Di ogni notte.
Ma la realtà ora mi fa un po' meno paura, mentre quando chiudo gli occhi tremo ancora, ritornando la bambina derisa.
Mi alzo dalla sedia, facendo il giro dell'isola in legno massello, e afferro due presine attaccate alle piastrelle rosa antico, aprendo il forno dove la scia di fumo e il sapore mi delizia le papille gustative.
Afferro stando attenta a scottarmi la teglia, e nell'esatto momento che mi giro, il profilo della teglia si scontra contro qualcosa.
Vedo la teglia oscillare dalle mie mani, e subito altre due, si apprestano con altre due presine, ad afferrarlo dall'altro bordo.
Sollevo lo sguardo e un sospiro compresso nel petto, si eleva dalla mia bocca arida, nel sapere che é lui.
L'odore dei biscotti purtroppo non copre il suo speziato, che si innalza tra noi.
Vedo i suoi muscoli contratti attraverso la maglia nera aderente, la mascella rigida, le labbra stizzite in una linea secca, fino a risalire nelle sue iridi.
Due pupille nere come palle di fuoco, che bruciano il verde pluviale che minaccia il mio cielo, nell'arrivo di una tempesta impetuosa.
«Che ci fai qui? » Sibilla a denti stretti, facendomi palpare tutto il suo disappunto e l'immensa voglia di non vedermi.
Sbatto le ciglia con innocenza, cercando di mollare la presa delle sue dita lunghe e forti che stringono il bordo opposto, ma sembra che non voglia mollare, come ad incatenarci.
«Biscotti» Replico con finta armonia, che mal combacia con il mio sguardo assassino e dispregiativo, verso colui che non si scompone minimante.
Lo noto socchiudere le palpebre, per esalare un respiro grottesco dove digrigna i denti, e in un attimo mi strappa dalle mani la teglia, sbattendola con un tonfo e mezza torsione del busto sull'isola di legno.
Potrei scappare, invece in un secondo, si rigira glaciale e intimidatorio, verso di me, che arretro e batto il fondoschiena contro il top di marmo, così freddo che devo inarcare la schiena a quel contatto.
Ancor più fredde sono le sue iridi che m'inchiodano, e vedo oltre le sue spalle che Violet sta salendo di fretta le scale.
Merda!
Mi lascia con il lupo.
«Non me ne frega un emerito cazzo dei cookies, ti ho chiesto che ci fai qui. A quest'ora della sera. Il tuo orario é un altro. » Ecco. Qui ti volevo Thomson dei miei mocassini.
Allora mi stava evitando, poiché si era premurato anche del mio orario lavorativo.
Coniglio, altro che lupo.
Patetico.
Prevedibile.
Come tutti gli uomini, senza palle.
E poco mi frega del suo tono contrariato come le linee che solcano il suo volto bastardamente affascinante.
«Ho capovolto il tuo mondo? Messo in crisi la tua routine? Come mi dispiace. » Lo beffeggio con goliardia che fa trapelare la mia voglia di punzecchiarlo con tono falsamente dispiaciuto, mentre le sue iridi si scuriscono maggiormente.
Vedo le sue sopracciglia corrugasti all'ingiù, formando due linee nette tra di esse, che lo rendono ancora più temibile.
«Cosa vuoi da me? Eh? Se é quello a cui stai puntando da un mese e poco più, spiacente ma non lo avrai mai.» Mi schiaffeggia in viso, con quell'affermazione e convinzione che mi lasciano solo per un secondo attonita.
Solo, perché poi ritrovo la mia sfacciataggine.
«Peccato informarti che il tuo bruchetto consumato, non lo ficcherei nelle mie grazie, neanche dopo millenni di astinenza e voglia repressa. » Lo pungolo acida e con tono caldo, notandolo avanzare verso di me.
Ad un millimetro dal mio corpo, che avverte il calore del suo, e il freddo del marmo.
Due estremi che non si incontrano mai, e creano una fusione che scombussola il mio organismo.
«Sicura? Dimmi cosa vuoi.» Ricalca serio, accarezzando con sguardo sensuale e accattivante le mie labbra, che si schiudono magicamente, come comandate dalle sue iridi ipnotiche.
«Scuse.» Mormoro calda e sensuale, dando un atteggio sinuoso alle mie labbra, nel pronunciare quella parola.
Vedo le sue iridi mordermi con voracità il labbro inferiore, e con i miei denti lo afferro, gustandomi e facendogli assaporare il mio gesto lento nel succhiarlo e rilasciarlo umido.
«Saprei come zittire questa boccuccia irriverente. » Si avvicina ancor di più, soffiandomi sul volto accaldato, il suo respiro bollente, mentre sollevo piano i miei occhi che trovano a poco i suoi, puntati prima sulle mie labbra.
Ci leggo tutto. La voglia animalesca di alzarmi, spalancarmi violento le cosce. Scostarmi l'elastico delle mutandine, e sprofondare dentro la mia intimità calda, tenera e umida.
«Sono sicura che avresti modi molto interessanti, ma non avrò mai il tuo bruchetto. E ora caccia fuori le scuse, e so bene che mi stavi evitando, coniglio. » Gli confido aspra ma seducente la realtà dei fatti, mentre un sorrisetto tende la linea delle sue labbra carnose.
«Non avrai ne quello, ne...» Si sospende rauco un secondo, e lo vedo avvicinarsi pericolosamente al mio volto.
La punta del suo naso sfiora il mio, elettrizzandomi.
I suoi occhi ardono nei miei, e poi le sue labbra sfiorano il mio zigomo, scivolando sul lobo, e cerco di reprimere un ansimo voglioso, a labbra serrate.
«Le mie scuse. Non sono pentito, ho evitato solo di fotterti. » Rivela crudo e con tono avvolgente, da farmi tremare le ginocchia, e dover afferrare con le dita il bordo del top per non cedere.
Per soccombere a quel bisogno impellente che brulica nel basso ventre, e mi fa pulsare umido.
«Fottiti Thomson.» Riesco a pronunciare stizzita, mentre lo sento sorridere debolmente sul mio orecchio.
«Mi farò fottere con molto piacere. Stasera. Da una che non crede di averla d'oro.» Ribatte inorgoglito, per poi staccarsi lentamente, dandomi modo di sgusciare dalla sua prigionia, e avviarmi verso la mia borsa.
Non posso lasciargli l'ultima parola.
Non di come ribattere.
Ma devo farlo.
Ormai é questione di principio tra noi due.
«Chissà se esistono i condom extra, extra-small. Fammelo sapere, non vorrei che scivolasse via mentre tenti di dare piacere ad una fica sfondata.» Dio. Meno male che Violet non é nei paraggi. Il mio linguaggio rabberciato é andato a farsi benedire, e sono tornata per attimi la Sky che non voglio più vedere, ma che purtroppo anche con dei vestiti diversi, sono.
E detto ciò sento la sua risata Argentina, mentre sopprimo la mia e mi sbatto la porta dietro le spalle, vedendo dalla finestra di cucina, attraverso il giardino, Jackson mangiarsi un biscotto.
Lo noto socchiudere gli occhi, e rimango ferma nel mezzo del giardinetto, a pochi passi dalla macchina.
Terribilmente bello, che non mi accorgo che ora mi sta guardando e con la stessa intensità, si porta prima l'indice e poi il medio dentro la sua bocca peccaminosa, leccando via le briciole.
Un'immagine che mi fa sciogliere il basso ventre, e immaginare quella lingua dove non si poserà mai.
E come sempre l'ultimo gesto lo faccio io.
Sollevo il medio, succhiandolo con una suzione sfacciata dentro la bocca, per poi lasciarlo scivolare lentamente fuori e mostrarglielo, correndo verso la macchina con soddisfazione.
Ben tornata Sky.
Secondo me, i biscotti erano buoni 😂 ha lasciato le briciole alla povera Violet.
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