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Thirty

Ospedale di Londra, 31 Marzo

Mio dolcissimo Jared,
Oggi sono quattro mesi che non ci parliamo.
Precisamente, 151 giorni e 3.624 ore.
Sono le undici e quarantatrè minuti.
Sono stesa su uno stupido lettino di uno stupido ospedale con attaccato al braccio una stupidissima flebo.
Faccio fatica a respirare.
Sento questo enorme macigno sul petto, e ogni minuto che passa è un minuto in più che mi avvicino al momento tanto atteso.
La mamma è appena uscita per prendere un tè, o perlomeno qualcosa che la tenga sveglia.
Mi è stata molto vicina in questi ultimi due giorni. Negli ultimi due giorni della mia vita.
I medici dicono che ho il 30% di probabilità di sopravvivere al trapianto del midollo.
Hanno trovato questo ragazzo del mio stesso gruppo sanguigno, e aspettano solo che io firmi per dare il via all'operazione.
Avendo compiuto i diciotto anni, sono del tutto padrona di me stessa.
La mia vita è nelle mie mani.
Non in quelle di Sarah, di mio padre-che stranamente si è presentato, e ora è fuori, nella sala d'aspetto- oppure in quelle della mamma.
Sono io a decidere.
Sono io che creo il mio futuro.
Ma vedi, io non lo voglio un futuro.
Non voglio un domani, un prossimo Natale, o un prossimo giorno di compleanno.
Non voglio illudermi di aver trovato la risposta ai miei problemi.
Io non voglio più vivere.
Sono stanca, talmente tanto che faccio persino fatica a tenere la penna nera fra le dita.
Sento le forze venirmi a meno, ma devo essere forte.
Voglio resistere ancora qualche minuto, giusto per finire di scrivere questa lettera.
Voglio usare i miei ultimi minuti per te.
Partirò dal principio.
Fin da piccolo hai sempre dimostrato una certa protezione nei miei confronti.
Oltre ad essere il mio migliore amico, sei sempre stato quella sorta di fratello maggiore che non ho mai avuto.
Sei cresciuto trattandomi come se fossi l'unica donna nella tua vita, e mi è sempre piaciuto essere la tua piccolina.
Ogni nostro momento insieme è impresso nella mia mente.
Ricordo che a 7 anni volevo fare la veterinaria, e allora ti sei procurato uno stetoscopio, e mi hai messo sotto il naso un topolino morto.
Ripungnate, lo so. Ma allora era uno dei gesti più carini che qualcuno avesse mai fatto nei miei confronti.
A nove anni abbiamo imparato ad andare in bicicletta, e cadendo ci siamo sbucciati le ginocchia.
A dodici anni abbiamo iniziato le medie. Un momento terribile per entrambi.
Avevamo l'apparecchio fisso ai denti e gli occhiali a forma di fondo di bottiglia.
Eravamo ridicoli, ma ci siamo sempre voluti bene.
A tredici anni mi sei stato vicino quando i miei si sono separati.
C'eri persino quando Greg Wilson mi ha scaricata, e ti sei occupato personalmente di lui.
Gli hai rotto un polso e slogato una caviglia. Per essere un tredicenne, picchiavi forte.
Ci sei stato persino quando mi è venuto per la prima volta il ciclo, o quando trattavo male tutti, persino te.
Ma tu c'eri. C'eri sempre.
A quattordici anni siamo andati in discoteca, e ci siamo presi la prima sbronza, nonostante nessuno dei due avesse l'età per bere.
Quella sera hai vomitato, e io dietro di te.
La mattina dopo avevamo un mal di testa allucinante. Però ricordo anche che mi hai detto che era stato bello, fare quella cosa con me. Mi hai detto che era bello condividere qualcosa, le prime esperienze.
Così abbiamo fatto la lista delle cose che non avevamo mai fatto, e che avremmo sicuramente fatto insieme.
A distanza di quattro anni abbiamo cancellato una sola voce della lista.
In seconda superiore abbiamo litigato per la prima volta. E per la prima volta ho capito quanto tu fossi importante per me.
A sedici anni abbiamo fatto l'amore.
Ti ho dato tutto di me, Jared, mi sono lasciata andare.
In quel momento ero tua. Era una cosa nostra, talmente intima...ma non era solo perché prima o poi l'avrei dovuto fare con qualcuno. Era perché quel qualcuno dovevi essere tu. Perché dall'anno prima mi ero presa una cotta allucinante, e quando ti stavo vicino mi tremavano le ginocchia.
A giugno abbiamo provato a metterci insieme, ma è stato a dir poco un disastro. Così abbiamo deciso di "essere solo migliori amici, come un tempo".
Mi andava bene. E a te pure.
Mi ricordo però che alla fine non siamo rimasti amici.
Ho lasciato che le mie paure prendessero il sopravvento, e mi dispiace. Ma mi hanno diagnosticato la malattia, e io avevo paura che mi avresti lasciata sola.
La sera del 31 ottobre abbiamo litigato, e tu mi hai detto che mi odi.
Volevo che lo dicessi, Jared, perché pensavo che facendomi odiare per te sarebbe stato più semplice accettare che me ne sarei andata di lì a poco.
Poi sono successe troppe cose insieme, e l'unico dettaglio essenziale è questo: tu non c'eri.
Non c'eri quando mi alzavo di notte e andavo a guardare le stelle.
Non c'eri quando piangevo, quando perdevo troppi chili, e troppo velocemente.
Non c'eri alle mie visite pomeridiane.
Non c'eri a raccogliere le mie lacrime, ad ascoltare le mie paure.
Non c'eri a strigermi in un abbraccio.
Hai smesso di esserci per me, semplicemente.
Ma va bene così.
So per certo che la mamma ti ha chiamato, già da qualche minuto, ma so anche che non potrò vederti.
Stai arrivando, Jared. Sento i tuoi passi nel corridoio, veloci e costanti.
E poi sento la tua voce. Stai urlando contro l'infermiera? Non prendertela con lei, Jar, le ho chiesto io di non far entrare nessuno. Men che meno te.
Mi stai chiamando.
Mi era mancata la tua voce.
È un perfetto, ultimo ricordo. Prima di andarmene, avrei tanto voluto risentirla.
Non importa se non posso vederti, io so che ci sei.
Sento i tuoi respiri, i tuoi singhiozzi. Sento le urla fuori dalla mia camera d'ospedale.
Mi stai chiamando, e Dio, quanto amo quando dici il mio nome.
Vorrei farti entrare, Jared, vorrei che mi baciassi la fronte, e che mi accarezzassi i capelli come solo tu sai fare. Solo per un ultima volta.
Non piangere, ti prego. Non versare una sola lacrima per me.
Quello che ti ho detto tempo fa vale ancora: qualunque cosa accada, qualunque sia la mia fine, sarai sempre e per sempre nei miei ricordi.
Non ti dimenticherò. Mai.
I tuoi occhi non li scordo, è una promessa.
Voglio morire con la loro immagine impressa nella mente.
Smettila di piangere, non urlare.
Dispiace anche a me, Jared. Mi dispiace così tanto.
Anche io avrei voluto passare più tempo con te.
Cosa? Mi ami?
Oh, Jared, anche io. Ti amo così tanto, e mi fa così male.
Solo che ora è troppo tardi.
Con infinito, smisurato amore,
Per sempre tua,

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