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The Doctor Too Many For Death

Non feci attendere Riko troppo a lungo.

Il suo laboratorio si trovava al livello sotterraneo più basso del Forte. Un tempo magazzino del supermercato che necessitavano di un luogo asciutto e fresco, ora l'immenso spazio era stato trasformato in un grande laboratorio medico super accessoriato.

Nonostante tutte le nostre migliori intenzioni ed i nostri sforzi, la maggior parte degli accessori erano malfunzionanti o rotti. Alcuni erano irreparabili e potevano essere utilizzati solo come pezzi di ricambio, altri avevano bisogno di un incredibile quantità di energia ed altri ancora necessitavano di parti nuove non facilmente reperibili.

Mi diressi direttamente all'ufficio, da dove normalmente la dottoressa dirigeva tutto il suo lavoro.
Nessun locale aveva porte, lusso inutile e scomodo, con il risultato che faceva decisamente freddo lì sotto.

Superai la soglia dell'ufficio ed entrai nel caotico mondo di Riko. Le pareti dell'ufficio erano coperte da mensole colme di libri, raccoglitori, cartelle, archivi, provette, alambicchi e altre incredibili quantità di ninnoli e attrezzature mediche, un turbinio disordinatissimo che rifletteva il caos che infestava la mente della proprietaria.

Al centro della stanza c'erano una serie di grandi scrivanie, affollate di registri e la dottoressa era intenta a liberarla riempendo uno dei tanti schedari.

Riko Mizuki era nata in America da genitori giapponesi ed era fuggita dalla distruzione del continente a causa delle radiazioni che seguirono la sequenza di fallout nucleari provocati dall'esercito per contenere l'infezione ormai incontenibile. Giunta in Europa, si era unita ad equipe diretta in Russia per studiare un possibile vaccino, ma qualcosa era andato storto. Quel che conoscevamo di lei terminava qua e come fosse diventata una Zombie era, per noi tutti, ancora un segreto.

Alta pochi centimetri meno di me, la sua carnagione era la più chiara del gruppo e la cosa le dava molto fastidio. A causa del contagio aveva perso tutti i capelli e ora indossava una parrucca che cambiava colore e acconciatura a seconda della giornata e dei gusti. Le sue origini spesso la tradivano con un accento inconfondibile, come unici erano i suoi lineamenti: naso delicato, occhi a mandorla, bocca dolce e labbra sottili.

Oltre ad avere la pelle più chiara, Riko aveva un altro primato nel gruppo: era la più stronza. Non che avesse mai in qualche modo reso la caccia più difficile o la avesse mai ostacolata, ma le sue richieste erano spesso fatte con toni fastidiosi e saccenti; a causa delle sue conoscenze mediche, inoltre, si credeva la più importante del gruppo.

«Eccomi, Riko. Cosa vuoi?» La donna era ossessionata dallo scoprire la natura del Virus e come questo riuscisse a mantenere i corpi in uno stato di fossilizzazione-elastica, in che modo la carne umana rigenerasse i tessuti, per quale motivo alcuni perdevano completamente le funzioni neurali e altri mantenevano un intelletto ed una coscienza.

Occhi neri e iridi rosse si piantarono su di me non appena parlai. «Che per una volta tu venissi quando ti chiamo!»

«Bene, sono venuto. Posso andare?»

«Cristo Enea! Sto cercando di trovare qualcosa che sostituisca la carne umana! Se capisco come funziona il Virus...»

«Lo so, lo so, Riko. Ma che altro ti serve scoprire? Siamo vivi perché eravamo malati!»

«Questo lo so! Ma TU non avevi alcuna malattia! Eri perfettamente sano!»

Un fulmine a ciel sereno. Un pugno sul naso. Uno spigolo contro il gomito.

Fino a quel momento credevo di aver avuto qualche malattia come gli altri, come il cancro che aveva fatto sopravvivere Dorian e Will. Come era possibile che io non avessi alcuna malattia?

«Ne sei sicura?» Chiesi a Riko.

«Non del tutto... per questo devo fare altri controlli! Una Tac ed analisi del sangue approfondite. C'è qualcosa nel tuo sangue, qualcosa che ti rende all'olfatto uno Zombie come noi. Il tuo stesso sangue aveva tracce del Virus, ma era come... inerte. Esattamente come negli umani resistenti al contagio.»

«Fammi queste dannate analisi.» Sbottai, levandomi il maglione e sedendomi sulla scrivania.

«Spogliati.» Mi ordinò Riko mentre appoggiava tre grossi raccoglitori sulla scrivania.

«A che cazzo serve? Devi farmi delle analisi del sangue!»

«Non soltanto quelle! La macchina della Tac è vecchia e non è molto precisa... i vestiti sono di troppo.» Mi informò. Si girò e mi guardò con aria maliziosa. «Che c'è? Ti secca che ti veda nudo? Tranquillo, la macchina funziona anche se sei eccitato...»

«Muori cagna...» Sibilai tra i denti.

«Di nuovo?» Replicò.

***

Terminati i dannati test, tornai in camera. Ero mezzo congelato, arrabbiato ed assonnato. Avrei voluto un po' do compagnia, ma Letia depressa era una fatica che avrei preferito evitare.

Non avevo voglia di fare nulla. Era la stessa noia-poca voglia che ti colpisce il lunedì quando torni a casa dal lavoro, oppure non hai da lavorare e non sai cosa fare. Sei talmente abituato a fare una cosa durante la giornata che se non la fai, non sai proprio come svagarti o riempire il tempo.

Rimasi in camera ad allenare i miei immaginari poteri telecinetici che purtroppo, rimanevano sopiti e confinati nella mia immaginazione. La pila di carte da ordinare, lì ormai da mesi, era destinata a restare lì ancora per lungo tempo.

Non avevo voglia di giocare con il computer, né di smontare qualcosa e neanche di pulire le armi. Men che meno volevo scendere per guardare qualche negozio o prendere qualche libro da leggere.

Dorian entrò senza bussare, come al solito.

«Will ha intercettato nuove comunicazioni provenienti dai bunker.» Mi informò.

«Quindi?» Mi alzai dal letto.

«Ieri un'altra centrale è esplosa. Questa volta in Cina.»

«Comico... proprio loro avevano fatto di tutto per spegnerle! Le leggendarie misure di sicurezza che in America hanno fatto cilecca non hanno funzionato un granché nemmeno lì.»

«Sembra si sia trattato di un... atto terroristico.»

Rimasi sbigottito. Atto terroristico? Gli umani non sarebbero così folli da condannarsi all'estinzione per ribellarsi ad un regime. Allora perché? Aveva sentito fin dall' inizio di pazzoidi che osannavano quello che veniva chiamato il "Vangelo della Fame", ma non potevo nemmeno immaginare persone contagiarsi volontariamente...

«Non capisco... Chi vorrebbe mettere in ginocchio l'ultima roccaforte della civiltà?»

«La Cina? Civiltà? Non essere stupido: era solo questione di tempo. Un paese di due miliardi di persone, quasi metà di queste si trovavano in tre centri colossali e negli immediati dintorni. Per quanto il governo militarista poteva mantenere l'ordine? Se non fosse stata la centrale nucleare, sarebbe stata la fame oppure il malcontento...»

Ottime argomentazioni: infatti non appena il problema si era profilato all'orizzonte, la Cina aveva chiuso i confini, erigendo mura, posti di blocco, bruciando intere città, minando intere provincie. Una mossa che aveva destabilizzato ulteriormente l'economia mondiale ormai condannata. Ancor prima il Giappone aveva adottato una linea di azione di chiusura totale, ma data la sua particolare posizione geografica lo aveva fatto con molto più successo. Altre isole avevano seguito l'esempio del Giappone e della Cina: embargo totale, coste inavvicinabili a causa delle mine subacquee e delle postazioni di artiglieria, così qualsiasi nave veniva abbattuta senza troppe remore.

Dalle informazioni raccolte fino a quel momento fino ad ora a resistere erano Cuba, Nuova Zelanda, la Gran Bretagna, il Madagascar, Il Giappone, l'Islanda e l'Irlanda erano le ultime roccaforti civilizzate dell'intero pianeta. Riserve di cibo sempre pronte a rifornirci insomma...

Dorian continuò «Ora di sbandati ce ne saranno moltissimi. La Cina non è molto distante...»

«Il Kazakistan è una distesa radioattiva, non credo che riuscirebbero ad arrivare fino a qui.»

Rimanemmo in silenzio per un po'. Lui guardava fuori dalla mia finestra. Io cercavo di sollevare la pila di scartoffie con i miei poteri mentali immaginari ed indurle all'autocombustione, inutilmente.

«Prima o poi dovremmo spostarci.» Sentenziò Dorian. Un'ovvietà che fino a quel momento avevamo cercato di evitare. «Dobbiamo cominciare a pensare ad un posto nuovo... un luogo migliore. »
«Dove? Torniamo di nuovo a caccia? A caso e senza meta?»

«La Cina è in ginocchio, è un'occasione da non perdere. Pensaci! Dopotutto le autostrade saranno deserte in questo periodo...»

Sbuffai: comicità da funerale.

«In ogni caso guidi tu... Ribattei serio.

«Senza scherzi... con cosa andiamo? Il camper? L'Hammer?» Cominciò lo Zombie e lo lasciai fare senza dargli corda. Solito di Dorian: pensare al futuro prima di tutto...

Continuò: «Dovremmo caricare la benzina, cibo per te, portarci un pasto per noi, vestiti, acqua... una sola non basterà. Dovremmo anche...» Si bloccò all'improvviso. Sul viso una espressione fredda e concentrata, che avevo imparato a conoscere.

«Quant'è lontano?» Scattai in piedi. Afferrai la tenuta da combattimento ed iniziai ad indossarla in fretta.

«La pioggia mi ha confuso i sensi, è vicino al parcheggio.» Dorian uscì a passi rapidi dalla stanza.

Con celerità, finii di indossare la tuta militare e l'attrezzatura, afferrai il fucile e seguii lo Zombie.

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