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Operation Overload

Passarono nove giorni prima che arrivasse un segnale di qualche genere.

Una notte, l'intera struttura sprofondò nel buio. Le mura non furono più illuminate a giorno ed urla e allarmi si levarono dall'interno della fortezza.

Azue ed io ci fiondammo verso la porta centrale che però rimase chiusa e si decise così di tentare la scalata.

Per quanto all'inizio sembrasse una cosa abbastanza fattibile, ben presto mi resi conto del mio grave errore di valutazione.

Arrivati nemmeno ad un decimo del percorso, la struttura presentava una lunga fila di terrazzi, impossibili da superare. Senza appigli o rampini di alcun genere la nostra meta sembrava irraggiungibile.

Decisi dunque per una mossa disperata: utilizzando tutti gli esplosivi a mia disposizione, tentai di crearmi un varco, facendo esplodere parte del balcone.

L'idea non fu totalmente sbagliata, in quanto almeno potei proseguire la scalata, ma non fu comunque possibile entrare. Dietro il muro di cemento, infatti, si trovava un ulteriore strato di acciaio temprato che formava l'ennesima barriera insuperabile.

Dalle piastre spuntavano delle piccole punte, sufficienti per permettermi la scalata e dovetti accontentarmi.

Ci mettemmo quasi due ore a scalare tutto il muro e quando infine raggiungemmo la cima per poco non svenni dalla disperazione. Dovevamo ancora superare un groviglio gigantesco di fil di ferro che copriva interamente ogni centimetro del tetto!

Fu una fortuna che uno dei soldati spalancò una delle finestre poco sotto di noi. Azue balzò, piantò gli artigli sul bordo e trascinò fuori quel povero disperato con una mano sola, stritolandogli il collo e lasciandolo poi cadere di sotto.

Finalmente potevamo passare!

La stanza in cui potevamo entrare era piena di soldati che aprirono immediatamente il fuoco contro Azue, ma una granata al fosforo sfoltì facilmente i loro ranghi. L'esplosione fu accompagnata da grida di sofferenza e poco dopo dal rumore di vestiti strappati e carne straziata.

Cercai di evitare di sentire i gorgoglii disgustosi che la ragazza Zombie produceva mentre inghiottiva avidamente i pezzi delle sue vittime e passai oltre.

Uscito dalla stanza, mi ritrovai in un corridoio poco illuminato. Con l'arma in pugno iniziai l'esplorazione e mi stupì del silenzio totale in cui era già piombato l'intero comprensorio.

Mi aspettavo urla e spari costanti, invece sembrava che la struttura fosse quasi del tutto abbandonata e solo ogni tanto la musica della battaglia invadeva le mie orecchie.

Proseguii per il corridoio fino a quando un rumore destò la mia attenzione.

Qualcosa stava correndo verso di me.

Puntai l'arma verso la fonte del suono e rimasi stupito quando vidi Letia, totalmente coperta di sangue dalla testa ai piedi.

«Tesoro...» La sua voce era bassa e rauca ed i suoi occhi mi osservavano famelici.

«Letia! Il rosso ti dona, come sempre» La salutai senza abbassare l'arma. Riconoscevo quello sguardo: era lo stesso che i miei compagni avevano quando vedevano un pasto.

La cosa non mi stupii, ormai era questione di tempo prima che qualcuno dei miei "amici" andasse oltre al dettaglio dell'odore. Il fatto che fosse la mia ragazza a volermi mangiare era unicamente ironico.

«Ho fatto ... alcuni danni» Rise lei istericamente iniziando ad avvicinarsi a me. «Avevo troppa fame. Alla fin fine però, l'unica cosa che volevo mangiare era proprio fuori di qui.» Scattò con tale velocità che quando arrivò vicino a me, non avevo ancora avuto modo di raggiungere il grilletto. «Ma finalmente sei mio!»

Il fucile si piantò contro il petto della donna e fui almeno in grado di sparare un colpo, prima che il fucile mi fosse strappato dalle mani.

La sua bocca si spalancò e con un rantolo, la testa scattò in avanti, le fauci pronte a chiudersi intorno al mio collo. Riuscii a portare il mio braccio malato istintivamente a protezione, bloccando il suo attacco.

Caddi di schiena sul pavimento, mentre Letia affondava i suoi denti nello strato di kevlar e gomma che proteggeva il mio braccio. Nonostante non stesse mordendo carne viva, sbavava, gemeva e agitava il capo come un cane rabbioso pur di staccarmi l'arto.

Con i suoi artigli iniziò a squarciare il tessuto ed infine, i suoi denti si piantarono nella mia carne.

L'adrenalina invase il mio corpo e mi diede la forza necessaria per assestare un pugno alla Zombie, che però non sembrò nemmeno notarlo. Continuai ad infliggergli altri colpi, ma era del tutto inutile e più il morso affliggeva la carne, più la disperazione emergeva e mi appannava la ragione.

Improvvisamente, un ricordo invase la mia mente con prepotenza...

***

Trovare quella donna non era stata facile. Gli zombie non erano creature intelligenti e fregarli non era troppo difficile, ma fregare quei mostri e anche umani era un'altra storia.

Avevo lasciato Clover e gli altri a cercare del cibo, mentre io ero andato ad esplorare quel condominio. Sentire la voce di una donna chiedere aiuto era una tentazione troppo forte.

Le urla di una ragazza erano giunte dall'alto della struttura, più precisamente dall'ultimo piano. Lo raggiunsi velocemente e quando fui davanti alla porta in questione le suppliche di quella povera creatura mi invasero le orecchie.

Non sembrava parlare la mia lingua, ma qualche parola riuscii a identificarla.

«Sembra una preda facile... probabilmente è debole e vulnerabile...» Era da tempo che volevo sfogarmi un po' con qualcosa diverso da Clover e una fanciulla in difficoltà era decisamente un bocconcino prelibato!

Il rumore di graffi e le suppliche mi eccitarono e puntando alla serratura, la feci esplodere.

Questa però non era esattamente come me la ero aspettata.

Purtroppo, fui sorpreso da una zombie che mi assalì urlando. Un mostro dalla pelle nera e con gli occhi iniettanti di sangue mi piantò i denti nel braccio sinistro e mi staccò un grosso pezzo di carne.

Il dolore mi travolse e fui invaso dalla nausea e dalle vertigini. Riuscii appena a trascinarmi per un momento lontano da quel mostro che sembrava intento a gustarsi parte della mia carne.

Con fatica raggiunsi l'uscio dell'appartamento vicino e poco prima che il mostro ripartisse all'attacco chiusi con un calcio la porta, che fu sconquassata da un tonfo.

Le grida di rabbia esplosero poco dopo e sentii la creatura che si allontanava in cerca di altre vittime

Quella stronza mi aveva morso!

Controllai il braccio sanguinante e notai che si vedeva persino l'osso!

Dovevo pensare velocemente a qualcosa e farlo alla svelta. Scattai in cucina e cercai un'ispirazione.

Tagliarmi il braccio poteva essere l'unica opzione praticabile. Una bottiglia di alcol era posata sul tavolo ed un paio di accendini erano abbandonati disordinatamente a terra.

Non mi ci volle che qualche secondo per comprendere cosa andava fatto.

***

Letia aveva i denti piantati nel mio braccio sinistro. Di nuovo.

Quella stronza non voleva mollare la presa ed era impossibile districarsi con la sola forza.

Con la mano destra raggiunsi la fondina e a fatica estrassi la pistola. Portai la canna alla tempia di quello che un tempo era la mia ragazza.

Avevo mai provato qualcosa per questo cadavere? Il pensiero proruppe dal mio cervello con prepotenza.

Letia mi fissava, ma il suo sguardo era totalmente diverso da prima: sembrava disperata. I suoi occhi non erano più quelli di una belva affamata, ma quelli di una donna sul punto di piangere.

No... Non ho mai provato nulla.

Il proiettile le fece esplodere il cranio. Le sue fauci si spalancarono e la donna si accasciò al suolo, apparentemente priva di vita o di qualunque cosa la manovrasse.

Sul suo viso si era pietrificata un'espressione dispiaciuta e contrita, ma nessuna lacrima scivolò sulle sue guance scure, soltanto il suo sangue scuro.

Niente lacrime, né dai morti né per loro.

Il mio braccio sinistro, come in passato, era stato morso ed il rischio di infezione permanente era prossimo. Dovevo agire, prima che fosse troppo tardi.

A devastare il mio arto non era stato un bombardamento, ero stato io. Dorian mi aveva mentito... ovviamente.

Tutto cominciava a riavere senso. Volti e momenti assumevano il giusto significato.

Dallo zaino prelevai una piccola bottiglia di alcol disinfettante e subito estrassi dalla tasca l'accendino. Cosparsi la ferita completamente e mi preparai al dolore.

Quando accesi la fiamma rimasi fermo un'istante, l'accendino stretto in pugno che tremava appena. Raccolsi il coraggio necessario.

Sarebbe stato doloroso.

***

Ci misi parecchio a riprendermi. La mia visione tremò, la coscienza se ne andò e tornò intermittente. Infine, il dolore scoppiò e lesto ingurgitai antidolorifici come fossi un assetato con un bicchiere di birra gelida tra le mani.

Poi venne tutto il resto: un torrente di ricordi, di pensieri, di momenti e di sensazioni.

Un'intera parte della mia vita tornava a galla prepotente, come un sottomarino che sfonda la calotta di ghiaccio e si fa strada verso la superficie.

Ora ricordavo tutto ciò che era successo. Tutto quello che avevo fatto, quello che loro avevano fatto a me.

Alcune parti della mia memoria erano ancora annebbiate, come sfocate dal troppo tempo passato.

Ma ora ricordavo tutto quanto. Clover, Jack e Toroj: non li avevo solo liberati, ero uno di loro. Come loro ero stato rinchiuso, come uno di loro ero stato rimosso dalla società e messo dove nessuno avrebbe mai potuto vedermi, né sentirmi. Dove non avrei mai più potuto esprimermi.

Ricordai il momento in cui avevo deciso che erano inutili, il momento in cui li avevo usati come esca per raggiungere la salvezza da solo.

Traditore... Ora quel grido aveva un senso.

Ora finalmente capivo perché Dorian era sempre stato così attento alla mia salute.

Quella maledetta targhetta... Ecco perché quel dottor Siren mi era familiare!

«Dorian!» La voce di Riko mi giunse come un eco lontano. «Stanno chiudendo le porte!»

Mi trascinai fino al bordo del camminamento su cui mi trovavo e osservai il vasto cortile interno. Il grande mastio al centro della fortezza era una struttura inespugnabile. Una sola porta da cui entrare, nessuna finestra o sistema d'entrata, niente finestre o punti deboli. Una trappola perfetta se non fosse per il gigantesco elicottero che stava atterrando sul tetto.

«Mettetevi al riparo!» Ordinò lo Zombie e vidi diverse figure correre in varie direzioni e nascondersi.

Per un momento sembrò fosse scesa la calma, ma ben presto dall'interno del mastio si levarono urla di disperazione e spari.

«Ma che cazzo sta succedendo?» Sbraitò Rokuya.

«Forse Letia ha trovato un modo per entrare» Esclamò Riko dalla parte opposta del cortile.

Fu Will a rivelare a tutti il dramma in atto. «Sono loro! Sono tornati.»

Non serviva nemmeno spiegasse chi era tornato. Quando dall'alto della torre precipitò un gigante corazzato fu chiaro a tutti che alla fine i miei vecchi compagni ci avevano trovato.

«Rokuya! Trova Enea!» Urlò Dorian, ma lui era già sparito dentro una delle strutture.

Toroj aprì il fuoco non appena Will tentò di muoversi verso di lui. Come al solito, l'utile idiota era pesantemente corazzato, ma questa volta aveva a disposizione un mitragliatore pesante, probabilmente lo stesso del carrarmato che mi aveva permesso di raggiungere Novgorod.

«Non possiamo restare fermi! Quella cosa può fare disastri! Dobbiamo nasconderci all'interno! Lo dobbiamo attrarre dentro uno degli spazi più piccoli!» Consigliò Dorian e poco dopo, una cortina di fumo avvolse completamente il cortile.

Dovevo riprendere il cammino. Il rumore di spari ed esplosioni, l'odore di marciume, sangue e morte mi circondavano.

Il cadavere di ciò che restava di Letia giaceva con un buco alla tempia che le trapassava il cervello da parte a parte. Avevo già una volta visto quei mostri rialzarsi con ferite simili e preferivo essere sicuro che la mia ex restasse definitivamente morta.

Iniziai la ricerca della soluzione permanente.

Finalmente, riuscivo a pensare lucidamente. Finalmente, ero mondato da ogni emozione inutile.

Come avevo fatto a provare qualcosa per quel cadavere? Sarà forse il buco in testa a renderla meno affascinante?

Finalmente trovai ciò che cercavo in un piccolo armadio contenenti varie armi e attrezzature: un piccolo contenitore di fosforo bianco, perfetto per eliminare una volta per tutte quella donna dalla mia vita e dal pianeta.

Il cadavere non si era mosso. Cosa che in un mondo noiosamente normale avrebbe dovuto essere la norma.

Quando sollevai la testa di Letia, vidi che non era affatto morta. I suoi occhi ancora mi cercavano, le labbra vibravano e ogni muscolo della sua faccia sembrava spingersi nella mia direzione, come se fosse l'estensione del suo nuovo corpo che cercava di ghermirmi. Era ancora... morente.

Un'illuminazione mi bloccò la mano prima che il fosforo scivolasse sulla carne del mostro. La mia ex poteva ancora tornarmi utile.

Dopotutto non diconoforse che le donne creano i problemi, ma che sono anche la soluzione?

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