...Cause there ain't no one for to give you no pain.
«La città è poco più avanti. Manca poco» Affermai, controllando per l'ennesima volta la mappa.
«È finita la benzina...» Sospirò Rokuya, posando la testa contro i controlli di navigazione.
«Ancora?» Mi stupii, lasciando cadere a terra la bussola avvilito.
«Abbiamo fatto il pieno prima del ponte, quei dementi devono aver bucato la cisterna della benzina»
«Dai troppo di frizione e sprechi benzina.» Lo punzecchiai, conscio che era un'accusa totalmente senza senso.
«Cosa cavolo centra?»
«Non sai guidare, tutto qua.»
«Ti ricordo che per me sei un Big Mac parlante e succulento...» Era probabilmente la trentesima minaccia di morte che mi lanciava da quando eravamo saliti a bordo del tank.
«Fortuna che sei tanto tenero e carino che non morderesti mai un tuo simile.» Ribattei, ma con mia grande sorpresa, la reazione dello zombie questa volta fu esplosiva.
«TU NON SEI UN MIO SIMILE» Rokuya scattò inferocito, afferrandomi la gola «IO E TE SIAMO TOTALMENTE DIVERSI.»
«Ok, ok calmati!» Balbettai. Bastava che muovesse di poco il polso e presto avrei scoperto se anche a me era concessa la fatidica seconda possibilità. Rokuya mi lasciò.
Il freddo orientale tornò alla guida ed io scesi per dare una mano ad Azue intenta a svuotare l'ultima tanica di gasolio.
Il T -90 era rumoroso come una tempesta, ma almeno procedeva spedito, distruggendo eventuali ostacoli o passandoci sopra: raggiungere il punto di randeous-vouz non sembrava più un'impresa impossibile.
L'alba era spuntata giusto in tempo per essere inghiottita dalle nuvole di pioggia che ora lavava il sangue dal carro armato.
Rokuya era stato di parola: sapeva pilotare il tank senza problemi e sapeva persino sparare con incredibile precisione.
Raggiungemmo la città di Novgorod quando ormai la pioggia cadeva fitta e i fulmini di tanto in tanto camuffavano il clangore dei cingoli.
La città sembrava quasi in buono stato, se non fosse stato per i posti di blocco devastati e circondati da scheletri e Spenti fossilizzati, incidenti stradali in mezzo alle vie e soprattutto le chiare tracce di rovina che caratterizzavano i campi di battaglia. Alcune zone sembravano assolutamente intoccate dall'azione del Contagio, mentre altre erano martoriate dalle fiamme e avevano subito dei bombardamenti.
«Però...sono passati neanche due anni dal contagio e guarda che casino!» Notai a voce alta, cercando di sovrastare la baraonda del motore.
«Stai scherzando vero? Due anni fa i confini della Nuova Csi sono caduti. Il contagio è in circolazione da almeno cinque anni, se non di più!»
Rimasi leggermente perplesso. Cinque anni? Tre anni prima dei bombardamenti, tre anni prima della mia amnesia e del mio incontro con la "Famiglia Addams" di Zombie? Impos... improbabile. Non avendo ricordi potevo affidarmi unicamente a ciò che Dorian sapeva di me e non era detto che sapesse tutto. D'altra parte, lui aveva sempre sostenuto che i bombardamenti era serviti per contenere il Contagio nei suoi primi giorni di diffusione...
Non ebbi molto tempo per rifletterci: il T-90 si bloccò con uno scatto e l'infernale sferragliare si interruppe. La strada era completamente bloccata da un alto muro di cemento che sembrava aver subito numerosi bombardamenti.
«La strada è bloccata» Affermò Rokuya.
«Buttiamo giù l'ostacolo» Consigliai
«Meglio di no. La stazione è poco distante. Faremo un giro più lungo.»
La scorciatoia decisa da Rokuya non era stata un'idea brillante: più le vie si facevano strette, più diventava difficile far passare il tank e spesso sotto i potenti cingoli del T-90 finivano degli Spenti che, con un gemito, diventavano poltiglia insieme ad automobili e motorini.
«Enea, dove cazzo siamo?» Mi chiese, per la milionesima volta, il pilota.
«Come ti ho già detto, mon capitan, siamo esattamente dove non dovremmo essere.» Risposi sarcasticamente, sapendo che lo avrei fatto infuriare.
«Ma porca...» Iniziò lui, ma fu interrotto dalla mano di Azue, che mostrò l'iPad che aveva con sé.
Il T-90 si fermò con uno scatto.
«Che succede?» Chiesi incuriosito.
«Azue ha visto movimento sopra i tetti.»
"E allora?" Pensai "Sarà qualche Spento che rotola sul tetto in cerca di carne..."
Azue guardava dal periscopio, il motore del Tank sfrigolava e la pioggia batteva sul metallo.
Un leggero stridio accompagnato da un rumore simile ad un ticchettio disturbava il tutto. E si avvicinava.
«CHIUDI LE FERITOIE!» Urlò Rokuya, ma una lunga lama penetrò attraverso la strettissima fenditura che permetteva di vedere fuori dal Tank.
La lama sfiorò il mio collo, tagliandomi leggermente la spalla già falcidiata dal fuoco dei bombardamenti.
La spada continuò a muoversi cercando di colpire tutto ciò che riusciva e rendendo difficile ogni movimento, mentre lo stridio di metallo si faceva sempre più forte.
Rokuya rimise in moto a pieno regime il motore del T-90 e con una brusca accelerata scattò in avanti, piantandosi pochi metri dopo con un'improvvisa frenata riuscì a liberarci dall'assaltatore.
Chiusi tutte le feritoie e corsi alla mitragliatrice frontale del Tank. La sferzata fu violentissima e fece vibrare tutto il mio corpo, facendomi ancora più sanguinare la ferita.
Non perdemmo troppo tempo a studiare la situazione e con poche manovre eravamo a piena velocità che sfondavamo intere case, colonne, macchine e blocchi mentre Azue come un'ossessa cercava il nostro misterioso assaltatore.
«Azue, in che via siamo?!» Chiesi urlando e allungando le mani verso Azue, che dopo aver controllato attraverso il periscopio, mi scrisse la risposta sul suo iPad.
«Va sempre dritto, Rokuya!» Sbraitai al pilota, che ripartì senza curarsi di cosa avesse davanti. Il suono dei mattoni e dei calcinacci ammutolì persino il motore e dalle telecamere esterne vidi soltanto la polvere alzarsi.
Le scosse dei mattoni che cadevano sul T-90 si facevano sempre più violente. Finalmente dopo quasi venti secondi di demolizione abusiva, sbucammo nel parcheggio della stazione.
«Tenetevi!» Ci avvertì Rokuya e subito il tank impennò verso l'alto mentre schiacciava le automobili abbandonate.
Un fischio fu il preambolo del botto più forte mai subito in vita mia. L'intero tank fu sconquassato dal colpo. Le orecchie mi fischiavano, mentre le vertigini mi assalivano insieme alla nausea, ma fui lesto a riprendermi.
«Ma che ca...» Mormorai, cercando i controlli della torretta.
«Missili. Ci stanno sparando. Enea! Spara ai grattacieli!»
«Cazzo, volentieri!» Presi in mano i comandi della torretta principale, presi la mira con il cannocchiale e sparai il mio primo colpo calibro 125.
«Accendi il computer di tiro, imbecille!!» Ululò Rokuya, partendo in retromarcia.
Davanti a me un muro di controlli, comandi, pulsanti colorati e ideogrammi cirillici si palesava in tutta la sua complicata natura. Mi sentii come un primitivo a bordo dell'Enterprise...
«C'è scritto Wtopa! Shtora o qualcosa del genere, accendilo!» Come trovai il controllo, subito premetti il pulsante. Tutti gli schermi si accesero e suonarono come un albero di Natale e la torretta prese vita, muovendosi in direzione di uno dei grattacieli dove si fermò, in attesa. Senza indugio iniziai a sparare, mentre notai guardando attraverso il telescopio del cannone che anche i fumogeni si erano accesi.
Benché avessi il terrore di morire in una gabbia di metallo, cucinato vivo tra il liquido che lentamente si liquefaceva, mi stavo divertendo come un bambino. Era la cosa più schifosamente goduriosa che avessi mai fatto. La torretta si muoveva a volte di pochi centimetri e alle volte ruotava quasi completamente, puntando due bersagli distinti celati nelle rovine che sparavano i loro missili contro di noi.
L'armatura del tank non solo reagiva all'impatto, ma era tanto resistente che alcune volte il missile nemico non sembrò nemmeno scalfirla.
«La stazione è davanti a noi!»
Sfondammo il vetro davanti a noi, aprendoci la strada tra valigie e sedie che volarono via come pennuti spaventati. Poco dopo, frenammo.
Eravamo arrivati a destinazione. Il fischio del treno e le familiari bestemmie di Will furono chiari segni che eravamo nel posto giusto al momento giusto.
Mi piangeva il cuore, ma era tempo di lasciare quello splendido giocattolo. Azue ed io scendemmo in fretta, con le armi in pugno.
Il pavimento davanti a noi esplose, colpito da una raffica di proiettili.
«Enea, tesoro. Quanto tempo!» La voce di una donna echeggiò nella sala grande della stazione. Una voce che... conoscevo. Ma non sapevo né ricordavo perché!
Azue mi strattonò, risvegliandomi dai miei pensieri e subito mi gettai dentro un blocco di cemento.
«Enea... amore, non nasconderti! Ci siamo tutti quanti!» La voce sembrava lontana, ma con il casino che il Tank ancora faceva era difficile capirci qualcosa.
Guardai oltre la barricata: la stazione era una struttura di vetro, grazie alla quale la luce entrava da ogni parte. Poche colonne permettevano di nascondere la propria presenza.
Un'ombra si proiettò sopra di me, ingrandendosi sempre di più.
Sollevai l'F2000 puntando verso l'alto, poco prima che una creatura mostruosa e inquietante mi tagliasse quasi la testa. La raffica dell'arma lanciò il mio avversario all'indietro, facendolo cadere poco più avanti.
Era uno Zombie, ma come mai ne avevo visti prima. Il suo intero corpo era un fascio di muscoli, coperto qua e là da placche di metallo, piantate nella carne così come aveva alcuni pugnali infilzati nel costato, le else spuntavano dalle costole come spine. Le braccia e le gambe erano asciutte e mostravano i muscoli sottili, i piedi terminavano con degli artigli di ferro arrugginito e le mani erano armate di lunghi coltelli, mentre dagli avambracci spuntavano due lunghe sbarre di metallo affilato. La testa era la parte più spaventosa: la mascella era un blocco metallico dentellato, imitante una bocca dai denti affilati, il cranio totalmente rasato era coperto da cicatrici e gli occhi erano completamenti neri. I lineamenti erano asciutti, la faccia era scarna: sembrava uno scheletro coperto di carne e ferraglia.
«E tu chi cazzo sei? Il papà di Freddie?» Chiesi, con voce e mano tremante, mentre portavo il dito sul grilletto del lanciagranate.
«Ma come... non ti ricordi di me?» La creatura partì all'attacco, un movimento fulmineo e improvviso. La mia granata partì in ritardo, sfiorando la creatura e facendo esplodere le sedie davanti a me.
Azue piantò il suo iPad contro la lama del mostro, deviandola dalla sua traiettoria puntante il mio cuore. Rotolai da un lato, mentre la Zombie saltò lontana dalla lotta, facendosi perno con la colonna, che poco dopo fu disintegrata da un colpo di T-90.
Il fumo coprì tutto quanto. Afferrai la mia arma e la puntai alla cieca. Il mio cuore batteva all'impazzata, mentre la pioggia a pochi metri da me bagnava il pavimento. La ferita alla spalla sanguinava leggermente, ma l'adrenalina attenuava il dolore.
Alla mia destra, pesanti passi si avvicinavano.
Davanti a me si proiettò un gigante alto più di due metri, armato con un mitragliatore gigantesco e coperto da una armatura pesante di grezzo metallo. Muscoloso e minaccioso, mi osservava dalla stretta feritoia di un elmo scuro.
Prima che il suo enorme braccio potesse afferrarmi, mi lanciai di lato e mi misi a correre verso il treno. Non appena sbucai dalla polvere bianchiccia, fui gettato a terra, cadendo sulle costole che urlarono di dolore, mentre l'arma scivolava lontano da me. Le mie braccia erano bloccate da una morsa di ferro, mentre il mio naso era invaso da uno strano odore: profumo di rose e umido.
«Mi sei mancato Enea» Era la stessa voce di donna di prima. Lo stesso timbro vocale impresso da qualche parte nella mia memoria.
«Ti abbiamo cercato a lungo... quando ci hai lasciato ci siamo sentiti tanto soli...» Le sue unghie premettero contro la mia carne, scavando sempre più in profondità.
«Ma che cazzo sei?» Mi lamentai, cercando di non sentire il dolore.
«Ti sei dimenticato dei tuoi amici? Sono io amore... Clover.» Sussurrò lei nel mio orecchio dolcemente.
Un'immagine invase la mia testa, il volto di una donna, dai capelli cortissimi, bellissima e selvaggia che mi lanciava uno sguardo assassino e mi urlava dietro "traditore".
Clover... la conoscevo. Da dove? Perché quel nome mi sembrava così familiare?
Un sibilo mi avvertì dell'arrivo di Dorian, mentre la Zombie mi lasciava andare. Ero troppo stanco per reagire, troppo dolorante per alzarmi. Strisciai verso il treno. Letia mi venne incontro e facilmente mi sollevò.
«È arrivato il cazzo di circo? Che diavolo sono 'sti cosi?» La voce di Will mi scaldò il cuore, anche se subito dopo andò a dar man forte a Dorian.
I miei tre compagni si preparavano ad affrontare quei mostri che chiaramente, avevo già incontrato in passato.
«Ascoltate!» Parlò Dorian. «Il tizio con le lame, Jack, è il più pericoloso. È veloce come un fulmine ed è fuori di testa. Clover preferisce starsene in disparte. Toroj è scemo, ma sa pestare meglio di Rocky.»
L' orientale sfoderò il coltello da combattimento e si preparò al combattimento. Jack correva verso di noi, le lame che stridevano sul pavimento. Balzò in aria e menò un fendente dove poco prima si trovava la testa di Dorian, che scartando di lato si poté puntare al suo fianco, ma quando la mano scattò per afferrare uno dei pugnali incastrato nelle costole, Jack roteò le lame e quasi gli tagliò la mano. Rokuya prevedendo la mossa tentò un affondo, ma Jack con uno dei piedi artigliati, parò il coltello e allo stesso tempo, con una capriola, ferì l'orientale al viso.
Il salto lo aveva allontanato dal combattimento, ma subito il gigante, Toroj, aprì il fuoco a casaccio, costringendo tutti alla ritirata.
Dietro di noi, il treno fischiava e si preparava a partire. Letia mi riprese tra le braccia e mi trascinò lontano dallo scontro, potandomi dentro un vagone.
Dall'oblò blindato potevo guardare lo scontro, anche se le voci mi giungevano distorte.
Rokuya scattò verso il treno, lasciando Dorian a fronteggiare il trio di mostri.
Non si fecero attendere, Jack calò dal soffitto piantando le sue lame nel pavimento.
Con un calcio possente Dorian spezzò le lame, mentre Jack urlava come fossero le sue braccia. Sfilate le lame dal pavimento, il mio amico Zombie era finalmente armato. Toroj sparò di nuovo senza preoccuparsi toppo di prendere la mira, ma qualche proiettile riuscì comunque a beccare il suo avversario. Correndo e saltando agilmente, Dorian riuscì a batterlo in velocità e prima che potesse girarsi e fare fuoco, incastrò una delle lame dentro il mitragliatore. L'enorme montagna di muscoli fissò il fucile come un bambino studia il giocattolo rotto, piagnucolando disperato.
Dorian purtroppo non riuscì a godersi la scena. Jack era già tornato all'attacco, con le sue unghie acuminate che cercavano di strappargli quel che restava del viso.
Con difficoltà, lo Zombie evitava gli attacchi di Jack, non vedendo che Clover cercava di prenderlo alle spalle, ma non sembrava per nulla desiderosa di partecipare allo scontro. Dopo una certa titubanza si fece coraggio, ma Dorian riuscì a prevedere la sua mossa e con un movimento da ballerino incastrò la sua ultima lama nel petto della sua avversaria che divenne il suo scudo.
Jack e Toroj si fermarono, indecisi sul da farsi.
«Allora Dorian...» Iniziò Clover, per niente impensierita della lama che la trafiggeva da parte a parte lo sterno. «Che vuoi fare? Combattere per l'eternità contro di noi?» Finalmente immobile, potei vedere la donna chiaramente: era vestita con un abito aderente rosso e nero, un paio di stivali militari e una giacca senza maniche nera. Il suo viso era pallido, l'ecchimosi aveva divorato i suoi occhi e le iridi bianche scrutavano il treno. I suoi capelli rossi erano tanto lunghi da coprire parte della faccia.
«Enea ci appartiene!» Sbraitò Jack, la cui voce usciva dalla gola martoriata come fosse un orribile disturbo elettrico.
Il leggero scatto dei fumogeni, seguito dalla nuvola di fumo nero era il segnale che Dorian sembrava attendere.
«Enea non sa chi siete. E vi consiglio di lasciarlo stare.» Esclamò Dorian che spinse Clover verso Jack e Toroj.
Il mio compagno corse verso il treno e non appena sparì dalla mia visuale, sentii che i mitragliatori di posizione sul tetto cominciarono a fare fuoco. Il treno abbandonava la stazione prendendo velocità.
Soltanto quando ormai il treno era uscito dal comprensorio della stazione, Dorian venne da me.
«Dobbiamo parlare, Enea...»
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