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Concrete Angel - Roy Harper

Scendo dall'auto, rivolgendo un piccolo sorriso ad Alfred che mi ha gentilmente accompagnata, guardandolo dal finestrino mezzo aperto, il quale ricambia, alzando i vetri scuri e ripartendo.

Prendo un respiro prima di girarmi e dirigermi verso la casa per cui sono venuta a Star City, camminando sul marciapiede stretto.

L'abitazione dà sicuramente meno nell'occhio rispetto alla villa in cui precedentemente abitava insieme al suo patrigno, ma il quartiere in cui si trova lascia intendere che faccia parte di una famiglia benestante.

Non vive qui da molto, credo siano passati solo alcuni mesi da quando ha deciso di andare a vivere da solo, ma da più di una settimana non avevo sue notizie e ciò mi stava facendo preoccupare.

Oliver mi aveva chiamata.
«È chiuso in casa da quando è successo.» mi aveva detto al telefono, sospirando «Ha il telefono spento, non parla con nessuno. Ho provato a portargli qualcuno dei suoi piatti preferiti, ma non ha funzionato neanche quello.» aveva concluso con una risatina amara, forse nel tentativo di sdrammatizzare.

Mi fermo davanti alla porta, leggendo la targhetta dorata sopra il campanello, ma il mio braccio non sembra volersi muovere.

Ho paura.
Ho paura che non voglia aprirmi, che non voglia parlare neanche con me, ho paura dello stato in cui potrei trovarlo.

Scuoto la testa, scacciando via l'immagine di una siringa dispersa da qualche parte sul pavimento, priva del suo contenuto.

Oliver dice che non è uscito di casa e che non ha avuto visite sospette, non può essersela procurata.
Non può essere successo di nuovo.

Prendo un altro respiro prima di suonare il campanello.
Indietreggio di qualche passo, osservando le finestre chiuse e le tende spesse che coprono i vetri, impedendomi di vedere al loro interno.

Suono ancora, premendo il campanello due volte con un breve intervallo, nel tentativo di attirare la sua attenzione, sperando che niente lì dentro lo tenga troppo distratto da questo suono.

Un rumore all'interno mi fa intuire che possa essersi avvicinato alla porta, forse per capire chi c'è all'esterno di casa sua, ma non noto alcun movimento dallo spioncino.

«Roy?» lo chiamo, avvicinandomi di un passo «Sono Michelle. Posso entrare?»

Nessuna risposta.

«O posso anche non farlo, se non vuoi. Ma sai, non rispondi alle chiamate e voglio sapere se stai bene. Certo, lo so, è stupido pensare che tu possa stare bene dopo quello, ma...» sospiro, non ho mai saputo cosa dire in momenti del genere.

Il "mi dispiace" non l'ho mai sopportato, ho sempre cercato di non usarlo neanche con gli altri.
Rimpi il ghiaccio con quelle due parole, e poi? Come si continua il discorso?

«Senti, lo so. Non ti dirò "ti capisco" perché non ho idea di cosa si provi, ma posso immaginare come ti senti. Sei arrabbiato, non vuoi sentire quelle stupide frasi che vengono dette in situazioni del genere, ma ti prego.» mi fermo per qualche secondo, poggiando la fronte sulla superficie della porta «Voglio solo assicurarmi che tu non ceda alle tentazioni, perché giuro che se lo fai, io... io...»

Mi mordo il labbro inferiore.
Arrivare ad un ricatto? E cosa potrei mai dirgli se non ho neanche il coraggio di pensare qualcosa di cattivo nei suoi confronti? Non potrei mai fargli un dispetto.

«L'unica cosa che potrei fare sarebbe chiedermi dov'ero stavolta e perché non ti ho fermato.»

Mi allontano, alzando lo sguardo e prendendo l'ennesimo respiro per calmarmi, premendo la lingua sul palato e ignorando il nodo che mi si è formato in gola.

Non ho idea di cosa fare, dovrei prendere il cellulare e avvisare Oliver che neanch'io sono riuscita ad avere un minimo cenno da parte sua?
Una parte di me non vuole arrendersi così in fretta, ma l'altra non vuole neanche insistere troppo.

«Possiamo ordinare qualcosa da mangiare, se hai fame. Offro io.» tento di proporgli «Potremmo mangiare giapponese e guardare qualcosa in televisione come facevamo un tempo.»

Accenno un piccolo sorriso spontaneo al ricordo delle nostre serate film.
Per un periodo, una volta a settimana nel weekend passavo una serata a casa sua, quando ancora viveva con Oliver, e la passavamo mangiando qualcosa preparato dal padrone di casa (che, molto spesso, era il suo fantomatico chili super piccante) o ordinando qualcosa, guardando poi un film o qualcosa che, nella maggior parte dei casi, criricavamo a causa dei troppi cliché.

Era difficile trovare qualcosa da guardare che andava bene a entrambi, ma poco importava cosa veniva trasmesso alla televisione in quanto finivamo per chiacchierare, raccontandoci alcune cose successe durante la settimana appena finita.

Il suono di una serratura che viene sbloccata attira la mia attenzione, portandomi a guardare la porta semiaperta.

«Sta iniziando a piovere.»

La sua voce è rauca, probabilmente a causa del silenzio mantenuto in questi giorni.
È nascosto dietro la porta, aperta abbastanza per farmi passare.

Persa nei miei pensieri, non mi ero neanche accorta delle prime gocce di pioggia.

Faccio alcuni passi in avanti, varcando la soglia della porta. Un forte odore di chiuso infastidisce le mie narici mentre il mio sguardo vaga per la prima stanza che incontro, quella che penso abbia subito più di tutte un suo attacco di rabbia.

Alcune bottiglie sono sparse sul pavimento, insieme ai resti di una lampada e alcuni vestiti stropicciati, oltre alle sue scarpe.

Cammino, facendo attenzione a non inciampare o calpestare nulla, notando una foto dalla cornicie distrutta ai piedi del divano raffigurante lui e una bambina dal sorriso raggiante, con i capelli neri e i tratti vietnamiti della madre.

Non tocco nulla, mandando un'occhiata verso l'ingresso, dove Roy è rimasto appoggiato alla porta ormai chiusa.

Ha l'aria stanca, lo sguardo spento e i capelli in disordine. Sembra indossare gli stessi vestiti da diversi giorni, cammimando per la casa senza scarpe, rischiando di farsi male con i frammenti di vetro presenti nella stanza.

«Puoi perquisirmi, se vuoi.» mi informa, staccandosi con una spinta svogliata dalla porta «Ma sono pulito.»

Lo guardo spostarsi verso quella che mi sembra essere la sua cucina, sentendo poi lo sportello del frigorifero aprirsi e il suono di alcune bottigliette di vetro scontrarsi fra loro.

«Spero tu non stia andando avanti con solo della birra.» dico, spostando con il piede una bottiglia vuota che rotola sul pavimento «E che ti stia nutrendo, in qualche modo.»

Non ricevo alcuna risposta.
Sospiro, decidendo di raggiungerlo in cucina, trovandolo davanti al frigorifero.

Lo sportello è ancora aperto, il rumore di bottiglie di vetro appartiene solo a un paio di birre, unica cosa a riempire il frigo oltre a qualche bottiglia d'acqua e a delle scatolette di succo che sta fissando.

«Roy?» mi avvicino piano, notando i suoi occhi inumidirsi e arrossarsi dopo chissà quante altre volte in questi giorni.

«Le piaceva il succo di mela. Lo adorava e io ne avevo preso un po' per lei.» mi spiega a voce bassa.

A causa dell'altezza bassa dello sportello del frigorifero, con la luce che proviene dal suo interno posso notare che Roy non indossa la sua protesi.

«Roy!» lo richiamo preoccupata appena si lascia cadere a terra, non reggendo più il suo stesso peso sulle gambe.

Si rannicchia su se stesso, abbassando la testa nel tentativo di nascondere il viso.
Da quando lo conosco, sono sempre stati molto rari i momenti in cui l'ho visto piangere, ha sempre cercato di farlo quando era solo e di trattenere le lacrime il più possibile se era in compagnia.

E sapere che questo è uno di quei momenti in cui sta cedendo, fregandosene di chi ha intorno e lasciandosi andare, mi stringe il cuore.
Poggio le gambe a terra, abbassandomi alla sua altezza per abbracciarlo.

«Non doveva andare così. Non doveva. Aveva solo cinque anni e io... cazzo.»

Lo stringo più forte quando sento anche i miei occhi inumidirsi, ma nuovamente provo a trattenermi.

«Lo so.» sussurro piano, poggiando la fronte sulla sua testa «Lo so.»

Rimaniamo così per alcuni minuti, ogni tanto lo sento tirare su col naso, ma oltre a stargli vicino, non ho la più pallida idea di cosa fare.

Circa una settimana fa, Lian Harper è rimasta coinvolta in un incidente, perdendo tragicamente la vita all'età di soli cinque anni.

Investigando sulla vicenda, alcune voci parlano di un incidente premeditato, organizzato da un villain con cui Roy e Oliver hanno già avuto a che fare in passato.

Se la notizia divagasse, temo che potrebbero perdere il controllo.









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Emh, hello.

Non aggiornavo dal 24 Febbraio.

Comunque, anche questa one-shot potete prenderla come una "xreader" o come volete voi.

Ordunque. Il video messo in copertina lo conoscevo già da diverso tempo, di recente ho riascoltato la canzone ed è venuto fuori questo (ho anche scritto più del mio solito, non ricordo di aver mai fatto one-shot così lunghe).

Detto questo, spero, come al solito, vi piaccia.
Fatemi sapere cosa ne pensate.

P.S. Non rileggo, non ne ho voglia (ho iniziato a scriverla di notte e l'ho conclusa nel pomeriggio), quindi chiedo perdono per eventuali errori, forse in futuro revisionerò.

Au revoir

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