15) Ocean Eyes
[2 anni dopo...]
«Bene, ricordatevi di portare il certificato per aderire alla gita. Non vogliamo brutte sorprese una volta lì.» stava dicendo l'insegnante alla classe.
Quei pochi che si erano fermati ad ascoltare, anzi a partecipare alla lezione, fecero per alzarsi e uscire dall'aula. Accanto a me, Diane si stiracchiò. «Adoro le lezioni di latino!»
Sbuffai e mi alzai. «A me stanno sulle palle.»
«Ma sei la più brava della classe, dopo di me.» cantilenò lei.
«Questo non vuol dire che mi debba piacere.» mugugnai.
Diane era una forza della natura. Solare, sempre pronta a confortare e piena di energie. Aveva i capelli rossi, lunghi e con la frangetta avanti. Sul suo viso c'erano delle lentiggini vistose e i suoi occhi erano verdi. Invidiavo assai il suo bell'aspetto, ma in particolar modo la sua vitalità.
«Non mi dirai che salterai il test di giovedì?» chiese lei, avanzando lungo il corridoio.
Aprii il mio armadietto e poggiai i libri di latino all'interno. «Non lo so.»
«Oh, Ennie. Già sei stata assente per mesi anni fa. Se salti anche questi ultimi test, sei fottuta.»
«Se ti riferisci alla mia "breve scomparsa", avevo i miei buoni motivi.» replicai.
«La tua "breve scomparsa"...» fece eco lei, tracciando le virgolette in aria. «... sarebbe quello in cui hai dato rifugio a un senzatetto, che si è finto il tuo fidanzato e che ti ha spezzato il cuore, due anni or sono?»
Alzai gli occhi verso di lei. Sì, le avevo raccontato tutto. In fondo, era la mia migliore e unica amica.
L'avevo conosciuta all'inizio del liceo. Non mi ero mai aperta con nessuno, come con Diane. Senza un'apparente ragione, lei mi ispirava fiducia. Col tempo, mi ha dimostrato di essere davvero speciale come pensavo. Onestamente, mi era dispiaciuto saltare il liceo per così tanto, compreso quando ero andata da mio padre, prima di incontrare Loki. Mi era mancato il suo umorismo e la sua compagnia. Avevamo deciso assieme di iscriverci all'università. Ammetto però che io ero stata "costretta" da Tony ad iscrivermi. Diceva che la mia mente brillante doveva essere portata avanti.
"Brillante poi è un parolone." Avevo detto a lui.
«Non ne voglio parlare.» le mormorai, affranta.
Erano passati anni, e ancora non avevo dimenticato. Loki aveva lasciato un solco dentro di me, un solco indelebile. Avrei voluto vederlo un'ultima volta, per spaccargli la faccia. Dopo quel fatto, non mi sono più affezionata a nessuno. Non ho più avuto relazioni. Certo, le mie scappatine con qualche ragazzo erano presenti, ma solo per divertimento. Sono proprio figlia di Tony, eh? E non lo dico con fierezza, da questo punto di vista.
«Esco prima, oggi.» sentenziai, mettendomi lo zaino in spalla.
Diane si sfregò il mento. «Momento no? Sai che me ne puoi parlare.»
Feci per abbracciarla. «Sto bene. Solo che ho voglia di andare un po' in giro con la mia armatura volante.»
«E tuo padre che dice?»
«Tony mi lascia girovagare, fintanto che non creo problemi alla città.»
La rossa sbuffò. «Anche io vorrei un padre genio, miliardario.»
Ridemmo all'unisono, mentre la campanella della lezione successiva trillò assordante.
«Ci si vede questo pomeriggio alla solita tavola calda?» proposi.
Diane saltellò. «Amo i loro dolci.»
«Affare fatto!» sorrisi. «Ehi, voglio conoscere il tuo ragazzo!»
«Dav è sempre impegnato, ma ti prometto che lo porterò ai nostri randez vous!»
Ridemmo. Dopodiché, feci dietrofront, firmai un foglio per l'uscita anticipata e camminai verso l'uscita.
***
La tavola calda era stranamente vuota, eccetto per un'anziana signora dalla capigliatura strana e con una borsetta rosa tra le dita raggrinzite. Feci per entrare, restando a fissare la tizia, senza accorgermi di essere andata a sbattere contro qualcuno. Il mio cellulare dalle mani finì a terra, così imprecai. Mi misi una mano sulla fronte e mi affrettai a dire: «Mi scusi tanto. Ero distratta.»
Alzai lo sguardo. Quello davanti a me era un ragazzo, probabilmente sulla trentina, dai capelli castani e gli occhi azzurri come l'oceano.
«Scusa me. Dovevo fare attenzione.» replicò lui, chinandosi per prendere il mio dispositivo.
Notai lo schermo rotto. «Merda, mio padre mi ammazza.» mugugnai.
Il ragazzo dagli occhi azzurri assunse un'espressione affranta. «Cavolo, sono mortificato.» dopodiché, cercò qualcosa nella tasca del suo parka nero, sfilando una banconota da venti dollari. «Non è molto, ma prometto che ripagherò il tuo cellulare.»
Agitai le mani in avanti. «N-no, davvero. Non serve. E poi... funziona. Basta solo rimpiazzargli il vetro e tornerà come nuovo.»
«E se la memoria o la batteria interna fosse danneggiata?»
Socchiusi gli occhi. «Non serve che...»
Il ragazzo tenne aperta la porta della tavola calda e disse: «Almeno lascia che ti offra da bere o da mangiare.» insistette.
«N-no, grazie.»
«Ti prego?»
Il tipo mi guardò con occhi da cerbiatto. Dovevo ammettere che era davvero bello. Questo però non bastava per buttare giù la mia corazza. Non mi sarei mai più aperta con nessuno.
"Un caffè non mi ucciderà." Pensai, sorridendo ed entrando prima di lui.
Il moro mi fece sedere per prima ad un tavolo e poi mi imitò. Mi sfilai la felpa nera e rimasi a fissarlo.
«Non ce n'è bisogno.» dissi.
«Ormai siamo qui. Sarebbe scortese andarsene.» sorrise lui.
Il suo sorriso era gentile e ammaliante. Lo ignorai totalmente. «Questa cosa ha funzionato mai?»
«Cosa?» chiese.
«Niente, uhm...» guardai verso la cameriera e subito ordinammo due caffè.
Ci fu silenzio, finché non lo spezzai io per prima. «Scusi per la mia freddezza. Non sono molto socievole.» gli porsi la mano destra. «Mi chiamo Ennie.»
Lui me la strinse e, senza togliersi il sorriso dalla faccia, disse: «Piacere. Io sono Quentin Beck.»
***
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