CAPITOLO 8-Finalmente al lavoro
(Stefano)
-Carina questa postazione - dico compiaciuto.
-Vero? D'altronde siamo il reparto più importante, una sede figa era il minimo - risponde Magalie avanzando di qualche altro passo.
Ci sediamo contemporaneamente sulle sedie imbottite, scivolando nel setoso tessuto azzurro. Ovviamente azzurro, perché anche se le luci di questo tre piano rendono azzurro un po' tutto, questa zona è più azzurra delle altre. Azzurro è anche il vetro alla mia destra, che separa il mio cubicolo da quello di Magalie. Comunicano attraverso un'apertura rettangolare, oltre cui già vedo il suo monitor accendersi. Diventando azzurro.
Torno però a riesaminare la mia scrivania.
Oltre la sedia si stende un piano di vetro, trasparente ma pieno di brillantini azzurri. Sotto trovano spazio i miei piedi, in mezzo a due cassettiere di ferro, che però luccicano (ovviamente di azzurro) per le lampade del corridoio. Aprendo i due cassetti che ciascuna ospita, vedo che quella sinistra contiene una pila di cartelle ed uno schedario; la destra, invece, solo pile e pile di fogli. Sopra il piano di vetro sta il vero cuore del cubicolo. Al centro, come a dominare la scena, c'è il largo schermo del monitor, ancora nero, ma incorniciato da plastica blu (più scura dell'azzurro), cosparsa di glitter. E davanti, una larga tastiera di gomma pieghevole; ma la sua forza è nella luce azzurra che scorre, come fluendo, tra i tasti. Le parti laterali sono occupate a destra dalla stampante, ed a sinistra da matite, penne e mille cianfrusaglie, tra cui una lampada, ed un posacenere.
Ma nel complesso il posto è figo. Considerando che nei corridoi il pavimento è di vetro e si illumina (d'azzurro) quando lo si calpesta, devo dire che ha un suo stile.
Dopo ciò che è successo ieri, non mi aspettavo certo che sarei andato a lavorare in un posto del genere.
Avevo i nervi a fior di pelle quando quel tizio ha chiesto la nostra attenzione. Il mio cuore mi diceva che stava per succedere qualcosa di terribile.
Invece ha annunciato la fine della battaglia. Avevamo vinto, e messo la pattuglia in fuga.
Tra tutte le urla di festa generali ed i vari sospironi di sollievo, ha ordinato l'apertura del bunker. E dopo un'ora tutto era di nuovo in funzione. Certo, ci sono un po' di danni da riparare; ma per quanto ho visto finora, non sembrano essercene di gravi.
L'unica pecca è stata nelle parecchie perdite subite tra le file militari. Sebbene non conoscessi nessuno di loro ad eccezione di Claudia, non posso non provare dolore per loro, caduti per colpa di macchine fredde e morte.
Per fortuna, però, sono stato anche dimesso ufficialmente (ma frettolosamente) dall'ospedale e portato al nostro alloggio. Come c'era da aspettarsi, è parecchio spartano: al primo piano, dietro la porta 121, c'è uno stretto pavimento, lungo circa due metri, con un piccolo tavolo in fondo. È affiancato da due letti, completamente bianchi, come le pareti e la lampada, che per una volta non è azzurra. Se escludo il fatto che questa ha solo due letti, ricorda molto la camera della nave con cui andai in vacanza in Sardegna a sei anni. I bei tempi in cui ero con mia madre. Ancora adesso vorrei tornare da lei. Sembrano passati secoli da quando l'ho abbandonata, anche se non sono passate più di due settimane.
Infatti ho chiesto a Magalie, mentre tutti e tre cenavamo alla Piana Fuochista (che a quanto pare è una sorta di prato sotterraneo dove si può fare il barbecue con delle attrezzature già pronte) con palate di spiedini per festeggiare, di fare eventualmente qualcosa per loro. Ha detto soltanto che avrebbe parlato col suo (ed ora anche mio) capo. Stamattina non ho risollevato l'argomento: non me la sentivo proprio.
Allungo una mano per accendere il computer. -Stefano - mi chiama però Magalie, cogliendomi di sorpresa e fermando il movimento. -Il capo chiede la nostra presenza.
-Nostra? - chiedo con un tono un po' diffidente.
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