CAPITOLO 4-Difetto burocratico
(Claudia)
Come è potuto sparire?
Eppure gli avevo lasciato un ordine chiarissimo, per di più scritto.
Quando però mi avvicino al letto, lo ritrovo tutto stropicciato e spiegazzato accanto ad uno dei piedini che sorreggono la testiera del letto inferiore. Di certo non l'ha semplicemente schiacciato con la testa mentre dormiva. No, a giudicare dalle pieghe l'ha bellamente ignorato dopo esserselo rigirato tra le mani.
Lo mostro a Magalie, che, capisco dalla faccia, deduce la stessa cosa. Infatti, dopo chiede: -Ma perché mai ci ha disobbedito?
Comincio a ragionare. Ma le prime parole ad uscirmi sono comunque: -Non ne ho la più pallida idea.
Così comincio a farmi qualche domanda, sperando che mi conducano da qualche parte. A volte è un metodo che funziona, anche se a dire il vero non ho dovuto mai affrontare situazioni di questo calibro nella Datospiana. Lì tutto è fisso ed abbastanza prevedibile, non c'è nulla di troppo misterioso. Bisogna fare e basta. È strano che sappia ancora ragionare nel mondo reale, ma forse è semplicemente una capacità innata.
Perché ci ha disobbedito? E soprattutto, perché avrebbe dovuto disobbedire a me? Per caso non si fida di me? E perché non avrebbe dovuto? E se avesse creduto che gli stessi mentendo?
Proprio ora ricordo un piccolo particolare.
Lui non ha mai visto la mia grafia. Nella Datospiana, a quanto ricordo, non gli ho mai scritto a mano, e neanche nel mondo reale.
Probabilmente ha pensato che fosse stato scritto da qualcun altro. Ci avrà date per rapite.
Espongo subito l'ipotesi a Magalie, aggiungendo alla fine: -Quindi adesso è fuori a cercarci. Chissà dov'è.
-Non l'abbiamo visto mentre rientravamo - argomenta Magalie -e non possiamo setacciare la foresta.
Gira un pochino in tondo, dicendo: -Se è così è meglio avvertire l'Associazione Analogica. Ci daranno una mano a trovarlo. Basterà che lo descriva e lo cercheremo, tanto abbiamo i mezzi... e sanno quanto siete importanti.
Già provo un'ondata d'orgoglio quando pronuncia "importanti". Ma parimenti penso che Stefano sarà pure importante, ma resta decisamente un coglione. Come nella Datospiana.
-Be', allora andiamo? - avanzo io.
Annuisce.
Senza dire un'altra parola, zampettiamo verso la porta. Magalie si ferma un attimo davanti al tavolo per raccogliere il computer-sferetta.
Mentre usciamo veniamo accompagnate da due schiocchi di ferro, quello della porta e quello della botola.
Quando camminiamo sull'erba, veniamo baciate di nuovo da un pieno sole.
Mentre raggiungiamo le rovine, però, Magalie riflette: -Certo, però, Stefano dovrebbe chiedersi come sarebbe potuto entrare qualcuno. Quel sistema di sicurezza è infallibile, e gliel'ho pure spiegato.
-Ma è un coglione.
-Appunto. E dire che non vi caricheremo di pesi piccoli.
-E perché, avete già dei pesi pronti per noi?
-E ti pare? La lotta antinformatica senza quartiere non si ferma mai. Mi dispiace per voi, ma due tizi che fossero stati nella Datospiana ci servivano.
-Grazie di considerarci solo dei tizi, eh.
Sorride e mi scuote la spalla. -Dai, vi riveriremo come principi.
Così sorrido io, pensando dentro di me a quanto potrò essere esigente.
Fatta questa chiacchierata, siamo già alle rovine. Ci issiamo sul motorino.
Stavolta però non ci dirigiamo né verso la strada né verso il prato od il bosco. Infatti, Magalie ci porta all'interno della stalla abbandonata. Mentre entriamo sfioro un legno che penzola dallo stipite sinistro, rischiando di graffiarmi.
Magalie diminuisce la velocità, così che posso osservare il luogo.I muri, da cui tra l'altro si solleva un po' di polvere, hanno diversi buchi. La luce vi filtra attraverso, creando variegate forme di luce che interrompono la fitta ombra gettata dal soffitto. Alzando gli occhi, lo scopro stranamente intatto. Sul pavimento trovo solo terra battuta, ed ai lati alcune strutture da stalla smembrate e divelte.
Ma resto piuttosto sorpresa da ciò che vedo in fondo: una specie di voragine quadrata. Dal bordo più vicino noto una discesa, che si tuffa verso un tunnel completamente buio.
E capisco che Magalie ci si sta fiondando proprio quando termino questa mia esplorazione visiva, ossia quando poggia la ruota sul terreno cementato della discesa.
La vedo azionare un comando sul cruscotto, illuminando il fanale.
Questa galleria è abbastanza spoglia: nulla varia nei muri di mattoni costantemente grigi e nell'asfalto nerastro.
-E se qualcuno entrasse qui e vi trovasse? - chiedo, quasi urlando per sovrastare il vento. In effetti Magalie sta guidando ad una certa velocità.
-E chi se ne frega? Questo è uno degli accessi segreti alla Datospiana, costruito direttamente da loro. Nessuno ci entra, ovviamente, ed anche se qualcuno entrasse se ne fregherebbero. Sono così stupidi, poi, che non ci sono telecamere. Tanto solo da una parte si può andare, od almeno così credono!
-Ma se potevi arrivare alla Datospiana da qui, perché ci hai fatto camminare tra quei fanghi di merda invece di portarci in motorino?! - chiedo, urlando ancora di più.
-Questo gioiellino - risponde battendo con fierezza sul motore coi piedi - era in riparazione, fino a ieri. Per questo ora splende! Ma io ero alla Datospiana, per liberare voi! Guarda che me la sono fatta pure io a piedi per due giorni!
-Certo che scegli con cura la data in cui riparare il motorino! - ribatto.
Le vedo le guance arrossarsi. -Se vi foste dati una mossa andando subito al fortezzone per uscire, invece di cincischiare nel prato litigando ed abbracciando, l'avrei avuto anche per voi! - Urla, visibilmente scocciata. -Invece tu dovevi provarci con lui, quindi ti sei beccata la camminata!
Zittita e rovente per la vergogna, trovo una sola parola da dire: -Ok.
Magalie, per fortuna, non sembra voler aggiungere altra legna al fuoco.
Dopo qualche secondo, comincio a vedere una luce debole in fondo.
Mentre procediamo, comincio ad intravedere anche chiazze di un verde ombroso. Fronde d'alberi, che nella foresta schermano il sole, sfocando le immagini che arrivano ai miei occhi.
Tra l'altro, quest'uscita è molto più piccola di quanto mi sembrava qualche secondo fa. Infatti, è parecchio stretta, praticamente un quadrato di un metro quadro, nulla in confronto al burrone che c'era nella stalla.
Rafforzo la mia presa su Magalie, aggrappandomi. Lei, per fortuna, non reagisce se non con uno sbuffo annoiato. Nel frattempo raggiungiamo la salita, ed io mi accorgo di faticare comunque a restare in sella. Sono tutta in tensione.
Però, riemergendo nel sottobosco, ritrovo la stabilità. Mi lascio sfuggire un sospiro sollevato quando la ruota raggiunge l'asfalto, già diretta verso destra, riportandoci in orizzontale.
Osservo il percorso della strada, circondata dagli alberi. La visione però viene strappata dai miei occhi, riempiendomi di delusione improvvisa, perché Magalie sterza verso uno stretto sentierino sterrato che si dirama dalla strada asfaltata, formando assieme alla bocca del tunnel sotterraneo una linea che taglia obliquamente l'asfalto. Io mi volto un attimo, con cautela, per osservare l'altro lato del percorso, a sinistra, ma gli alberi accorrono troppo rapidamente a coprirmi la visuale.
Continuiamo sempre dritto, sterzando leggermente solo di tanto in tanto, in una distesa boschiva sempre uguale. Stesso tappeto erboso, stesso fogliame, quasi gli stessi tronchi. Mi chiedo come faccia ad orientarsi, e soprattutto a non lamentarsi di questo vento che crea. Sta praticamente trasformando i miei capelli in una bandiera, ed essere pennoni non è affatto bello. La maglia, per di più, mi sbatte contro la schiena.
Continuiamo per due minuti buoni. Dopo di che, comincio a vedere qualcosa interrompere questa monotonia.
Una larga struttura in vetro, composta da una decina di enormi scomparti rettangolari in fila, sorge dal terreno bloccando la vegetazione. I raggi solari che passano per il buco creato dalla mancanza d'alberi li fanno scintillare.
Finalmente Magalie comincia a decelerare, placando i miei capelli e la maglia. È un vero sollievo.
Ma non si ferma. Raggiunge invece uno degli scomparti, che si rivelano aperti. Al loro interno, l'unica cosa diversa dalle pareti di vetro è il pavimento in mattonelle di pietra levigata, come in un ascensore. Solo a questo punto accosta la moto alla parete in fondo, appoggiandosi ad un maniglione orizzontale fissato alla lastra. Un luccichio di uno degli anelli dorati, che intervallano la plastica bianca, quasi mi acceca. Dopo aver abbassato il cavalletto, Magalie scende con nonchalance. Io la imito dopo un secondo.
La guardo mentre fa scorrere le dita, in linea retta, da un anello all'altro. Sono quattro in tutto. Lei, però, al terzo si ferma, e lo stringe con forza.
Un piccolo tremore ai miei piedi.
Ho una lieve perdita d'equilibrio, ma mi risollevo velocemente. In tempo per accorgermi che il pavimento sta scendendo con un ronzio sordo.
La foresta comincia a scomparire lasciando il posto a muratura nera.
Quando la cabina ha terminato il viaggio, siamo in una specie di corridoio buio e stretto, la cui unica luce viene dal fondo. Capisco che svolta a sinistra, perché un chiarore azzurro si riversa da quella direzione contro la parete opposta. Da quella stessa apertura viene un indistinto brusio.
-Monta di nuovo - mi ordina Magalie, inforcando il motorino. Incespico un pochino cercando una posizione stabile, poi lei allunga il piede per alzare il cavalletto e mette in moto.
Come fosse una consuetudine, percorre con nonchalance il corridoio sterzando poi a sinistra, verso la luce.
Tutto mi travolge di colpo.
Davanti a me, illuminato da lampade azzurre, c'è un intreccio di corridoi ed edifici ad isola, cubi che congiungono pavimento e soffitto. Non capisco bene cosa siano, ma hanno un'aria da magazzini. Ed intorno a loro c'è parecchio fermento.
Tanti uomini (e donne) che girano da un edificio all'altro gridando direttive, domandando, ordinando.
-Non siamo pochini, eh? - mi dice Magalie con un occhiolino. -Questo avrebbe dovuto essere un centro commerciale - continua svoltando verso sinistra, imboccando la porta di un luogo che, a giudicare da vastità, linee sul pavimento cementato e numero di macchine, dev'essere il parcheggio. -Ma il progetto fu abbandonato, così noi ci abbiamo costruito il nostro quartier generale. E fidati, sembrerà vulnerabile, ma ha difese che spaccano nel vero senso della parola. - Dicendo ciò rallenta, spegne il motore e si trascina col piede fino ad una stretta postazione in mezzo a due parcheggi, dove incastra la ruota anteriore tra due sbarre di ferro. A questo punto scendiamo.
Tornando tra la folla, mi spiega: -Questi sono i magazzini, i negozi e gli alloggi. Al piano inferiore c'è roba più interessante, tipo le sale d'intrattenimento e le postazioni d'attacco. Ma adesso a noi interessa quello più basso, dove c'è la dirigenza.
Mi conduce ad un cubicolo poco distante. Non lo riconosco subito, ma poi capisco che è un ascensore. Davvero tutto il tempo nella Datospiana ha eroso così la mia memoria?
Una volta dentro, Magalie sulla pulsantiera alla mia sinistra preme un pulsante quadrato e bianco, con scritto "1".
Le porte si chiudono scorrendo delicatamente, schermandoci da qualsiasi immagine del mondo esterno. Poi la cabina scende, con tanta rapidità che mi sento un po' venir schiacciata.
Dopo qualche secondo, ci ritroviamo davanti un piano uguale al precedente. Ma l'azzurro delle lampade è più cupo, tutto è tinto di grigio e nero e non c'è neppure un'anima.
Mi conduce in silenzio facendomi svoltare diverse volte, fino ad un blocco piuttosto largo.
Quando apre la porta, ritrovo la stessa luce azzurra soffusa, ma proiettata su un pavimento bianco e su muri pieni di scaffali. Vi giacciono cartelle, libri e pile di scartoffie. Questa dev'essere una sorta di segreteria.
Eppure, quando vado più avanti, vedo che in fondo c'è solo una scrivania, a cui un uomo ed una donna siedono. La stranezza è che è verticale, quindi non c'è un dietro ed un davanti, quasi a sottolineare una loro parità. Stavano scrivendo su dei fogli, prima che alzassero le loro teste entrambe castane, rivelando lui una faccia tonda incorniciata dai capelli e dalla barba, lei un viso pallido e coperto da ciocche a mo' di colonne.
-Carlo, Marta - esordisce lei.
-Magalie - rispondono loro. Nel frattempo noto in fondo due uomini corpulenti, in divisa nera, sistemare una foglio in una cartella.
Ci avviciniamo a passi rapidi a loro.
Magalie si presenta senza indugiare: -Yeela, o Claudia, è questa. Ma Quassus, o Stefano, è sparito.
Loro sembrano esterrefatti. -Dobbiamo cercarlo. Mettete a punto qualcosa - continua Magalie, in un modo così diretto da far paura. -Indite una ricognizione. Per ora non può essere molto lontano.
Devono essere i capi di questo posto. E probabilmente dell'Associazione Analogica.
La squadrano per un attimo. Poi Marta afferma: -Descrivicelo. Metteremo una taglia su di lui.
Anche se questa cosa mi coinvolge personalmente, mi perdo un attimo ad osservare gli scaffali. Quello proprio alla mia destra ha tre pile di fogli, ed accanto quattro raccoglitori. Il primo dice "Protocolli informatici". Il secondo "Protocolli d'attacco e programmazione". Il terzo "Protocolli di montaggio".
-Mi ricorda tanto il pidocchio!
La voce tonante di uno dei due uomini in divisa mi desta. Volto la testa di scatto, ed i miei occhi non arrivano a leggere l'etichetta del quarto raccoglitore.
Magalie si sporge in avanti tenendo le mani sulla scrivania. I due uomini sono all'altro capo. -Quale pidocchio?
-Forse avremmo dovuto dirtelo - continua lui. -Stamattina c'era un intruso in casa sua. Cosa ti ha fatto?
Magalie strabuzza gli occhi, sbigottita. -Nulla! Abbiamo solo sbrigato una commissione ed eravamo uscite!
-Pensavamo foste state rapite. Adesso stavamo dando l'allarme...
Una faccia terrorizzata appare sui volti di entrambi gli uomini. Anche io comincio a ricomporre il puzzle, ed a giudicare dal viso stupito lo stesso vale per Magalie.
Lei, infatti, letteralmente corre fuori dalla stanza. Svegliandomi completamente da questa sensazione di star assistendo, anch'io le scatto dietro.
Quando spalanco la porta, lasciando si chiuda cigolando, Magalie sta già svoltando in un altro corridoio, contro cui mi lancio.
Lo percorre fino in fondo, per un'altra decina di metri, così non ho difficoltà a seguirla.
Spalanca una porta.
Riesco a fiondarmi dentro prima che la richiuda.
Siamo in uno stanzino scuro, dai muri nerastri, illuminato solo da una flebile lampada giallognola.
Un altro stretto corridoio scava il lato sinistro della stanza. Quando, assieme a Magalie, vi entro, trovo cinque porte nere disposte in fila. Accanto a ciascuna brilla un tastierino a nove cifre.
Magalie batte sulla porta. -Stefano!
-Magalie... - risponde una voce flebile e debole dall'interno. È la sua, non ho dubbi.
Digita un codice di sette numeri. La porta si apre schioccando.
La fa scivolare all'indietro, rivelandomi una stanza buia e fredda.
Ma anche con la poca luce che c'è, vedo Stefano, ancora in pigiama davanti alla porta. Steso sul pavimento.
Sono così sollevata, arrabbiata, emozionata, che non posso non correre su di lui ed abbracciarlo, per quanto possibile. -Stefano... - singhiozzo. Posso sentire qualche lacrima scendere.
-Claudia... - risponde. Ha un'aria molto debole.
Anche Magalie s'inginocchia, ed apre la bocca.
Ma prima che proferisca parola, un'altra voce, quella di Marta, mi fa voltare. -Scusate per l'inconveniente - dice -Ma ora che siete tutti riuniti dovremmo parlarvi. Non c'è tempo da perdere.
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