CAPITOLO 2-Atto di fiducia
(Claudia)
Quando schiudo gli occhi, so già cosa mi troverò davanti.
Prima lo strato ferroso, piatto e freddo, che compone il soffitto. Ma la cosa che sicuramente dovrebbe impressionarmi è il vascone alla mia sinistra.
Dentro vi sta dormendo Magalie, immersa nel liquido blu ed indossando soltanto un abito aperto bianco, come quelli che avevamo noi fino a ieri. Tuttavia non mi fa un grande effetto.
Così, facendo ritornare lo sguardo verso l'alto, mi sollevo in una posizione seduta. Adesso posso vedere tutta la casa, anche se è uguale a ieri sera. In fondo, è illuminata artificialmente.
È strano essere fuori dalla Datospiana dopo sei anni. Mi sono riadattata in fretta al mondo reale, eppure ancora lo vedo poco familiare.
Non so cosa dovrei fare, così mi alzo. I piedi sgusciano fuori dalle coperte atterrando su un piolo. Scivolano sul lenzuolo di Stefano, per toccare il pavimento. Quando poi mi ritrovo di fronte al vascone, esamino la faccia di Magalie. Gli occhi sono chiusi, ma la testa oscilla leggermente.
Già il fatto che dorma là dentro non mi piace. Anche se non ho trovato strani dispositivi elettronici, chi mi dice che non sta colloquiando con dei computer? Per quanto mi riguarda, mi fido solo di Stefano.
Forse sarà meglio controllare. Svegliandola.
Immergo una mano nel liquido. Attendo per un secondo, come aspettandomi le succeda qualcosa. Ma vedendo che nulla avviene, raggiungo i suoi capelli e li scuoto. Mi curo di non farle male, perché sembrerebbe troppo aggressivo.
Lei apre gli occhi di colpo. Solo allora realizzo che ha tolto gli occhiali: gettando qua e là un paio di sguardi fugaci, li trovo su un bordo del vascone.
Si limita a sorridere uscendo dal liquido con la testa. Qualche rivoletto continua a colare. -Sì?
Mi aspettavo una reazione irata od affrettata, invece aspetta per quattro secondi, finché non rispondo: -Volevo solo svegliarti.
Non mi risponde ancora, ma alza un braccio. Scopro che ha un orologio da polso. -In effetti sono le 6 e mezza del mattino - commenta fissando il quadrante, poi rivolgendomi di nuovo lo sguardo. Non si spoglia mai del sorriso. -Era ora di alzarsi.
Vedo come sia noncurante, normale, calma, insospettabile, e la bile mi sale. Nel frattempo si mette in piedi nel vascone stesso. Quando il primo piede emerge e vola sul pavimento, sto già traboccando. Ma quando il secondo piede bacia il pavimento e lei sballottola i capelli schizzando attorno, sento di non potermi trattenere.
Non me ne rendo conto subito, ma i miei piedi scattano verso di lei e le braccia si sollevando. Afferrano la scollatura di quello straccio biancastro e la spingono in avanti, finché la sua schiena non impatta contro il ferro.
Mi sento come in un vecchio film americano sui criminali. Lo sguattero d'un boss che tiene un nemico incollato al muro, minacciandolo. Il suo respiro accelerato improvvisamente rafforza la sensazione. È strano essere dalla parte del predatore.
Sento i miei denti digrignarsi ed i muscoli brachiali tendersi. La voce che mi esce è gelida, ruvida. -Io. Di te. Non mi fido.
Mi fissa con occhi supplichevoli. Poco dopo però sembra tornare in sé ed articola poche e chiare parole: -Vi ho già dimostrato di essere vostra amica.
-Tutti sono in grado di mentire. Per esempio, chi mi dice che quel computer è tuo? - ribatto, lanciando un'occhiata al tavolo. La sferetta è appoggiata lì, senza rotolare, immobile, tanto che sembra fissarmi.
-Allora dimmi tu. Dimmi come posso dimostrarti di essere dalla tua parte.
Questa era una domanda che non mi aspettavo. Già per il solo fatto che me l'abbia posta sarei tentata di crederle, ma decido di non abbassare la guardia.
Ragiono per qualche secondo. Cosa non potrebbe fare se stesse coi computer? È facilissimo mentire od avere complici.
Ma ho un'idea. -Infrangi la legge.
Non batte neppure un ciglio. Continuo a non escludere la possibilità che sia una brava attrice. -Bene. Come vuoi lo faccia?
Mi basta qualcosa di semplice. -Hackerare un ufficio pubblico ti va bene?
Ancora non mostra nessuna preoccupazione, scrolla semplicemente le spalle. -Quale ufficio? Ci andiamo subito.
Non conosco nessun indirizzo di banca a memoria, e comunque li avrei dimenticati dopo sei anni. -Andiamo all'Eur e scegliamone uno a caso. Bloccherai il suo sistema informatico per due ore, ed infilaci una spia.
Dice "d'accordo" e si divincola dalla mia stretta strisciando. Ormai avevo allentato la presa. Si dirige verso la porta del corridoio della dispensa, probabilmente per andare a cambiarsi, ma mentre cammina io l'avverto: -Ricorda. Fai un passo falso. Ed io ti spacco quella cazzo di testa.
Annuisce facendo "mh-mh", tranquilla ed impassibile, come le avessi offerto una caramella.
Per qualche minuto attendo, nervosa. Ho paura di scoprire sia che ci abbia ingannato, sia che mi sia sbagliata. Poi guardo Stefano, che sta ancora dormendo. A giudicare dall'ora mattiniera e da come russa, non credo si sveglierà prima che torneremo.
Sia per controllare Magalie che per cambiarmi, entro nel corridoio. L'angolo dei vestiti, se non erro, è dalla parte opposta alla dispensa.
Spalanco a mia volta la porta. Quando mi si para davanti l'immagine del corridoio, sento già il rumore di una chiave scattare in direzione del bagno.
Esamino rapidamente gli scaffali di abiti, ed opto per una maglia a maniche lunghe dalle righe viola e rosa. Non ho specchi per guardarmi, ma non m'importa molto. Voglio questo. Devo però dire che Magalie ha gusti abbastanza schifosi in fatto di vestiti, ed io non voglio indossare schifi dopo aver portato per ben sei anni un cencio da schiava egizia.
Per i pantaloni, scelgo un paio di jeans. Hanno un'aria molto classica, senza tratti distintivi che solchino il tessuto blu oltre a qualche riga bianca e strisce consumate.
Per un attimo cerco anche della biancheria, poi abbandono l'idea. Sia perché non voglio (per quanto non mi fidi di lei) sprecargliela, sia perché l'idea che qualcuno entri in questo corridoio per caso e mi veda nuda non mi va per niente a genio.
Cerco comunque di essere rapida mentre sfilo il pigiama ed indosso i miei primi abiti. Rendendomene conto provo una strana felicità. Nella Datospiana, almeno nella mia mente, avevo dei vestiti. Però, quando uscendo dal vascone ho capito di non averne tenuti per sei anni, ho avuto una sorta di shock. Sapere che stanno ritornando dopo tanto tempo sul mio corpo è un vero sollievo.
Proprio quando ho tirato giù completamente la maglia, sento un cigolio metallico. Alzando lo sguardo, vedo che Magalie sta uscendo, bardata d'un abito da donna dal motivo a fiori rosati, ovviamente su sfondo nero. Da come è conciata non si direbbe stia andando a commettere un reato.
La porta scorre richiudendosi dietro di lei. Aggiustando gli occhiali (neri), mi incita: -Andiamo. - Eppure ha un tono da affermazione.
Io resto un pochino lì impalata a guardarla. Intanto lei procede, trascinando l'orlo dell'abito mentre cammina. Raccoglie anche un paio di mele dalle mensole. Quando però afferra la maniglia, esco dal torpore ed ordino ai piedi di muoversi in direzione del varco appena creato.
Fuori dalla porta, che si richiude sempre cigolando, mi porge una delle due mele col consueto sorriso gentile: -Vuoi? - Ogni volta che si dimostra così amichevole vorrei spezzarle le anche, ma ammetto ancora la possibilità che sia affidabile. Comunque, tutto mi sembra quasi una presa in giro. Già il fatto che esista l'Associazione Analogica puzza da lontano, perché i computer di certo han previsto che un gruppo simile possa nascere e si sono curati che ciò sia impossibile.
Ma stiamo a vedere. Tanto sono capacissima di spaccarle il cranio, e non me ne fregherà se verrò schedata, arrestata o che. Dopotutto ho consacrato anni fa la mia vita alla lotta contro questa tirannia.
-Vuoi? - dice lei e rinvengo di colpo, intuendo di averla fissata nel mutismo completo per un po'. -Sì.
Mordicchiando la mela, indico con gli occhi Stefano. -E lui?
La sento sbuffare, poi si dirige verso il vascone. Raccoglie un blocchetto per appunti bianco poggiato accanto alla pietra, che prima non avevo notato. Dopo di che, mi raggiunge rapidamente. L'abito continua a sballonzolarle. Protende verso di me il blocchetto ed una penna nera. -Scrivigli un biglietto.
Sono un po' perplessa, ma afferro (forse con troppa violenza) la carta e traccio sopra facendo svolazzare la penna: "Stefano, io e Magalie siamo in giro a sbrigare una commissione. Non uscire. Claudia."
-Ma se lo svegliamo? - suggerisce Magalie.
-Nah - rispondo io, con secchezza. -Non ci vorrà molto, spero. Lo riprenderemo al ritorno. - Più che altro non vorrei trascinare anche lui in qualsiasi macchinazione che Magalie potrebbe aver ideato.
-Come vuoi - risponde senza batter ciglio. Così, senza pronunciare neanche un'altra parola, poso il biglietto accanto a Stefano, curandomi di non svegliarlo, e finiamo di smangiucchiare le mele.
Alla fine, chiedo: -Per il torsolo?
-Nel bosco. Tanto è biodegradabile.
Non fa una piega.
Andiamo verso la porta. Ovviamente Magalie mi sta davanti, e me la spalanca. Trattengo l'impulso di sputare mentre la oltrepasso dicendo "grazie".
Sempre lei sale le scale per prima, ed apre la botola. Ma anch'io, che sono un piolo sotto i suoi piedi, vengo investita dalla luce solare e dall'afa.
Davvero sto vedendo, dopo sei anni di internamento, il sole? Non mi sembra vero.
Emergiamo all'esterno. Mentre Magalie chiude e sigilla la botola, mi guardo attorno, notando due cose. La prima è che la mattina ha trasformato del tutto il precedente scenario notturno. In lontananza si vede la città e non le sue luci; la Pontina risplende del riflesso del sole sull'asfalto per tutta la sua lunghezza visibile (essendo mancata per sei anni, non ricordo immediatamente che la Pontina è la strada che collega Pomezia ed il quartiere romano di Spinaceto); il prato ed il bosco sono divenute rigogliose distese di verde. La seconda è che fa tremendamente caldo, tanto che già nel momento in cui Magalie si alza tornando a guardarmi sento un urgente bisogno di arrotolare queste maniche.
Chiedo: -Ma che giorno è oggi?
-25 maggio, perché? - risponde. -Niente, per sapere - dico io.
Dunque è estate. Ormai ho scordato la data che veniva mostrata sui tablet della Datospiana, e non saprei più dire se fosse vera o falsa.
-È normale - mi dice Magalie. -Alcuni tuoi ricordi sono bloccati nella Datospiana, e non li recuperi se non uscendo. Ricordavi ad esempio il tuo vero nome?
Scuoto la testa.
-E mai l'avresti ricordato, senza quel documento.
-Ma tu come sapresti tutto questo?
Deglutisce un attimo, ricordando che non mi fido ancora. -Semplicemente l'Associazione ne ha scoperte di cose. Poi, non saprei dirti esattamente quali ricordi vengano bloccati, ma un tecnico sì.
Ancora diffidente, mi limito ad annuire.
Mi conduce alle rovine di una fattoria ridotta in macerie. Ha nascosto un motorino che potremo usare per raggiungere Roma, ovviamente truccato perché non nessuno ci spii. Mi ricorda infatti che in realtà le telecamere delle automobili sono nascoste, e vengono inserite solo per legge. Molte persone neanche lo sanno.
Per fortuna, questo lo ricordo, le strade non hanno telecamere. Tanto ci si circola solo in macchina: chi avrebbe il fegato di attraversarle a piedi o passare per i campi? A quanto pare, Magalie.
Così ci godiamo la mezz'oretta di viaggio, durante cui prima il bosco, poi le alte e rosate case di Spinaceto, ci sfilano davanti. Alla fine, arriviamo a Roma, ed alla lunga strada che conduce fino al vecchio cupolone del Palasport. Però, non ricordo più cosa ci facciano adesso.
Mentre scendiamo dalla collinetta su cui poggia la strada, mi dice: -Da che parte vuoi andare?
-Destra.
Lei agisce di conseguenza quando arriviamo al semaforo.
Vedendo che mi lascia scegliere la direzione rimango ancora più perplessa.
La cosa bella è che, proprio appena svoltiamo, adocchio una larga piazzola asfaltata adiacente ad un benzinaio. In un angolo alla mia sinistra, c'è un edificio basso, la cui insegna legge: "Ufficio giudiziario".
-Qui - dico seccamente a Magalie indicandolo, senza pensarci troppo.
Con la solita tranquillità, entra nella piazzola e parcheggia.
Dopo che siamo scesi, ci avviamo verso la costruzione biancastra.
L'interno è abbastanza asettico, con le sue pareti bianche e spoglie. Nel complesso ricorda un'anagrafe, com'è giusto che sia per un edificio in cui si schedano i rei e si sporgono denunce.
Magalie chiede ad un'addetta dietro uno sportello di vetro, incastrato tra pannelli di legno: -Scusi, dov'è il bagno?
Mi curo di non dirlo, ma capisco che cerca un posto in cui non ci spiino. I bagni, anche pubblici, sono tra i pochi e non essere sorvegliati, e lo ricordo bene.
Riceve l'indicazione, che non sento, e mi dice: -Aspetta qui.
Mi siedo accanto ad un uomo sulla trentina su una seggiola blu, senza vedere dove vada, ed aspetto. Dopo un paio di minuti esce da un corridoio oltre gli sportelli. Mentre procede, un addetto da uno sportello grida: -Che succede?!
Voltiamo entrambe la testa di scatto.
-Il computer si è impappinato! - urla un'altra addetta.
-Anche a me! - dice quella che ha dato l'indicazione a Magalie.
Un altro addetto, che dev'essere l'alfa, grida a tutti sbrigativamente: -Ufficio chiuso per forze maggiori! Andate via!
Tutti i presenti sbuffano lamentandosi, ma escono obbedienti, e così io e Magalie.
Magalie cerca di sembrare arrabbiata per mescolarsi con la folla. Capisco che non vuole destare sospetti, ma fatico a seguirla.
Il viaggio di ritorno mi sembra interminabile, forse perché parliamo, a voce un po' bassa per curarci che comunque nessuno ci senta per sbaglio. Io le dico che adesso, vedendo che ha fatto effettivamente ciò che prometteva, mi fido. Ha inserito anche una microspia per monitorare l'attività, così potrò appurare che l'anomalia duri effettivamente due giorni. Mi garantisce che quel virus è pressoché infallibile, almeno in sistemi deboli come quelli. Perché a quanto pare un ufficio giudiziario è insignificante, e ci sono luoghi ed istituzioni con sistemi informatici ancora più forti dove non invece non basterebbe. Quando le chiedo se potrebbe essere scoperta, risponde con sicurezza di no. Quel computer-sferetta non ha nessun'identificazione fissa e quindi è impossibile risalirvi. Lei ha applicato un nome temporaneo per attivare la microspia, che sparirà quando decadrà il virus.
Insomma, si è ben sforzata di conquistare la mia fiducia e credo che questo basti. Mi sto già pentendo di quando volevo riempirla di sberle.
Mi spiega anche un po' della sua vita privata, raccontandomi di come sia arrivata in Italia dalla Francia quattro anni prima della dittatura. Era un periodo fortunato per questo paese, così i suoi avevano deciso di trasferirsi quando lei aveva sette anni (infatti ora ne ha diciotto, come me). Fu il suo primo viaggio in aereo ed era spaventata: tuttora ha paura delle altezze. Fortunatamente lo superò senza vomitare. Si integrò bene in Italia, e lo vedo anche da come ormai parla l'italiano. Trovò anche un ragazzo, insomma, sarebbe stata una normalissima italiana. Solo che quando venne la dittatura i suoi genitori vennero arrestati quasi subito perché cercarono di ribellarsi, e lei fu costretta a vivere sola. Furono persino clementi, su questo fronte. Così, un anno dopo, dopo aver servito i computer da programmatrice diligentemente per tre anni vivendo di sussidi, si unì alla nascente Associazione Analogica. In quel periodo ancora non erano autosufficienti, così continuò a lavorare. Dopo due anni, però, poté sparire completamente. Con un particolare virus di loro invenzione, la cui progettazione era durata proprio due anni, distrusse tutte le sue immagine in circolazione e fu come se non fosse mai esistita. Io all'epoca ero già nella Datospiana, ma pare si sollevò un gran trambusto per questo.
E tutto questo ha condotto alla Magalie attuale.
Vedo però che vive dolorosamente soprattutto i primi ricordi, perché quando cerco di scendere nel dettaglio divaga.
Preferisco perciò non scavare con ulteriori domande e rimaniamo in silenzio per l'ultimo tratto di strada, fino alle rovine, tra cui Magalie riparcheggia il motorino. Poi ritorniamo alla botola e scendiamo le scale.
Mi accorgo di star sorridendo mentre Magalie inserisce una mano nello scanner.
La porta si schiude col solito cigolio.
Sfiliamo all'interno. Comincio a mettere a fuoco tutto, finché Magalie non sussurra: -Ma...
Seguo il suo sguardo, ed inorridisco a quello che vedo.
Tra le coperte del letto inferiore, rivoltolate in un casino, non c'è più Stefano.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro