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CAPITOLO 1-Ora di resistere

(Stefano)

Adesso ricordo bene parecchie cose.

Per esempio che questo è proprio il posto in cui ho lasciato mia madre qualche giorno fa. Quanti non saprei, ho perso il conto. Ma è ancora vivido il ricordo delle sue lacrime, del mio nome pronunciato in una stretta soffocata.

Tutti e tre fissiamo Magalie. Dopo l'ultima parola, ha voltolato la testa togliendosi i capelli dal viso. Ora vedo ancora meglio come la sua pelle chiarissima riluca davanti al baluginio azzurro dell'edificio.

-Cosa vuoi da noi? - chiedo io, più bruscamente di quanto desideri.

-Non qui - risponde lei. -Solo dove non ci sentiranno.

Ma Yeela, facendo un passo in avanti con aggressività, avanza una questione ben più importante: -Come possiamo fidarci di te? Chi sei? Perché sei qui? Cosa non ci dice che non ci ucciderai né porterai dalla polizia?

-Non ho armi, come potete controllare - ribatte con un tono calmissimo. -Se la signora acconsente - indica la segretaria - può scortarci con la sua macchina dove volete, così sarete sicuri. Purché sia un luogo segreto.

È la segretaria a decidere: -Posso dirvi io per prima che non ci sono spie qui. Ma a quanto pare vuoi essere sicura, allora andiamo a qualche metro da questa posto. Nessuno ci sentirà, ma non potrai fare piani loschi. - Poi ci fa un cenno, senza neanche aspettare una risposta. Va da sola tra gli alberi, rassicurandoci con tono neutro: -La strada è a pochi metri.

Noi due e Magalie rimaniamo con la stessa espressione sbigottita. Ma, non avendo idee migliori da proporre, prendiamo a zampettare seguendola senza protestare.

Il tragitto è breve come dice, ma varie sensazioni me lo rendono interminabile. Per dirne una, il fango che sto calpestando, ancora fresco. Aghi che mi punzecchiano. Freddo che mi attanaglia le cosce (quasi nude).

Per fortuna, dopo tutto questo c'è del classico e sicuro asfalto. Ed appoggiata ad un albero dalla nostra parte, una macchina. Appoggiata alla macchina, seduta sul cofano, la segretaria. (Fa un certo ribrezzo chiamarla così).

Squadra i nostri sguardi provati. Al contempo porta un indice alle labbra, ad ordinarci il silenzio.

So da solo che anche la macchina, come qualsiasi altra, dev'essere controllata e che quindi è meglio passare oltre senza fare rumore.

Attraversiamo la strada stessa. Scarichiamo sull'asfalto il fango accumulato dai piedi.

Anche se rimaniamo nel mezzo della foresta, adesso attraverso la striscia di volta celeste lasciata libera dal percorso stradale posso vedere il cielo notturno. Oltre ai soffici colpi regolari dei nostri passi si odono a malapena le lucciole. Non sta arrivando nessuno che possa vederci.

Per fortuna, dall'altra parte i miei piedi non vengono accolti dal fango, ma dal dolce solletico dell'erba.

Procediamo più in fondo. Superiamo un'altra ventina di alberi, finché, nella poca luce lunare che filtra tra le fronde, la vediamo levare un dito. Dopo di che sentenzia: -Qui sarà sicuro. Di sicuro.

I nostri ultimi passi atterrano sul tappeto del sottobosco.

-Bene, Magalie. - La indica. -Puoi scambiare le tue due parole.

Si gira verso di noi. I suoi occhiali tentennano, mentre muove disordinatamente le labbra cercando le parole da articolare. Probabilmente non sa da dove iniziare, ma spero si sbrighi.

-Ecco... - anche se neri, vedo il nervosismo trapelare dai movimenti ritmici dei pantaloni. -Sono stata io a tirarvi fuori dalla Datospiana.

La... segretaria irrompe subito nella conversazione, esclamando: -In che senso?

-Nel senso che li ho salvati - ribatte Magalie. -Ma lasciatemi spiegare tutto con ordine. Per prima cosa vorrete che ve lo provi - afferma, cercando qualcosa nelle tasche. Devo ammettere che fino ad ora non le avevo notate, ma adesso la sua mano è semi-scomparsa. Quando la risolleva, estrae una sferetta di ferro. È piuttosto grande, sembra una palla da tennis; strano che non abbia notato rigonfiamenti.

-Guardate - dice rigirandosela tra le dita. Preme un tastino da qualche parte col pollice.

Una luce azzurra improvvisa scaturisce dalla superficie dell'oggettino. È una sorta di pannello quadrato svolazzante. Quando vedo comparire del codice sopra, capisco che è un computer fluttuante, come quello che ho io. Anzi, che avevo, visto che era semplice codice della Datospiana. Il pensiero già mi mette tristezza.

-L'avevo già preparato - afferma Magalie, senza dirmi a cosa si riferisca. Preme qualche pulsante e scorre un menù. Da dietro non riesco a leggere le scritte, ma ad un certo punto apre qualcosa che sembra del codice.

Con le dita, gira la sfera. Il pannello ruota con lei, buttandomi per un attimo la luce in faccia (visto che non è un programma in grado di ignorare altre presenze fisiche). Dopo però lo schermo è rivoltato dalla mia parte, e posso leggerlo perfettamente. -Che cos'è?

Riconosco quelle stringhe. -Sono i nostri avatar - rispondo, un po' colto dallo stupore.

-Esatto - dice Magalie. -Questo ti dimostra che ho avuto accesso alla Datospiana.

So che cerca di convincermi così, ma non mi fido ancora completamente. -E quindi? Ho una ragione in più per credere che lavori con loro. - Non pronuncio apposta il nome "computer". Non voglio mi tocchi le labbra.

-Prevedevo questa risposta. - Mentre butta con sufficienza questa risposta, rigira la sfera e torna a scorrere e digitare. Arriva ad un campo vuoto, e me lo ripresenta. L'unica sagoma è quella della tastiera a schermo. -Sai accedere ad una cronologia?

-Sì - rispondo io.

-Allora puoi controllare che cosa ho fatto effettivamente. Se lì dentro trovi che ti ho tirato fuori io, sono dalla vostra parte. Semplice, no?

Penso si possa fare, così allungo le mani verso i tasti. Scrivere così sarà un po' scomodo, ma sopporterò. -Ti dispiace se carico un piccolo antivirus?

-Scherzi? Mi faresti un piacere - risponde ridacchiando.

Accennando anch'io un sorrisetto, comincio a caricare l'antivirus per smascherare un inganno nel registro. Ci vuole comunque un pochino, perché voglio anche appurare che questa sia effettivamente una finestra di programmazione e non una qualche trappola. Quando, dopo parecchie stringhe d'esplorazione e rilevazione lo finisco, inserisco l'ordine di mostrarmi la cronologia. Per tutto il tempo le altre mi hanno fissato. Sembrano aspettare la sentenza di un giudice.

Anche per me è una sorta di liberazione (seppur ansiogena per ciò che troverò) premere il tasto Invio.

La cronologia mi viene mostrata. Una serie di righe con ore e date, probabilmente ogni azione compiuta.

L'antivirus non ha fatto comparire nessun avviso, quindi è tutto a posto. È una cronologia vera.

Magalie capisce che ci sono arrivato, così sentenzia: -Apri l'ultima azione.

Clicco la prima riga con l'indice, e mi appare una schermata doppia. In entrambe le colonne c'è del codice, ma nella seconda una parte è evidenziata. La modifica.

-Puoi descrivere a Claudia cosa indica il codice?

In effetti non l'avevo letto, così comincio adesso. -A sinistra c'è il codice... di un avatar... un mantello nero e... - capisco subito.

-È Darth Vader? - chiede Claudia, pleonasticamente.

Volgo gli occhi nella sua direzione. -Sì.

È l'unica risposta che riesco a partorire.

Magalie comunque mi incita: -Continua.

La mia faccia ritorna verso lo schermo nel silenzio. -Un corridoio bianco - dico. Ed ho già i sudori freddi. -Finisce con una porta nera, che qui è spalancata. In un punto della parete ci sono degli anelli di ferro. Oltre la porta, una stanza con pareti di ferro...

-Può bastare - mi ferma Magalie. -Claudia, era la plancia?

Quando mi volto di nuovo a guardarla, ha la stessa espressione sbigottita dagli occhi sgranati e spenti che probabilmente ho io. -Sì.

Resto un pochino scombussolato quando lo schermo viene tolto di colpo. Poi rivedo la faccia trionfante di Magalie. -Visto? Vi ho tirati fuori io.

Qualcosa mi dice ancora di non fidarmi, ma non ho nulla per supportarlo. È stata lei, non posso negarlo. Dobbiamo fidarci di lei.

-Ed in che senso la Datospiana è controllata dai computer? - chiede la segretaria di punto in bianco, mettendo in pausa la mia indecisione.

Magalie sta aprendo la bocca, ma rispondo io per primo: -Gli Antinformatici sono una loro invenzione per attirare i ribelli.

-Esatto - continua lei, rubandomi poi il discorso. -Le Datospiane sono in realtà delle centrali elettriche, solo alimentate da corpi umani.

Guardo la segretaria osservare sbalordita Magalie, rendendosi conto di esser stata imbrogliata per tutta la vita. -Che minchia vuol dire?

Capendo che la domanda è retorica, nessuno le risponde. Poi, però, elaboro tutte le parole di Magalie. -"Alimentate"?! Ce ne sono altre?

Lei risponde con sufficienza, come fosse ovvio. -E certo, altrimenti nel resto del mondo come si procurerebbero energia? Ovviamente la loro esistenza non è nota al pubblico, esattamente come per quella romana. Inutile dire che sono tutte uguali. Perché, voi come avete conosciuto questa?

È Claudia a rispondere. -C'era in giro la voce. Non so, ma... lo sapevo in qualche modo. Sapevo che nei pressi di Roma, in questa zona, ce n'era una.

-Chiaramente - spiega Magalie. -Ce n'è una in ogni città importante. Anche Milano, Palermo, Torino, tra le altre, e mi sto mantenendo nella regione dell'Italia.

Regione. Il modo in cui lo chiama mi fa venire in mente quando anni fa, prima che tutto fosse così, l'Italia era un unico paese, unito. Ora, invece, non è niente se non una mera divisione amministrativa.

-Tutti ovviamente sanno della Datospiana della propria città, perché si lascia circolare la voce. Si fa credere che si faccia qualcosa per smantellarla, ma in realtà è tutto falso. Poi, ben pochi di questi tempi si trasferiscono tra le città. Siamo praticamente isolati, quindi è logico che la cosa non sia molto conosciuta.

-E tu invece come lo sapresti? - avanza Claudia, con determinazione. A quanto pare si fida meno di me.

-Ci stavo arrivando - dice. -Semplicemente, faccio parte dell'Associazione Analogica.

Ripenso un attimo a quello che ha detto. Poi scoppio a ridere: -Dopo quella degli Antinformatici, vuoi proporci un'altra panzana? Ma vaffanculo.

-Vi ho dimostrato che potete fidarvi di me! - grida Magalie.

Sobbalzo per il suo scatto d'ira e decido di zittirmi per ascoltarla.

-Intendo portarvi lì domani. Se volete, passiamo prima a casa mia. Penso vorrete mangiare, bere, dormire. E vestirvi.

Non è un'alternativa che ripudio. Ma Claudia infrange l'aspettativa di una breve risoluzione: -Quassus, io non mi fido.

-Che altro vorresti fare? - le chiedo. Ammutolisce un attimo, segno che non ha una risposta pronta. Così continuo. -Hai visto cosa facevo. Non sta mentendo, è tutto grazie a lei. Ci ha liberati.

Continua a fissarmi. Il suo sguardo è rassegnato, ma al contempo sembra dire: "vuoi davvero metterti nelle mani di questa pulce?"

Io, anche se non mi fidassi, andrei dovunque ci fosse cibo. -Veniamo con te, Magalie.

-Ed io? - chiede la segretaria, che alla fin fine è diventata un terzo incomodo.

Magalie risolve seccamente: -Torna pure a casa tua. Basta che tutto questo resti segregato nella tua testa.

Annuisce. Probabilmente non può lasciare che i computer sospettino di lei, ora che sa. Deve continuare a lavorare. Ma a quanto pare è davvero tenace: -Due cose: puoi distruggere le registrazioni dell'ultima mezz'ora, così che mi venga fatto nulla?

Magalie non dice neanche "sì", ma riapre direttamente lo schermo e comincia a digitare. Nel mentre la segretaria, capendo, pone la seconda domanda: -Nel caso dove posso trovarti?

-Semplicemente, raggiungi l'uscita del bosco attorno alla Pontina dalla parte di Pomezia, cioè dalla parte opposta a Roma. Al limitare, allontanati a destra dalla strada di cento metri. Dovresti trovare una botola di ferro mimetizzata. Quella è la mia casa.

Annuisce. -Be', allora ciao.

Magalie, intanto, chiude lo schermo con un sorriso, indicando che ha terminato il lavoro. La segretaria, invece, scompare negli alberi, accennando solo un saluto, diretta alla sua macchina. Poteva almeno dirci come si chiamasse.

-E adesso? - chiede Claudia, con un tono ancora un po' diffidente.

-Seguitemi - risponde Magalie.

E così parte una camminatona nel bosco. Per fortuna ci facciamo luce con lo schermo, altrimenti non vedremmo neanche i nostri nasi.

Non so quanto duri. Di certo almeno un'ora. Purtroppo, ci dobbiamo rassegnare a farci riempire di nuovo i piedi di fango. A volte incontriamo qualche arbusto fastidioso che ci punge la pelle, ma generalmente quest'escursione improvvisata non procede male. Finalmente, arriviamo al limitare.

Mi chiedo come si stia sentendo Claudia. Per me tutto questo non è così nuovo, lo vedevo fino ad una settimana fa. Ma lei si è assentata dal mondo per ben sei anni.

Prima c'è una distesa sconfinata di campi. Soltanto in lontananza si intravedono le luci della città, sotto l'oscurità del cielo notturno.

Magalie ci indica un punto nel terreno: -È lì.

Abbassando lo sguardo, però, non vedo nulla. Soltanto un mucchio di ramoscelli e foglie.

Quando però lei si inginocchia e ne afferra uno, sollevandolo, comincio a vedere altra luce. Allora capisco che sotto c'è un tunnel, e che quella dev'essere la botola.

Aggrappandosi a delle barre verdastre incastrate in una parete di ferro, ci fa cenno di seguirla e comincia a scendere. -L'ultimo chiude la botola.

-Vado prima io - risponde Claudia, sorridendomi ed accarezzandomi il braccio (impedendomi di mandarla a quel paese). Quando ha afferrato la scala, è troppo tardi. La sua testa, mentre i capelli ondeggiano leggermente, scompare. Mi rassegno e raggiungo il bordo. Poggiato un piede sul primo gradino, prendo dolcemente la maniglia della botola e comincio a scendere anch'io. Il disco metallico si cala dolcemente inclinandosi fino a sigillare nuovamente questo tunnel verticale.

Qui già non c'è il massimo del calore, ma il tocco gelido dei gradini mi fa salire del brividini. Se solo non avessi questo vestito aperto...

Mentre continuo a scendere fino a toccare il terreno di ferro, muoio di vergogna realizzando che da sotto si vedeva tutto. Spero solo che Claudia non abbia avuto l'idea di alzare lo sguardo.

Scacciando il pensiero mi volto, vedendo il resto del tunnel. Claudia e Magalie si sono già schierate, in mia attesa, davanti ad una porta di ferro.

Nel silenzio più totale, Magalie infila la mano in una rientranza quadrata. Dopo qualche secondo di immobilità, dalla superficie coperta si libera un lampo di luce verde, accompagnato da un suono cupo.

Resto in attesa per qualche secondo fissando la sua mano, che poi scivola fuori con dolce lentezza. Ma quando non accade assolutamente nulla, contrariamente a quanto mi aspetterei, resto allibito. Sposto così lo sguardo sulla porta, che scopro essere socchiusa.

Facendo per entrare, Magalie ci avverte: -Per la prossima volta, ricordate di entrare solo con me. Devo sbloccare la casa.

La casa? -Ma la porta non era già socchiusa? - chiede Claudia mentre anche noi procediamo verso l'ingresso, aggiungendomi un dubbio.

Magalie, spingendo la porta, risponde prontamente: -Certo, perché c'è una sorpresina. - La ferma a metà strada

E così ci accoglie nella sua... casa.

Vedo subito che non è certo sfarzosa: si limita allo stretto necessario.

Tutte le pareti (pavimento e soffitto inclusi) sono rivestite di ferro, e la stanza è illuminata da un lampadario dall'aspetto piuttosto anonimo. Ci sono solo quattro cose degne di nota. Nell'angolo a destra, uno stretto tavolo di legno, spoglio di qualsiasi ornamento, affiancato ad un'altra porta di ferro. Questa, però, ha una maniglia. Notando che la osservo, Magalie spiega: -Di lì c'è la dispensa, ed il bagno. Se devi mangiare o lavarti, quello è il posto giusto.

-In effetti ho una certa famina - rispondo. Lei, annuendo, si dirige proprio verso la porta. Mentre va, la sento sussurrare qualcosa in francese che non capisco.

Così, guardo l'angolo a sinistra. Trovo un letto a castello ordinatissimo, dalle coperte violacee quasi splendenti. Accanto, una vasca.

Identica a quelle all'interno della Datospiana.

-Cazzo - sussurro. -Claudia! - la chiamo a voce bassa. Si avvicina a me per ascoltare, ma contemporaneamente Magalie, sentendoci, si volta a guardarci, ed io piombo nel panico.

-Non preoccupatevi - ci rassicura. -È per l'autosufficienza.

Io resto un attimo fermo. -Che minchia vuol dire? - balbetto. -Quell'aggeggio viene dalla Datospiana!

-Ti sbagli - risponde tranquilla, interrompendo il suo viaggio verso la porta. -Se ci pensi, questa tecnologia esisteva già prima dei computer. Loro l'hanno sfruttata, ma certo non è opera loro.

Mi giro un attimo a guardare Claudia. Noto che la sua pelle facciale si sta di nuovo colorando. Afferma: -Ha ragione. Ricordi gli Autoenergeticizator? È stata inventata un paio d'anni prima della dittatura.

Ci metto un pochino ad elaborare il nome, ma poi lo ricordo. Più o meno quando avevo cinque o sei anni furono pubblicizzati massicciamente, quasi come la scoperta scientifica del secolo. Era una memoria sepolta, perché dopo l'avvento dei computer non si sono più visti, ma ho impresso a fuoco cosa fossero. Vasche costituite da un fluido in grado di estrarre dal corpo, attraverso sostanze presenti sulla pelle, energia. Si diceva che i ricercatori vi avessero lavorato per vent'anni. Era pure progettata per fornire ossigeno, quindi potevi dormirci dentro e producevi energia. Ciò che in effetti si fa nella Datospiana. Di certo lo fa anche Magalie. -Noi dormiremo nel letto a castello, vero? - le chiedo, per sicurezza.

-Ovviamente - dice sorridendo.

Bene. Mi sento più sicuro.

Il resto della serata è tra i migliori che possa desiderare. Magalie ci prepara la cena, un piatto fumante di minestra di miglio. Il che, soprattutto per Claudia, dopo una dieta da Datospiana ci voleva. Mentre mangiamo finiamo praticamente per stringere amicizia. Tra una stupidaggine e l'altra, ci ricorda che domani intende portarci al resto della sua organizzazione. Ci spiega anche la trappola: se entri dalla porta senza inserire il mano-codice, una parte del pavimento viene elettrizzata, rendendo l'accesso pressoché impossibile. Una tecnologia sviluppata proprio dall'Associazione Analogica. Quando porta ad entrambi un pigiama da sostituire a questo stracciastro sgualcito, mi sento quasi felice. Anche se l'avevo ignorato durante la cena, lo stavo schifando ogni momento di più. È Claudia la prima a cambiarsi, ed esce dalla dispensa-bagno con una camicia da notte rosa. A me è toccata blu. L'interno della dispensa è abbastanza anonimo, come la casa nel suo complesso. Solo filari di mensole sui muri di un corridoio, che raggiunge una porta di metallo. Oltre quella, c'è una stanza, di metallo come tutte le altre, provvista solo di un lavandino, un bidet ed una doccia. Opto per la doccia. Magalie, durante la cena, mi ha spiegato che è razionata e funziona solo per un minuto al giorno, ma mi basta. Per un minuto mi godo quest'abluzione, mentre lo sporco, assieme allo stress accumulato in questi giorni nella Datospiana, fluiscono via.

Quando chiudo la porta della dispensa, Magalie è già dietro, ed infatti non appena mi allontano entra diretta al bagno chiudendo la porta. Ha ridotto la luce della lampada, così che ho la stessa impressione che avrei se fosse accesa una lampada da comodino. Claudia si è già insediata nel letto superiore, infatti la vedo rimboccare le coperte. Io così mi sistemo su quello inferiore, e rimbocco le coperte anch'io. Nel mentre dico: -Buonanotte, Claudia.

-Buonanotte, Stefano.

Quando chiudo gli occhi iniziando il mio viaggio verso il sonno, non mi sento solo felice. Sono sollevato, perché finalmente posso passare una notte lontana dai pericoli. Lontano dai computer.

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