18. La spillatrice serve sempre.
- Cosa. Cavolo. Era?!?!?! - strillai isterica sbatacchiando le mani in aria.
- Sei stata... tu? -
- Io? E come avrei fatto??? - sbottai. Come poteva pensare che fossi stata capace di fare quella cosa. Quella... scarica... era come energia pura. Tanti colori mischiati e filamenti luminosi che saettavano formando un fascio lucente che era andato ad infrangersi sul petto dell'uomo. E se fossi stata veramente io?
- Secondo me se sei stata tu. - ripeté lui. Poi strabuzzò gli occhi fissandomi le mani.
- Che hai da guardare? - lui indicò le mie mani con il mento. - Oh cacca. - sussurrai piano. La stessa energia che aveva colpito l'uomo, ora mi avvolgeva le mani. Tante piccole saette splendenti e luccicati che si spostavano velocemente stra le mie dita. Strinsi la mano a pugno e i colori divennero più nitidi. Avvertivo quell'energia scorrermi dentro. - Che. Figata. - esclamai saltellando. Restava solo da imparare a controllarla.
Di colpo mi incupii. - E se non fosse una cosa buona? - domandai.
- E perché dovrebbe essere qualcosa di cattivo? - mi fece notare il ragazzo.
- Non lo so, però tutta questa storia mi sembra totalmente assurda. -
- Dovresti essere felice di avere quel potere. Almeno potrai difenderti. -
- Sì, è che sono solo un po' stanca... neanche questo nuovo potere riesce a distrarmi... - sospirai.
- Distrarti da cosa? -
- Da questo viaggio, dai pericoli, da Elise e Alyson... Da tutto questo. Non so nemmeno dove sto andando. Loro sono sparite e io sono qui con te e non ho la minima idea di come cavolo fare a trovarle. - sbuffai.
- Possiamo provare a cercarle. -
- Grazie... - rilassai le mani e i piccoli fasci di luce che mi saettavano tra le dita si dissolsero come delle fiammelle che vengono spente da un soffio di vento. Dylan mi fece segno con la mano ed iniziò a camminare. Ci trovavamo in una zona arida e ricoperta di sabbia e sassolini. La spaccatura nel terreno si trovava poco distante ed era costellata di tanti fili d'erba mezzi rinsecchiti.
Mossi il primo passo in avanti allargando le braccia per non perdere l'equilibrio. Mi accorsi solo in quel momento che mi girava la testa. Raggiunsi il ragazzo che ormai era qualche metro più avanti. La città non era molto lontana, si vedevano gli alti edifici stagliarsi contro il cielo ormai colorato di arancione con sfumature viola e rosa. Il sole era prossimo a calare dietro l'orizzonte. Non avevo intenzione di restare fuori, la notte. Dovevamo trovare un riparo. E dei vestiti nuovi. Avvolgendomi il busto con le braccia per cercare di tenermi al caldo proseguii verso un grande edificio grigiastro proprio davanti a noi.
Arrivai ai piedi dell'alta costruzione di cemento, attraversata da miriadi di crepe più scure che si diramavano facendo il giro di tutta la struttura. Sulla facciata difronte a me vi erano alcune finestre con i vetri sfondati... Sembrava abbandonato da tempo; anni, oserei dire. Era come se, durante il nostro viaggio, io, Elise ed Alyson, fossimo passate da una parte del mondo in stile medievale ad una nuova parte quasi "moderna", ma diroccata e pericolante. E pensare che tutta quella roba era uscita fuori dal mio cervello! E pensare che ero dentro un libro che avevo scritto io... Presi un bel respiro e mi diressi verso la porta. L'episodio con quei tizi picchiatori di ragazzine e quella ruota gigante mi avevano scossa parecchio, ma il desiderio di tornare a casa era superiore. E se c'era anche solo una piccola, minuscola e insignificante possibilità di tornare nel mio mondo, di uscire dal libro, dovevo farcela. Dovevo. Farcela. Potevo farcela.
Mi avvicinai alla porta piena di buchi di tarlo e la aprii, questa volta tirando. Stavo per entrare nell'edificio, quando mi fermai. Potrei elencare qui tutte le domande che mi posi in quel momento, ma evito. In sostanza... non sapevo se quella di entrare fosse una buona idea (era una pessima idea), se stessi facendo bene a portarmi addietro Dylan oppure se avrei veramente trovato qualcosa di utile in quella struttura abbandonata. Ma forse stavo rimuginando troppo sulle mie azioni.
Tralasciando la puzza di muffa e di bruciato, seguite da uno stuolo di scarafaggi zampettanti e vere e proprie tende fatte di ragnatele, l'interno aveva un aspetto abbastanza normale. Delle scale portavano ad un possibile piano superiore, ma dopo il piccolo contrattempo con esse non avevo decisamente l'intenzione di provare a salirci.
- Devo andare a prenderteli io, i vestiti? - sbuffò Dylan. Il ragazzo era appena entrato ed era in piedi dietro di me, le braccia incrociate sul petto.
- Grazie- sfoggiai uno dei sorrisi più ampi e forzati che avessi mai fatto, facendo capire a Dylan che era ovvio, che doveva prendermi i vestiti. Poverino, schiavizzato a vita...
- Aspetta!- lo fermai. -Posso farti una domanda? - lui annuì. - Hem... come hai fatto ha trovarmi?Sotto terra, intendo.-
- Mi sono svegliato in un corridoio e poi ho sentito te gridare come una ragazzina- ridacchiò. Io lo guardai imbronciata. - No, sono serio, non so come ho fatto ad arrivare lì. -
- Magari, i tipi che hanno rapito me, hanno fatto la stessa cosa con te...- provai.
- Può darsi. - quella storia non mi era proprio chiarissima, ma non ci detti peso. Infondo, non era successa nemmeno una cosa normale da quando ero finita in quel casino.
Quando il ragazzo fu scomparso dietro l'angolo in cima alle scale, decisi di curiosare un po' in giro. Iniziai con un cassetto, il primo di tre, di una cassettiera in legno. Il mobile era completamente tarlato e ricoperto di polvere, come il pavimento e il resto dell'arredamento. Nel cassetto trovai solo cianfrusaglie, come vecchi tappi o penne senza più inchiostro. Quel luogo doveva essere disabitato da molto tempo.
Dopo vari minuti di ispezione della stanza, trovai una spillatrice.
Dylan arrivò il quel momento con le braccia piene di indumenti. Sorrisi ancora, questa volta però era un sorriso naturale.
- Che vorresti farci, esattamente, con quella? - mi chiese guardando la spillatrice.
Io la sollevai e la guardai. - Oh, con questa? Non si sa mai, potremmo usarla come arma... -
- Una spillatrice. Sul serio? -
- Non hai idea di quanto faccia male spillarsi un dito. - ribattei, con l'aria da saputella.
- Ti sei spillata un dito? - il ragazzo scoppiò a ridere, contagiando anche me.
- Avevo quattro anni! - cercai di difendermi, ma la scena era troppo comica per resistere.
Tossicchiando cercai di tornare seria (ho detto cercai, non ho specificato la mia riuscita nel compiere la suddetta azione...) e spostando la spillatrice nella mano sinistra, tesi la destra per farmi dare i vestiti da Dylan. Lui mi porse un paio di pantaloni e una felpa a dir poco enorme.
- Su, voltati! - lo incitai. Lui roteò gli occhi e si girò dall'altra parte.
Poggiai la spillatrice su una cassettiera e mi nascosi in un angolo.
Uscii dal mio nascondiglio cercando di sistemarmi addosso la mega-felpa-rosa che mi arrivava alla metà della coscia e oltre. Almeno i pantaloni erano della misura giusta. Inaspettatamente Dylan si tolse la maglietta sbrindellata che indossava. Mi misi le mani sugli occhi e mi voltai. Giuro che non avevo visto niente. Okay, forse avevo visto giusto un po' di muscoli sulle braccia e sul petto e gli addominali... Ma sto divagando.
- Finto? - sbottai. Lui non rispose, ma io diedi per scontato che avesse finito di cambiarsi. Per fortuna, almeno quella volta, ci avevo azzeccato.
Dylan mi passo di fianco dandomi una leggera sberla dietro la testa. Ammetto che non ne capii mai veramente il motivo.
Una volta fuori mi fermai a guardare la città infilando la spillatrice nella tasca posteriore dei pantaloni. La città sarebbe stata completamente deserta, se non fosse stato per quei tizi che mi avevano massacrata di botte e quel vecchio che, presumibilmente, avevo stordito con qualche contorta e strana forma di magia sbucata dal nulla.
- Non dirmi che sembra strano solo a me. - dissi, senza guardare in faccia il ragazzo.
- Cosa? - mi chiese.
- Tutto questo... la città... Un'accozzaglia di strutture abbandonate buttate in mezzo al nulla... non ho idea di come abbia (abbiamo) fatto ad arrivare qui ed Alyson ed Elise sono sparite. -
- Magari ci stanno aspettando fuori. - ipotizzò lui.
- Magari. - ripetei, senza chiedere cosa intendesse esattamente con "fuori".
- Andiamo, troviamo un posto per riposare, perché io lì dentro non ci dormo. -
- Scherzi? Nemmeno io! -
Iniziammo a girare tra gli edifici, alla ricerca di un possibile riparo. Lui era davanti a me, si muoveva più in fretta, ma solo perché io zoppicavo ancora e avevo sonno da morire.
- Trovato! - esclamò lui.
- Non stai dicendo sul serio... -
- Oh, sì, invece. -
- No che non dici sul serio. -
- E' la verità! -
- Mi rifiuto di mettermi a dormire lì sotto. - Dylan mi aveva appena mostrato una specie di catapecchia fatta con mattoni spaccati a metà, pezzi di cartone e assi di legno marcio. Quel posto, in realtà, non era molto diverso da tutti gli altri lì intorno. Però ero decisamente riluttante a dormire lì.
- Faccio io il primo turno- mi rassicurò lui. - Ti sveglio quando mi rendo conto che è notte fonda. -
- Ero convinta che fosse mattina! -
- Abbiamo visto il tramonto due minuti fa! -
- Giuuusto... hem. Me n'ero dimenticata. -
- A breve sarà notte... -
- Ok...? - era palese che avrebbe fatto notte a breve. Dopo il tramonto fa buio, di solito. O in quello strano mondo in cui ero finita le cose funzionavano diversamente? Be', se fosse stato così non mi sarei stupita più di tanto: avevo visto talmente tante cose strane che ormai mi ero abituata.
- Tirami un pugno. - disse lui subito dopo, senza nemmeno guardarmi in faccia.
- E perché? -
- Tirami un pugno! -
- No! - sbottai. Perché avrei dovuto tirargli un pugno?
- Devi imparare a difenderti... -
- Ho i miei nuovi (e non poco loschi) poteri! Non mi serve imparare a picchiare le persone! -
- Non li sai nemmeno usare... Senti, io voglio solo aiutarti. Sei simpatica, bella e anche intelligente... ok, forse su quello dobbiamo lavorarci... ma non abbiamo speranze di sopravvivere se almeno non provi ad imparare a difenderti. Non sappiamo cosa ti aspetta là fuori e... e non puoi morire. Non possiamo morire. -
Le parole che aveva appena detto erano troppo dolci... quel ragazzo alternava momenti da "non ho più intenzione si salvarti le chiappe quindi muoviti" e momenti da "ce la possiamo fare perché siamo due adolescenti che credono di potercela fare solo perché uno dei due ha stima nell'altra". Non aveva molto senso ma era sempre meglio di niente. - Ora però tirami un pugno. - ripeté. Sospirai e gli mollai un pugno mirando alla faccia. Gli sfiorai l'orecchio, ma lui mi prese il braccio e me lo storse.
Io, tenendomi il braccio stretto al petto, aprii la bocca e urlai molto (troppo, per poter essere considerata una persona normale) silenziosamente, storpiando la mia faccia in una smorfia.
- Dovevi proprio? - lo rimproverai. Lui fece spallucce e mi prese al fianco con un calcio. Io stramazzai a terra boccheggiando. Se il suo scopo era quello di farmi perdere le staffe, be', ci era riuscito. Ringhiando mi sollevai e presi a menare pugni all'aria, senza sapere bene cosa o dove colpire.
Quando il sole era ormai sul punto di calare oltre l'orizzonte, noi eravamo seduti a terra con la schiena accasciata contro la parete alle nostre spalle. Le mie mani erano mollemente abbandonate sul terreno e la mia testa era poggiata sulla spalla di Dylan. Avrei sicuramente preferito non essere picchiata a sangue da un ragazzo, per la seconda volta, ma dato che il quel luogo non vendevano gelati e lui non avrebbe potuto scusarsi regalandomene uno, mi tenni i lividi.
- Puoi dormire, sai. - mi fece notare. Io mugugnai un "sì" e chiusi gli occhi. Era davvero troppo dolce quel ragazzo... in senso buono ovviamente. Lo conoscevo da poco, ma tra di noi era scattato qualcosa. "Ti sei innamorata!" strillò la mia vocina interiore. "Non. E'. Vero. Mi deve solo un gelato." ribattei. Non mi ero innamorata... Ma sorvoliamo.
Erano giorni che non dormivo e non fu difficile abbandonarmi al mondo dei sogni. Come una mamma che avvolge suo figlio tra le braccia, il buio mi accolse nei suoi meandri più nascosti e sconosciuti, permettendomi di rilassarmi e di dimenticare per un po' tutto quello che mi circondava.
Mi sveglio di soprassalto. Sono le sei di mattina... Non è possibile che tutta la storia del libro sia solo un sogno... Ma voglio credere che sia così. Scendo dal letto e vado in cucina. I miei piedi nudi e sudati si appiccicano al pavimento freddo lasciando macchioline di condensa bianca.
Arrivo in cucina, mia madre è seduta al tavolo e indossa la solita camicia da notte. I suoi capelli neri e ricci le ricadono sulle spalle (il biondo l'ho preso da mio padre) e sul suo viso, un sorriso radioso mi fa rinvigorire. Non posso credere che sia stato solo un sogno.
- Elena, devi svegliarti. - mi dice la mamma.
- Ma io sono già sveglia. - ribatto.
- Svegliati, è ora. - così capisco che stavo sognando in questo momento e la storia del libro è vera. Non potete immaginare la mia sconsolazione.
Aprii lentamente gli occhi e mi ritrovai nella stessa posizione in cui mi ero addormentata, solo un po' più stesa su Dylan. In realtà completamente stesa su Dylan. La mia testa era poggiata sulla sua pancia. Che imbarazzo, cavolo! Il cielo era terso e pieno di stelle, puntini luccicanti sparsi come neve sul blu scuro della notte.
- Ora tocca a me, vero? -
- Vero - mi sorrise lui.
Mi stropicciai gli occhi sbadigliando. La luna era alta nel cielo. Avrei detto di trovarmi nel giardino di casa mia. Mi tirai su, lasciando Dylan libero dal mio peso. Mi appoggiai nuovamente alla parete dietro di me e presi a scrutare la via che mi si apriva davanti. Non si vedeva niente. La luna non era di grande aiuto. Potevo scorgere le ombre dei palazzi, e questi ultimi, solo grazie alle loro ombre più scure, semi-confuse con il buio della notte.
Almeno non si era messo a piovere. Per il momento. Col senno di poi, mi resi conto che, per non stramazzare a terra per il sonno, avrei dovuto concentrarmi sul fare qualcosa.
Contare le pecore era escluso, a prescindere dal fatto che lo si fa per addormentarsi.
Imbambolarmi a fissare la faccia addormentata di Dylan, anche... considerando che mi sarebbe venuta ancora più voglia di dormire.
Dopo un po' mi accorsi che pensare a cosa fare era diventata una vera e propria attività. Era sconvolgente.
Però anche quella, come tutte le attività, presto diventò noiosa. A mia discolpa posso dire che nessuno è perfetto. Infatti cedetti al sonno e mi riaddormentai. Giuro che non volevo.
- SONO SVEGLIA, sono sveglia! - strillai. Mi ero svegliata di soprassalto, rendendomi conto di aver dormito per la maggior parte del mio turno. Non era mia intenzione... più o meno.
- Ti sei addormentata? - chiese Dylan. Il suo tono non era accusatorio, era più sul divertito.
- Hem, NO! - mi affrettai a rispondere grattandomi la nuca. Sorrisi impacciatamente e raddrizzai la schiena.
- E allora perché hai gridato "sono sveglia"...?-
In quel momento non ero in grado di formulare una bugia credibile. - L'ho gridato perché... hem... Okay, lo ammetto. Mi sono addormentata! Sono una brutta persona! - strillai.
Dylan scoppiò a ridere tenendosi il fianco con un braccio. Certe risate, come quella di Dylan, ti contagiano a prescindere dal tuo umore da persona pessimista che non vuole fare altro che dormire... Così scoppiai anche io a ridere cercando di ricacciare indietro le lacrime. Tutta quella scena non aveva molto senso.
Era ormai mattina. Il sole stava facendo capolino da dietro la coltre di nuvole che formavano una specie di strato soffice e quasi.. zuccheroso sulla linea dell'orizzonte. Non mi dava fastidio, la luce. Non più, dopo la mia spiacevole avventura in quel luogo buio, in seguito alla faccenda del castello e della chiave. A dire il vero me n'ero quasi dimenticata.
- Shh...- mi fece lui smettendo di ridere di colpo e mettendomi la mano sulla bocca per farmi stare zitta. Io tentai di parlare ma uscii solo un mugolio strozzato e incomprensibile. Forse aveva sentito qualcosa. Poi, d'un tratto, vidi un'ombra muoversi sul fianco di un edificio poco distante. C'era veramente qualcuno. Non fu piacevole ricevere una botta in testa: con un movimento fulmineo, l'ombra estrasse un ramo lungo una trentina di centimetri da sotto la casacca e mi mollò una bastonata in testa. Almeno non sentii dolore, perché finii direttamente a terra.
Non avevo idea di quanto tempo fossi rimasta incosciente, ma mi ritrovai stesa a terra nello stesso punto in cui ero svenuta. L'unica variazione era un bernoccolo in testa. Mi massaggiai il punto dolorante e reprimendo un lamento cercai di mettermi in posizione seduta. Provai a togliere dai miei capelli le pietruzze e la polvere, ma l'unico risultato fu solo quello di aggravare maggiormente la situazione già disastrosa della massa bionda e nodosa che avevo in testa.
Ancora decisamente rintontita sbattei un paio di volte le palpebre per eliminare il torpore che si era radicato alle mie membra e, non appena sentii un tonfo provenire dall'altra parte della costruzione, decisi di intervenire.
Come avevo dedotto, più o meno, Dylan stava lottando contro il tizio che mi aveva stesa con il bastone. Era un vecchietto sulla settantina, che nonostante la sua età se la cavava egregiamente nelle scazzottate, al contrario di me che, mentre mi esercitato con Dylan, ne avevo prese talmente tante da non reggermi più in piedi.
Il tipo, ero sicura fosse quello che avevo accidentalmente quasi ammazzato con i miei nuovi e alquanto misteriosi poteri, atterrò il mio amico con un paio di calci: prima nello stomaco e poi sui gioielli di famiglia. Non oso immaginare quanto possa avergli fatto male. Fatto sta che Dylan cozzò a terra rannicchiato.
Io, almeno, avevo una possibilità contro il tipo che lo stava menando, in quanto lui non mi aveva vista. Quella sarebbe stata la buona volta in cui ero io a salvare Dylan, e non il contrario. Non ero certo una principessa con l'urgente bisogno di essere salvata! Sapevo badare a me stessa, in un certo senso. Avevo con me la mia cara spillatrice. La tirai fuori dalla tasca e mi avvicinai di soppiatto all'uomo. Tenendo la mia arma con entrambe le mani mi lanciai addosso al nostro aggressore, balzando fuori dal mio nascondiglio. Prima che lui potesse girarsi io lo colpii in testa con la spillatrice.
Sbuffando mi spazzolai gli abiti e lasciai cadere a terra l'arma. Mi accovacciai accanto a Dylan e lo richiamai.
- Come va...? -
- Grazie. Benone... hem. - non sapevo decidere se la sua faccia esprimeva imbarazzo o gratitudine. O tutti e due insieme. Be', a meno che non glielo avessi chiesto, sarebbe rimasto un mistero.
*Angolo Scrittrice*
Hey muchachos!
Buon Primo Maggio a todos!
Ho aggiornato in onore del mio birthday che era il mese scorso u.u e ho deciso di dare una svolta alla storia. Vi è piaciuto questo capitolo rivoluzionario? Intendo senza ragazze isteriche che litigano e si urlano addosso o mostri che appaiono dal nulla ahah il fatto della spillatrice mi piaceva e l'ho messo per ravvivare la storia ed ora che c'è il nostro amato Dylan O'Brien ci saranno altri momenti un po' comici. (Comunque no, io non mi sono spillata un dito. Però una volta, a tre anni, mi sono temperata il mignolo con il temperamatite. Sad story XD)
Domandina: chi shippa Dylena? (Dylan + Elena) Io sì, personalmente! E' entusiasmante far avverare una ship in un proprio libro... Devo dire che sono proprio carini insieme aw. Ovviamente non c'è molta scelta, per quanto riguarda i ragazzi, in questo libro... ma la situazione cambierà muahaha... no. Niente risata Alyson ahaha. (Vi prego capitela... please XD)
Dopo la mia tentata battuta (e sperando che qualcuno l'abbia capita...) vi saluto muchachos! By by! *cuoricino di zucchero glitterato(e appiccicoso)*
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