14. Rapimento.
Osservai quello scenario che si estendeva davanti ai miei occhi, sentendo sul collo il fiato caldo di Dylan. Impressionante. Grattacieli. Tante case. Ma anche da quell'altezza si riusciva a vedere che l'intera città era disabitata e abbandonata da anni, forse anche decenni. Il cielo sopra di noi era grigio-azzurro... Invece non sapevo cosa ci fosse sotto di noi. Eravamo su una specie di terrazza sopra un edificio altissimo, circa una trentina di metri. Era di cemento grigiastro, con numerose crepe e imperfezioni. Dietro di noi un'alta guglia si stagliava coprendomi la visuale di ciò che vi era dall'altra parte.
- Che si fa? - chiesi.
- Ce ne andiamo... - mormorò Mal.... Hem. Alyson. Non c'era disprezzo nella sua voce. Lo aveva detto come se fosse stata rivolta ad una vecchia amica. La sua voce era gentile e a tratti anche... Preoccupata. Poi aggiunse - Grazie -
- E di che? - feci io. Non feci nemmeno in tempo a rendermi conto che mi stava ringraziando e per averla salvata, che lei disse:
- Grazie per averci liberati. A nome di tutti e tre - sbirciò nella direzione di Elise e Dylan. Poi abbozzò un sorriso. Mi avevano davvero ringraziata... La cosa strana era che sembravano molto più giovani con le tute mimetiche che indossavano in quel momento. Dimostravano pochi più anni di me. - adesso andiamocene di qua. Hai diritto di sapere, ma lei non consce nostri volti - bisbigliò l'ultima frase quasi sottovoce, come per paura di essere sentita. E poi chi erano lei? E che voleva dire con "non conosce i nostri volti?" Sapevo solo che dovevo andare, seguire le altre.
Mi voltai e oltrepassai la porta da cui ero uscita pochi minuti prima. In coda alla fila iniziai a camminare con passo sostenuto, facendo attenzione a non produrre troppo rumore con i piedi. Apparentemente non c'era nessuno, ma meglio essere cauti. Circa cinque minuti dopo arrivammo davanti ad una porta. Stavo ancora rabbrividendo al solo ricordo dei volti emaciati di tutte quelle persone rinchiuse. Durante la "camminata" mi avevano osservata con degli occhietti spenti ma ancora intelligenti e vivi. Mi stavano pregando di liberarli... Ma io non potevo.
Mi riscossi, udendo il rumore sferragliante della maniglia della porta che veniva forzata. Alyson stava quasi per tirarle un calcio rischiando di farci beccare. Per fortuna si calmò appena in tempo. Poi mi ricordai del mazzo di chiavi che stringevo ancora in mano da quando avevo liberato Dylan. Sgomitando appena per arrivare alla porta sorpassai il ragazzo, Alyson e Elise. Infilai la prima chiave nella serratura. Niente. La seconda, ancora niente. La terza, la quarta, la quinta, la sesta... La dodicesima fu quella buona. L'ho sempre detto che il dodici era il mio numero fortunato.
I cardini girarono con uno scatto, iniziando a cigolare come dei dannati. Oltre la porta c'era il buio. Elemento al quale ero ormai abituata. Dietro quel manto scuro riuscii ad intravedere un'ampia stanza con una vertiginosa scala a chiocciola che saliva ad un piano superiore e dal lato opposto dell'ambiente un'altra altrettanto tortuosa scendeva ad uno inferiore. Dritto davanti a noi invece il corridoio continuava fino a perdita d'occhio, dopo essere stato interrotto dalla stanza. Noi dovevamo scendere. Non ci fu neanche bisogno di dirlo che, con uno sguardo d'intesa, ci avviammo tutti verso la scala che andava al piano inferiore.
Brancolando nel buio per una ventina di metri arrivammo davanti alla scala. Gradino dopo gradino iniziammo a scendere. Saltando scalini, incespicando e rischiando di cadere raggiungemmo il primo bagliore. Era una specie di strana lampadina da muro. Era attaccata alla parete a mo' di torcia e illuminava di una luce bluastra quei due metri quadrati di scala su cui ci trovavamo in quel momento. Il fondo di quel tunnel verticale nel quale erano scavati i gradini ancora non si vedeva, e neanche la cima. Sembrava non finire mai. Buio sempre più buio, lampadine sempre più rare. Iniziavo ad avere un po' di paura. Anzi, un po' tanta.
Nell'oscurità, chiusa in un tubo di cemento che pareva senza fine... Come non detto. Arrivata ad un gradino non sentii più la pendenza della scala. Eravamo a terra! Mi misi a tastare la parete circolare che racchiudeva la scala a chiocciola in cerca di una porta. Ma non c'era. Anche Alyson, Elise e Dylan si misero a cercare con me. Non c'era nessuna porta.
- Dovremmo tornare su! - gridai a nessuno in particolare.
- Concordo! - mi rispose di rimando una voce femminile. Così iniziammo a salire le scale, almeno sapevamo che finivano.
Beh, che dire. Da quella volta ho imparato a non formulare pensieri positivi riguardanti un eventuale fuga. Perché, se sei dentro un tunnel verticale all'interno di una prigione situata in una città di una terra piena di magie e cose folli, non sai mai quando IL TUNNEL IN CUI TI TROVI POTREBBE DIVENTARE UN TUBO CHIUSO SIA SOPRA CHE SOTTO!
E in effetti non c'era più un uscita. Non avevamo ancora trovato una stramaledetta uscita per andarcene da quel tunnel. In quel momento iniziai ad essere veramente terrorizzata. E potrei elencarvi almeno dieci motivi. In preda alla frustrazione tirai un pugno al muro di cemento alla mia destra. Mi accorsi troppo tardi che avrei potuto spaccarmi le nocche o addirittura tutta la mano. Però non successe. Non sentendo il cemento duro e ruvido lasciai la mano dov'era, il braccio teso. Guardai e... La mia mano stava trapassando il muro. Quest'ultimo tremolava... Infilai anche l'altra mano. Ed ecco che vidi una sala enorme arredata con sedie rosse. Il muro era finto. Il motivo? Un illusione, probabilmente.
Seguita dagli altri mi lanciai oltre l'illusione quale era il muro, capitombolando nella stessa sala che avevo visto in quella frazione di secondo in cui il cemento grigio era quasi diventato trasparente. Ero passata attraverso un'illusione! Sentii come un leggero pizzicorio quando il mio corpo passò attraverso quel muro invisibile. Come avevo già notato la sala era di dimensioni spropositate per appartenere ad una persona normale. E chi poteva esserlo in un posto così? Aspettai i miei compagni che attraversarono il muro dopo pochi secondi.
- Si va? - chiese Dylan.
- Si va - confermammo noi ragazze all'unisono. Team donne!
Iniziai a fare lo slalom tra sedie, divani, poltrone, tavoli, vasi con piante che si riversavano sul pavimento come una cascata, appendiabiti e altre cose sparse per la stanza in modo disordinato.
"Non devo formulare pensieri positivi sulla fuga". Ed ecco che udimmo un -Prendeteli- provenire da dietro di noi. E ti pareva. Girai la testa di scatto e vidi tre uomini armati di... Mi sembravano fucili. "Oh, mamma aiuto...", pensai. Andavamo proprio di bene in meglio. Sbirciando nella direzione dei miei compagni iniziai a correre spronando le mie gambe al massimo, per arrivare alla porta che era ad una decina i metri da noi. La distanza era sempre minore man mano che correvamo.
Alyson in testa seguita da Dylan, poi io e Elise.
Con uno scatto il ragazzo si lanciò contro la porta, impattando sul vetro con un rumore simile a quello di una minuscola bomba.
- E' chiusa a chiave! - ci gridò.
- Fantastico! Ed ora come facciamo? - strillai con una vocina isterica che non sembrava nemmeno la mia.
- Rompiamo il vetro- suggerì Elise con tanta naturalezza da spaventarmi. Per quanto potessero sembrare entrambe scorbutiche e poco propense a ragionamenti accurati, erano entrambe molto brave ad escogitare piani di fuga. Cavolo. Avevo di nuovo pensato ad una fuga.
Vidi Dylan prendere la ricorsa e buttare a terra uno degli uomini colpendolo con la spalla; poi si scagliò nuovamente sulla porta, stavolta contro il vetro. Quest'ultimo si infranse contro il suo corpo, producendo una pioggia di pezzetti luccicanti. Le braccia del ragazzo erano piene di tagli, ma ciononostante lui eliminò i residui di vetro rimasti attaccati alla porta in modo da permetterci di passare senza tagliarci.
Lo guardai dritto negli occhi e vidi tristezza, curiosità e qualcos'altro. Era profondo e lontano... Lui mi fece segno di andare, ma prima di poter muovere solo un passo mi ritrovai sbattuta a terra violentemente. Sopra di me c'era un peso... uno di quegli omini. Ed io ero impotente, anche se non del tutto. Inarcai il collo e diedi una testata all'uomo che mi teneva bloccata. Lo sentii mugolare prima che la mia testa venisse sbattuta di nuovo a terra. Mi prese per i capelli facendomi urlare per il dolore, sollevandomi la testa. Poi mi puntò il fucile alla nuca.
- Fermi tutti o le sparo- disse. All'inizio mi venne da ridere ma vedendo Alyson, Elise e Dylan fermarsi di colpo (perfino gli altri uomini armati avevano smesso di lottare), compresi che avrebbe premuto il grilletto facendomi fuori. La sua mano tremava facendo vibrare leggermente la canna del fucile premuta sulla mia pelle. Mi stava ancora tenendo per i capelli. Osservai la scena attorno a me: Alyson era immobile con le mani alzate, Elise stava ancora stringendo un braccio attorno la collo di un uomo il quale si dimenava e cercava di liberarsi, il suo fucile era finito dall'altra parte della stanza. Dylan nascondeva qualcosa dietro la schiena e gli altri due uomini erano inebetiti, come storditi.
Di colpo il ragazzo tolse una mano da dietro la schiena, solo che io non vidi l'oggetto misterioso finché non riaprii gli occhi. Ma raccontiamo le cose nell'ordine giusto. Un frastuono assordante esplose alle mie spalle ed un liquido caldo mi bagnò i capelli ed una guancia. Nel momento in cui questo accadde serrai gli occhi, terrorizzata. Mi... mi avevano sparato? Mi sentii afferrare per un braccio da qualcuno, prima di udire altri rumori analoghi al primo. No, non mi avevano ficcato nessuna pallottola in testa. Quando aprii gli occhi mi ritrovai... stretta a Dylan? Lo stavo abbracciando? Mi scollai da lui con uno strattone e mi passai una ciocca di capelli dietro all'orecchio. Lui mi guardò un secondo, poi mi fece segno di scappare oltre il varco nella porta. Attraversai di corsa gli ultimi metri che mi separavano dalla porta, distogliendo lo sguardo dai corpi privi di sensi che erano accasciati a terra. La cosa che mi fece veramente raggelare il sangue fu rendermi conto che avrei potuto essere colpita dal proiettile, che per fortuna era andato a conficcarsi nella fronte del mio aggressore.
Scossi la testa e mi pulii le mani sudate contro i pantaloni, strusciandomi la guancia col dorso della mano per togliere il sangue. Scavalcai la porta stando attenta a non graffiarmi con il vetro che era rimasto, nonostante Dylan avesse pensato a liberare il passaggio in precedenza. Seguita dagli altri mi ritrovai in una strada di terra battuta incastrata tra grattacieli e case in cemento.
Ci incamminammo verso una svolta che portava in un'altra strada secondaria a destra. Probabilmente eravamo nel centro della città. Era l'stinto dell'autore... Sempre che esista veramente.
Un'ombra ci tagliò la strada. Era fulminea e quasi impercettibile. Però c'era. Si fermò a guardarci poi con un balzo passo dietro di noi. Un urlo, un rumore di scarpe sulla strada... Io e le ragazze ci voltammo. Nessuna traccia di Dylan.
La ragione mi diceva di proseguire per la mia strada e abbandonarlo, in fondo era solo uno sconosciuto. Leggendo avevo capito che, nelle situazioni critiche bisognava pensare a cosa avrebbe fatto il protagonista di un libro... e poi fare l'esatto opposto. Ma io ero una protagonista in quel momento. Ero consapevole dello svolgimento dei fatti, di cosa sarebbe successo dopo.
Ma prendete Harry. Lui ha mai rispettato le regole? E Thomas? Tris? Clary? Katniss? Loro hanno mai fatto ciò che gli veniva ordinato di fare? No, non direi. E se l'avessero fatto non sarebbero stati degli eroi. E perché mai io avrei dovuto fare diversamente?
Una metà di me, quella mentalmente sana e che sapeva ragionare con concretezza mi diceva che era una pessima idea, che stavo facendo una grande cavolata. L'altra metà era quella che mi face voltare verso le presunte tracce lasciate da Dylan e ordinare un: - Andiamo a cercarlo! -
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