1.
Brassar, Pr. Di Ottone, 26 Marzo 1609 NL
Il teatro Luis Aramein, in piedi e in attività dall'anno 1029, era il più vecchio teatro esistente di tutto il regno. Il primo in assoluto, il Majestic, era stato costruito nell'anno 1002, sempre a Brassar, nel quartiere di Ville Rivière d'Argent, da un gruppo di attori itineranti, la cui compagnia era diventata talmente numerosa da costringerli ad avere un loro posto fisso dove stare. Il teatro, che per essere costruito richiese tutti i loro fondi, un finanziatore esterno e due anni di lavori, durò poco più di una stagione.
La loro prima, Bestie Umane, fu un tale fiasco che solo sei mesi dopo fu dichiarata la chiusura del teatro e lo scioglimento della compagnia. Poco tempo dopo l'abbandono dell'edificio, forse anche a seguito di un paio di suicidi sospetti di alcuni attori, il teatro fu invaso dalle fiamme e venne raso al suolo dal fuoco, senza che si trovasse mai il colpevole e senza che nessuno lo rimpiangesse. Il mondo del teatro e dei teatranti, da sempre impregnato di scaramanzia, non riuscì mai a superare questa brutta vicenda.
Per questo motivo, il fallimento di una performance, o una critica negativa, quando era molto negativa, o largamente condivisa, veniva definita Majestique.
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Bran, dopo aver fatto il colpo al palazzo della Principessa d'Ottone e aver atteso notizie dalla Setta nel suo rifugio sicuro, ci mise qualche momento per inquadrare l'energumeno vestito di velluto a coste scuro e camicia di cotone, la quale, una volta, doveva essere stata bianca. Guardò su per le scale, dove Eriyna, sua compagna e complice, si stava preparando per andare a dormire, ignara di chi avesse bussato alla porta e di cosa stesse succedendo.
"Non mi piace ripetere le cose due volte" lo apostrofò il gorilla di fronte a lui con le folte sopracciglia nere e un forte accento di Ironhide. Non sembrava avere molta scelta. Forse era il momento che aspettava, la ricompensa per gli anni di servizio e l'assoluta fede nella Setta. Forse, aver portato a termine quel colpo quasi impossibile aveva destato l'ammirazione dei suoi misteriosi superiori.
O forse stava succedendo altro, gli suggeriva l'istinto, e il suo istinto aveva un fiuto dannatamente efficace.
Bran seguì l'uomo senza fiatare, senza avere il tempo di avvertire Eriya o di fare nient'altro. La piccola imbarcazione con il motore a vapore verniciata di nero lucido ciondolava alla base delle scalette, oltre il marciapiede di quella città unica, senza strade e carrozze, attraversata da centinaia di canali navigabili, la sola che, nei suoi marciapiedi e ponti, nelle piazze e sotto i portici delle strette calli, aveva accolto quelle strane novità che i Ricercatori di Glaxor chiamavano Lampioni. Bran salì a bordo cercando di mantenere la calma e la lucidità, anche se non aveva idea di chi fossero quegli uomini. La Setta degli Ancestri, per cui lavorava da anni, operava nell'anonimato e i suoi metodi prevedevano rigidi protocolli di sicurezza delle identità dei loro membri. Proprio per questo, non si erano mai presentati a casa per prelevarlo senza preavviso e senza spiegazioni. Doveva stare calmo, riflettere.
Sull'imbarcazione, all'interno della stretta cabina, c'era un altro energumeno, ancora più grosso del primo, capelli rossi, molto corti. Dai tagli militari dovevano essere stati due guerrieri del Grande Muro Azzurro, due Mori che avevano finito il servizio obbligatorio di leva e, non avendo altre capacità nel loro bagaglio, si erano riproposti come sicari e spacca teste.
Durante il tragitto si limitarono a guardarlo male, a braccia incrociate, senza dire una parola, non gli tolsero mai gli occhi di dosso. Anche senza guardare fuori, Bran aveva intuito, dall'aumento continuo dei lampioni e dal flusso di gente e di barche sul largo canale principale, che la loro destinazione era il quartiere dell'Upper North End, dove sorgevano importanti musei, sale da concerto, e il più vecchio teatro esistente in tutto il regno. Giunti all'affollato attracco scesero in silenzio e si avviarono a un'entrata secondaria senza dare nell'occhio, tra la folla di ricchi e benestanti che affollavano i pub sul canale d'ingresso o assistevano estasiati alla musica di piccoli complessi ambulanti. Gli ampi corridoi imbottiti di moquette bordeaux e blu che affrontarono erano lunghi e silenziosi. Passando accanto all'entrata, aveva notato un certo fermento nella sala d'accesso. I lampioncini e le lampade erano accese. Salirono due piani prima di affrontare l'ultimo corridoio che curvava verso l'interno. Arrivato in fondo al corridoio gli intimarono di attendere lì, e quella fu l'unica interazione che ebbe con quei due uomini. Si erano fermati di fronte a un balcone che dava sulla sala principale, poteva sentire il rumore del pubblico vociare sommessamente dalla parte opposta prima che l'uomo con le folte sopracciglia nere sparisse all'interno.
Dopo qualche minuto di attesa, una figura ammantata scostò le pesanti tende di spesso velluto color vinaccia e si dileguò senza far parola. Era una donna, volto completamente coperto da un velo nero, dalle movenze e dal portamento non doveva essere molto giovane, probabilmente qualcuno di importante, con un'educazione di medio-alto livello, qualcuno con qualche ruolo di grande interesse che non doveva farsi vedere lì. L'uomo con le folte sopracciglia nere aveva tenuto la tenda aperta e ora lo fissava col suo consueto sguardo arcigno, invitandolo ad entrare. Bran sentì l'adrenalina che pompava, era pronto a fuggire. Fece un paio di passi e si trovò sul balcone, fece la sua entrata nell'esatto istante in cui le luci sul palco si accesero, esplodendo con quella piccola fiammata, che annunciava sempre un gemito di sorpresa di chi assisteva a quella meraviglia partorita dalle menti geniali del Principato di Vetro, l'elettricità.
C'era un uomo alla sua destra. Dalla sua posizione poteva vedere solo la folta chioma canuta e la mano poggiata sul bracciolo e addobbata da un appariscente anello con un opale nero di ossidiana sopra. Vide il suo capo muoversi impercettibilmente, e la mano che gli faceva segno di prendere posto sulla poltrona accanto alla sua. Bran si mosse sicuro e si sedette senza pensarci troppo. Se lo voleva morto, chiunque egli fosse, perché invitarlo a una serata a teatro? Perché tutta quella messa in scena?
Visto il lungo silenzio che seguì, ci mise qualche decina di secondi prima di voltarsi e guardare l'uomo in faccia. Era anziano, spessi lembi di pelle arricciati sotto le palpebre, zigomi alti e ampi. Aveva un naso tozzo e le labbra, spesse e appuntite, anche con quella tenue luce tremolante, rimanevano tinte di un colore scuro, quasi viola, che contrastava col genuino pallore della sua faccia seria.
Distolse lo sguardo.
Non aveva mai visto quell'uomo in vita sua. Eppure, il suo sesto senso gli suggeriva che era qualcuno di importante, qualcuno a cui non era saggio mancare di rispetto. Poteva essere lui il capo della Setta degli Ancestri?
"Sa cosa mi piace dell'opera?" chiese a un certo punto l'uomo con aria di sufficienza, infischiandosene del tono di voce e dello spettacolo in corso e senza voltarsi a guardarlo. Bran scosse la testa, nervoso.
"No" si limitò a sussurrare.
Sul palco, tre attori simulavano la feroce discussione che avevano portato i Tre Dei a scoprire l'Oltremondo, cantando a turno le proprie ragioni sulle note incalzanti dell'orchestra. Bran osservava la fitta selva di archi e ottoni, che nella penombra riempivano la mente di vibranti immagini.
"La musica – rispose l'uomo allargando il petto – Non l'esecuzione, badi bene, intendo proprio la melodia, quella perfetta e unica armonia di note. Gli attori possono essere bravi o meno, lo spettacolo può essere gratificante o deludente, ma la musica – fece una pausa, accarezzandosi il mento col dorso della mano dove spiccava il grosso anello – Questa musica è divina, e con questo eterna, è sopravvissuta ai suoi compositori e sopravvivrà anche a noi, e anche allora come adesso sarà considerata un capolavoro. Le mode passeranno, la storia disegnerà nuovi confini e i nomi dei suoi compositori sbiadiranno nel tempo, ma questa musica rimarrà, immortale" lasciò che quelle considerazioni aleggiassero tra loro per qualche secondo prima di voltarsi a fissarlo e riprendere a parlare.
"Il crimine da lei commesso è punibile con la pena di morte. E' consapevole di questo, vero?"
Le palpebre superiori gli tagliavano gli occhi a metà, dandogli un'aria che svariava dal minaccioso al disinteressato. Bran sentiva di dover replicare, di dover dare almeno l'impressione di non sentirsi inferiore.
"Chi è lei? Perché è evidente che non è chi pensavo di incontrare stasera"
"Il mio nome è Selkov, Sergiej Selkov. Ed è un nome inventato, per quel che vale, come il suo, signor 'Bran'" rimase a fissarlo, con lo stesso sguardo indecifrabile, annoiato da quelle futili chiacchiere.
"Immagino sia inutile provare a negare. Lei mi conosce, e se mi conosce bene sa che non impazzisco per l'opera o per la lirica, perciò, perché sono qui?" Bran cercò di non sembrare intimorito, e, dalla reazione del suo interlocutore, sembrava funzionare.
L'uomo che diceva di chiamarsi Selkov rimase a fissarlo per diversi secondi, deluso da quella conversazione e dalla mancanza di sensibilità artistica del suo ospite. Quando ricominciò a parlare, la sua attenzione era passata nuovamente all'azione che si svolgeva sul palco sotto di loro.
"Chi sono e perché lei sia qui è irrilevante, poiché, anche se glielo dicessi, le resterebbero comunque due scelte. La prima delle quali, come precedentemente detto, è la morte. E se non saranno le Guardie d'Oricalco della Corona dopo averla sbattuta nelle segrete di Egwel, non sarà certo per mano nostra, ovviamente, poiché noi, in vero, non esistiamo. Bensì avverrà per mano della Setta, per cui lei lavora, la quale verrà informalmente allertata che lei è rinchiuso a Brassar e che sta subendo umilianti torture le quali, presto o tardi, la porteranno a rivelare quel poco che sa dell'organizzazione della Setta creando così un pericoloso precedente che la condurrebbe, in effetti, a una morte ancora più atroce della precedente" Per Bran fu come sprofondare in un incubo. Quell'uomo sapeva tutto di lui, della Setta, di quello che faceva, non stavano giocando alla pari, lo teneva in pugno e poteva stritolarlo da un momento all'altro.
"Sono ancora vivo, e non mi avete arrestato. Quindi, cosa volete in cambio del favore di lasciarmi in vita? Come ha detto lei, io so poco e niente della Setta"
Selkov si aggiustò la lunga giacca blu scuro e il resto dei vestiti, dai bottoni dorati del cappotto nero ai polsini foderati. Ci mise del tempo, e la sua espressione, in quei momenti, divenne dura e impenetrabile. Quell'uomo era pericoloso, molto pericoloso.
"Da oggi lei lavorerà per noi, signor Bran – continuò sfilando dalla giacca una pergamena arrotolata e consegnandogliela – All'interno troverà i dettagli. E tanto perché non ci siano fraintendimenti, non è un lavoro ne semplice ne veloce, non avrà più rapporti con i suoi vecchi datori di lavoro ne tantomeno con nessuna persona di sua conoscenza"
Non gli aveva lasciato nessuna opzione.
Il pianto straziato dell'attrice principale riempiva la sala, mentre, in ginocchio al centro del palco, stringeva tra le braccia il corpo ferito della madre, la Dea della Morte, Delerah. Bran rigirò la pergamena ruvida tra le dita per qualche secondo.
"Mi troveranno" commentò nervoso.
"La Setta? Se è per questo la stanno già cercando, e non sono persone che si danno per vinte facilmente, mi creda. Tuttavia, dell'interesse delle altre parti nei suoi confronti ce ne occuperemo noi. Lei si limiti a seguire le istruzioni e tutto andrà bene" Bran doveva trovare una via d'uscita, una soluzione alternativa. Ma chi era quell'uomo, e per chi lavorava? Non riusciva a immaginare quale tipo di organizzazione potesse essere abbastanza potente da tenere testa alla Setta degli Ancestri ed essere talmente efficiente da non averne mai sentito parlare da nessuno.
La scena principale della tragedia era cominciata, gli attori e le comparse erano già in scena, il coro era spuntato alle spalle della scenografia, come un esercito di anime che accoglievano l'eroina, Verminalya, figlia di Delerah, ai cancelli dell'Oltremondo. Era una scena complessa, visto il numero di attori sul palco, e intensa, cadenzata dalla famosa Marcia dei Mostri del compositore Bedian Lestance.
"Perché io?"
Selkov fece un'evidente smorfia di fastidio.
"Perché è un ottimo ladro, un buon osservatore e una persona spiccatamente capace di capire le persone e le situazioni. E per un'altra caratteristica che la rende unico e che le verrà rivelata a tempo debito, e che forse è l'unico motivo per cui respira ancora" Bran provava a carpire qualche informazione da quelle parole, ma niente, non c'era nulla che potesse indicargli con chi aveva a che fare.
"Voglio delle garanzie" protestò Bran, alla ricerca di un singolo appiglio per non trovarsi completamente alla mercé di quell'uomo, cercando di rimanere fermo nelle sue convinzioni. Lo sentì bisbigliare qualcosa ma, inizialmente, non riuscì a capire cosa. Si sporse di poco verso di lui. L'uomo batteva il tempo sul bracciolo della poltrona con l'indice e seguiva la musica con aria spensierata. Stava canticchiando. Intonava i versi della musica magistralmente suonata dall'orchestra.
"Sinfonia n.7, il capolavoro assoluto. Se vuole saperlo, a mio modesto avviso, il maestro Quantin è il migliore di sempre – poi si rivolse di nuovo a Bran, nuovamente con quell'aria distaccata e indolente – Quello che le proponiamo potrebbe per sempre cambiare il volte di questo piccolo squarcio di Luce in mezzo alle tenebre. Pertanto, il suo nome può svanire nelle ombre del tempo o risuonare per sempre nella storia come una sinfonia. Sta a lei decidere, signor Bran"
Bran rimase immobile per diverso tempo, non sembrava esserci altro. Il vecchio alzò leggermente la mano con l'anello e l'uomo con le folte sopracciglia nere riapparve alla sue spalle. Bran si alzò, cercando di mantenere un'aria dignitosa.
"Signor Bran – disse senza guardarlo l'uomo che diceva di chiamarsi Serkov – Non si senta legato al passato, ciò che importa ora è solo il futuro"
Bran venne scortato dai due energumeni alla barca e di nuovo a casa, anche se ora gli sguardi truci di quei due non facevano più così paura. Un temporale accompagnò il loro viaggio attraverso i canali stretti e tranquilli del quartiere Ville Rivière d'Argent. Bran ora rifletteva sulle sue alternative, su ciò che poteva fare per uscire da quella situazione, ma la realtà gli bloccò ogni piano che già affiorava alla sua mente.
Quell'uomo conosceva la sua identità, ogni dettaglio, addirittura la sua affiliazione alla Setta, e lui non sapeva niente. Non era un esponente della Corona, ne del Culto dei Tre, era una terza parte, probabilmente con conoscenze in ognuno di questi gruppi, e il fatto che non ne avesse mai sentito parlare gli metteva i brividi e confermava che, chiunque fosse, poteva schiacciarlo in qualsiasi momento.
Non gli restavano molte opzioni.
Per ora doveva stare al gioco, quando il tempo sarebbe giunto, avrebbe fatto luce su ciò che gli stava accadendo. D'altronde, che alternative aveva? Poteva fuggire, ma dove sarebbe potuto andare? Non sapeva nemmeno se esistesse un posto che potesse dirsi sicuro, al di fuori della portata di quell'uomo.
Mentre si rigirava la pergamena tra le dita, pensava e ripensava all'unico dubbio che ancora lo tormentava. Se quell'uomo era davvero in grado di garantire la sua sicurezza contro la vendetta della Setta, disponeva di strumenti molto potenti. A cosa poteva servirgli lui?
Non riuscì a darsi nemmeno una risposta prima che la modesta imbarcazione si fermasse di fronte al cancello di ferro della sua abitazione. Aveva smesso di piovere, e le nuvole nere sopra la capitale del Principato di Bronzo, illuminate a intermittenza dalla frenesia della natura, già si allontanavano, lasciando dietro di loro solo flebili stralci oscuri e qualche stella solitaria, nel silenzio della notte dopo la tempesta, interrotto solo da sporadiche raffiche di vento.
Entrò in casa senza pulirsi le scarpe, senza annunciarsi. Salì al primo piano, diretto alla camera da letto, solo per arrestarsi sulla porta. La luce intensa della luna maggiore illuminava il corpo di Eriya, che giaceva distesa a letto con la gola tagliata, le lenzuola e i cuscini imbrattati di sangue. Rimase a fissarla, col cuore in gola e la paura che cominciava a impossessarsi dei suoi pensieri, mentre il lieve bagliore rosso di Luthanye rendeva l'atmosfera ancor più sinistra.
'Non si senta legato al passato, ciò che importa ora è solo il futuro'
Un avvertimento abbastanza chiaro. Accanto a lei un uomo che indossava i suoi vestiti, anche lui morto in un bagno di sangue, che colava dalle lenzuola e si spargeva sul pavimento, lentamente.
Raccolse il suo zaino e frugò tra i cassetti. Prese tutti i soldi che aveva, un po' di vestiti e infilò l'anello di suo padre al dito del cadavere che giaceva assieme ad Eriya. Nemmeno riusciva a immaginare chi potesse aver fatto una cosa del genere. Si cambiò e riprese le scale, senza esitazioni, senza voltarsi indietro. Arrivato all'uscio di casa, nel buio e nel silenzio della notte, rimase con la mano sulla maniglia, immobile.
Dopo qualche secondo di indecisione, mise a terra lo zaino e andò in salotto dove, al centro della stanza, era stata raccolta tutta la carbonella che aveva e diverse sedie e oggetti di legno. Sulla pira, era stato lasciato un pezzo di carta, con una fiammella disegnata sopra. Non ebbe più dubbi sul da farsi. Prese una candela e la incastrò in cima a tutto. Una volta accesa, srotolò la pergamena e ne lesse il contenuto.
Per quasi un minuto, si concentrò su quelle parole.
Le istruzioni erano chiare e dettagliate, niente nomi o riferimenti di nessun tipo che potessero indicare chi gli stava legando un cappio al collo. In poche righe era spiegato dove andare, come arrivarci e cosa fare una volta giunto al luogo dell'incontro. Era tutto sorprendentemente dettagliato, non c'erano margini per improvvisare. Gettò la pergamena sulla catasta, spezzò la candela lasciandola cadere sulla legna pregna d'olio e uscì di casa. Mentre le fiamme divampavano in un feroce incendio che destò l'attenzione del vicinato, Bran, zaino in spalla, sparì tra le calli di Brassar, nel silenzio.
Un paio di giorni dopo, quando l'incendio venne domato e tre palazzi attorno al suo erano crollati, divorati dalle fiamme, trovarono i resti carbonizzati di due persone, un uomo e una donna, che vennero quasi subito identificati come Bran Bilwick e Eriya Stein, rappresentanti di macchine tipografiche.
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