6
Entrata in villa uno degli uomini di Carlos m'informa di attenderlo al bar. Attraverso il corridoio e arrivata lì mi avvicino al bancone. Due uomini della sicurezza mi osservano, o meglio dire, mi divorano con lo sguardo. Lo trovo ributtante, ma quando è Carlos a farlo no. Ed è frustrante.
«Posso avere qualcosa di forte?», chiedo al barman.
«Certo dolcezza», risponde Adrian dall'altra parte del bancone. «Giornataccia?», chiede.
Sollevo lo sguardo e mi scontro con due occhi nocciola che mi guardano incuriositi.
«Ho appena battuto Carlos in una gara di moto, direi che la giornata è iniziata nei migliore dei modi.»
Lui inclina la testa di lato. «Carlos ha corso in moto, strano.»
«Perché è strano?» chiedo senza pensare.
Continua a versare del liquido in un bicchiere carico di ghiaccio e poi lo posa sul bancone.
«Non corre da molto tempo», dice semplicemente scrollando le spalle.
Strano si. Forse la smania di vincere l'ha spinto a rivalutare la cosa.
Prendo il bicchiere e ne bevo un sorso. L'alcol brucia in gola fino a scendere nello stomaco e solo allora mi ricordo che è mattina e non ho fatto colazione.
«In casa mia non si bevono alcolici a quest'ora», dice qualcuno alle mie spalle. Prima ancora che possa reagire, il bicchiere mi viene tolto di mano e appoggiato sul bancone.
«E Adrian questo lo sa bene», continua Carlos portandosi di lato. Si siede sullo sgabello accanto a me mantenendo lo sguardo sul barman.
«Prepara due caffè e vedi se dalla cucina ci portano qualcosa da mangiare» ordina severo, sembra alterato.
«Non ho fame», esclamo attirando la sua attenzione.
Carlos si volta con tutto il corpo verso di me, l'espressione è truce.
«Casa mia, regole mie. Mangi, prendi il caffè e parliamo di lavoro. Fine del discorso.»
Irritante. Prepotente. Stronzo.
Mi acciglio, ma resisto alla tentazione di ribattere. Non voglio peggiorare la situazione, anche se, vorrei dirgli che le persone sono libere di scegliere e non devono essere comandate a bacchetta. Mentre il barista telefona per ordinare del cibo e prepara i caffè, io vago con lo sguardo notando come Carlos continua a osservarmi.
«Quando hai iniziato a guidare la moto?», domanda, spezzando il silenzio.
«La prima volta che sono salita su una moto avevo diciotto anni e da quel momento non me ne sono più separata», rispondo controllata.
Il caffè viene posato sul bancone, Carlos prende le tazze in mano e me ne passa una.
«Guidi in modo spericolato», rimprovera. «E la tua moto è stata modificata.»
Se n'è accorto. Scaltro.
«Guido come voglio perché mi fa sentire libera. E hai ragione, ho modificato la moto aumentando la potenza.»
«Sei una femmina, non dovresti ragionare da maschio.»
Vuole provocarmi, ci sta mettendo molto impegno. Beve un sorso di caffè senza distogliere lo sguardo.
«Solitamente una donna si offenderebbe per la tua affermazione, ma per me è un complimento», dico inchiodando lo sguardo al suo. «Non riesci a capacitarti che una donna possa rischiare ed essere più brava di te?», lo provoco.
L'angolo della sua bocca si solleva leggermente e poi schiude le labbra.
«Un angelo come te non dovrebbe farsi trascinare da questo mondo», dice sporgendosi verso di me.
«È pericoloso», continua mentre guarda le mie labbra.
«Potresti farti veramente male». La sua bocca è davanti alla mia. Sento il suo respiro caldo sulla pelle.
Trattengo il fiato mentre il fuoco m'invade.
«E quando vorrai uscirne, non potrai più farlo.»
Il suo tono è minaccioso. Mi viene la pelle d'oca e non capisco cosa mi stia succedendo.
Le sue labbra sfiorano le mie.
«Sono esattamente dove voglio essere», sussurro sulla sua bocca un attimo prima che lui se ne appropri, divorandomi, distruggendomi ancora.
«Dobbiamo parlare di lavoro», gli ricordo interrompendo il bacio.
Sospira. «Va bene.»
Nel frattempo sul bancone viene servita l'omelette, il succo di frutta e della frutta esotica. Guardo il cibo e lo stomaco si contorce. Vorrei mangiare, ma non ci riesco.
«Di cosa dovrò occuparmi esattamente?», chiedo mentre lui infilza un pezzo di Ananas con la forchetta.
Seguo i suoi movimenti, cercando di analizzare e capire.
«Devi consegnare un pacco, è tutto quello che ti serve sapere.»
Troppo facile così.
«Dovrei sapere cosa consegno. Non credi?».
Lui mi scruta e poi infilza un altro pezzo di ananas.
Mi sorprende quando lo avvicina alle mie labbra e ordina:
«Mangia.»
Obbedisco. Cerco di masticare e mandare giù, ma sembra un'impresa ardua.
«Il carico è prezioso...», si interrompe e sospira. «Devi solo arrivare all'indirizzo che ti viene dato, consegnare e ritornare indietro.»
«Prezioso?».
«Sì. Molto prezioso.»
«Cosa trasporterò?», domando.
Solleva il corpo dallo sgabello e si posiziona davanti a me. Le sue mani si appoggiano sul bancone, ai lati del mio corpo, intrappolandomi.
«Non mi fido ancora di te e le tue domande non fanno che peggiorare la situazione», dice minaccioso.
Rimango immobile, sostenendo il suo sguardo. Una mossa falsa e mi uccide, ne sono convinta.
«Non voglio essere invadente, ma non consegno senza sapere il contenuto del carico.»
Lui si china ancora verso di me.
«Cosa ti fa credere di essere nella posizione di poter decidere? Se non ricordo male, ti ho dato la possibilità di tornare indietro e tu sei rimasta. Ora, fai quello che dico io senza discutere», dice autoritario.
Si spinge indietro, prende il bicchiere di succo e ne beve un sorso osservandomi.
«Va bene, Carlos.»
Abbasso lo sguardo. Lui si sposta sedendosi nuovamente sullo sgabello, sento i suoi occhi su di me.
«Stasera esci con me. In camera troverai qualcosa da indossare. Alle dieci in punto ci troviamo nell'atrio, non un minuto in più.»
Il suo sguardo penetrante percorre il mio corpo.
«Ora puoi andare e fare quello che vuoi, ci vediamo stasera.»
Seriamente?
Liquidata in un attimo.
Sospiro sollevata, ma prima di andarmene mi avvicino a lui, prendo il bicchiere dalla sua mano e ne bevo un sorso dicendo: «Sappiamo entrambi che ti serve qualcuno di veramente bravo e sveglio per le consegne. Ora, hai davanti a te ciò che cerchi e se veramente vuoi che il tuo carico prezioso arrivi a destinazione nei tempi stabiliti, ti consiglio di avvisarmi prima del contenuto.»
Ho appena provocato il diablo. Questo non va bene, ho perso il controllo. Il suo volto s'incupisce. Con un scatto mi afferra i polsi, il bicchiere mi scivola di mano e cade per terra rompendosi in mille pezzi. Trattengo il fiato.
«Stai giocando con il fuoco piccoletta non sai quanto trovo eccitante tutto questo.»
In sala regna il silenzio. La sua presa aumenta, come se volesse stritolarmi.
L'adrenalina sale, sono una folle perché trovo la situazione stimolante.
«Il fuoco non mi spaventa», provo a dire, ma la mia voce si sente appena.
«Hai un secondo per sparire prima che cambi idea e ti trascini nel mio letto per scoparti.»
Sgrano gli occhi per la durezza con cui lo dice. Mi libero dalla sua presa e indietreggio.
Solo l'idea delle sue mani sul mio corpo mi fanno rabbrividire, il suo tocco è come una scarica elettrica, fa male.
Mi volto e vado via.
Il cuore batte all'impazzata. Le gambe tremano.
Arrivata in camera sbatto la porta e mi lascio andare su di essa respirando a fatica. Sto per avere un attacco di panico. Corro verso il letto, sollevo il materasso e prendo il piccolo borsellino che ho nascosto. Tiro fuori le pillole e ne ingoio una.
Calma, respira. Andrà tutto secondo i piani.
Mi siedo sul letto e prendo la testa tra le mani, dondolo avanti e indietro mentre dentro di me la voragine si allarga sempre di più.
Che diamine sto facendo? Come posso arrivare fino in fondo se già da adesso non riesco a gestire la situazione?
Chiudo gli occhi, la mente vaga. I ricordi riaffiorano, provo ad allontanarli, ma loro mi schiacciano. Il petto rischia di esplodermi mentre sento le urla nella mia testa. I lamenti sono più vicini. E poi mi rendo conto che è tardi...i ricordi sono vivi.
Flashback
Il tempo era cambiato improvvisamente. Lei guardò attraverso la finestra, le nuvole che affollavano il cielo. Strinse gli occhi a fessura mentre mordicchiava il labbro senza sosta. Non ci voleva, aveva organizzato una cenetta in giardino. Sbuffò mentre con le mani appoggiate sui fianchi rivolse lo sguardo verso il salone. Poteva vedere lo spettacolo più bello di sempre. Il marito Richard e il loro bambino Davis di quattro anni, impegnati in una gara a chi finiva prima la costruzione di lego. Lei sorrise nel vedere quanto affiatamento c'era tra i due. Si sentiva una donna completa, aveva tutto quello che desiderava. Un uomo che la rispettava, e cosa più importante, una famiglia. Lei lo amava follemente, come amava il loro bambino.
Il piccolo gonfiò le guance quando la strana costruzione cadde. Lei sorrise pensando che le somigliava più di quanto immaginava. Mentre osservava quel quadretto, Richard si voltò verso di lei, sorrise mimando "tutto sua madre". Aveva ragione, lei odiava fallire, si ostinava a voler provare tutto e non si fermava finché non ci riusciva. E questo Richard lo sapeva bene. La accontentava sempre.
Il punto debole di un uomo tutto d'un pezzo come lui era proprio lei. Non riusciva a dirle di no. Erano proprio una bella accoppiata. Due mondi opposti che si completavano perfettamente.
«Il vino», esclamò ad alta voce.
Lui la guardò sollevando le spalle. Se n'era dimenticato. Aveva finito tardi di lavorare, come capitava spesso ultimamente. Lei guardò il pesce che continuava a cuocersi nel forno e corrucciò le labbra. Senza pensarci troppo, prese la giacca e la borsa per poi fermarsi sulla soglia del salone.
«Vado e torno.»
Lui alzò gli occhi al cielo esasperato, «non è la fine del mondo, lascia stare»le disse.
Lo guardò dritto negli occhi seria, troppo. Entrambi sapevano che il pesce senza vino non era il massimo e per una come lei, non erano ammessi difetti in ciò che faceva.
«Sei cocciuta come un mulo.»
«E tu mi ami anche per questo», rispose divertita da quel commento. Lei gli diede un bacio volante ed uscì in fretta. Quindici minuti prima che il forno si spegnesse e lei aveva tutte le intenzioni di tornare in tempo. Solitamente non ne avrebbe fatto una questione di stato, ma stasera era una serata speciale.
Festeggiavano il loro anniversario. Si era impegnata molto a preparare la cena, il tavolo ben imbandito e poi aveva anche pensato al regalo. Qualcosa che movimentasse la serata. Ultimamente a causa del lavoro lui era sempre stanco e quella era la serata perfetta per recuperare. Mentre si allontanava dal vialetto guardò un'ultima volta la casa sorridente. Era una persona felice.
Preso il vino e aspettato impaziente che la cliente prima di lei si desse una mossa per pagare, salì in macchina. Perché quando si ha fretta va tutto a rallentatore? si domandò la donna.
Un tuono la fece trasalire mentre si dirigeva verso la strada di casa. Appoggiò la mano sul petto e cercò di respirare con calma.
«Che spavento.»
Il corpo tremava e la costrinse ad accostare improvvisamente. Si sentiva strana, non riusciva a respirare bene. Il cuore martellava nel petto talmente forte da farle male. Guardò le mani tremanti, confusa. Non riusciva a capire. Era sempre stata bene, non aveva mai avuto problemi di salute. L'aria nell'abitacolo era diventata irrespirabile così aprì il finestrino cercando di respirare a fondo. Quello che provò era indescrivibile. Le sembrava di essere sull'orlo del precipizio. Sentiva una strana sensazione, qualcosa che stritolava lo stomaco e risaliva su per la gola lasciandola senza respiro.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro