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Jennifer
«Ti ho detto cinque minuti, ne sono passati dieci, joder!»
Sussulto e mi volto, Carlos è sulla soglia della camera, indossa un abito blu scuro, una camicia celeste con il colletto sbottonato e un'espressione scocciata.
È molto affascinante ma, come sempre, non perde occasione per essere irritante, anche se in questi ultimi due mesi ha mantenuto la parola: mi ha fatto davvero stare bene.
«Sono quasi pronta!» Esclamo infilando le scarpe di vernice nere.
Lui mi squadra dalla testa ai piedi e poi mi guarda negli occhi.
«Non arrivo mai in ritardo e non inizierò stasera», borbotta inasprito.
Mi alzo dal letto e stiro con le mani il vestito color argento dalla scollatura generosa. Lo faccio con calma, in modo che lui possa guardarmi meglio.
«Scusami se stasera ho voluto essere perfetta per te», replico civettuola andandogli in contro. «Devo solo mettere il rossetto, così potremo andare.»
Le sue mani mi cingono in vita trattenendomi sul posto. «Non farlo, voglio poter baciare le tue labbra e sentire solo il tuo sapore», sussurra sulla mia bocca.
I tacchi mi consentono di indugiare in una delle mie nuove attività preferite, senza dovermi alzare in punta di piedi.
Sfioro le sue labbra con le mie e poso dei piccoli baci agli angoli della sua bocca. «Hai un buon profumo», sussurro.
«Un buon sapore», continuo leccandogli il labbro inferiore. «E sono d'accordo con te, il rossetto rovina tutto.»
Prendo l'iniziativa, lo bacio mentre mi accarezza la schiena con le sue mani calde e possenti risalendo fino alla nuca.
Questa sarà una serata speciale, andremo a cena fuori e non saremo soli. Lui ha insistito per farmi conoscere meglio Damian e Kris e, per quanto la cosa possa mettermi a disagio, voglio entrare a pieno titolo nella sua vita.
Dopo che tutti hanno scoperto chi fossi realmente, Kasandra ha cercato di creare un legame con me, ha capito le mie ragioni e da due mesi tra noi sembra essersi creata una bella intesa. Non le ho detto di sapere del suo passato perché Carlos me l'ha raccontato in confidenza, ma ora riesco a capire tanti dei suoi comportamenti. Non la giudico più perché so cosa ha subito.
All'inizio, quando ho deciso che rimanere sarebbe stata una buona idea, ho fatto fatica ad accettare la situazione. Svegliarmi ogni mattina con lui accanto, dover condividere pensieri e abitudini non è stato facile, ma più i giorni passavano e più la situazione ha iniziato a piacermi.
Durante la settimana impiego le giornate al Villaggio Esperanza. Anche se insegno solo tre volte la settimana per un'ora, cerco di dare una mano con i più piccoli: sono adorabili, mi piace giocare con loro e prendermene cura. Carlos non si oppone, sembra contento che trascorra il mio tempo in compagnia dei bambini e quando gli impegni glielo consentono mi raggiunge. Vederlo abbandonare i panni dell'uomo duro tutto d'un pezzo per vestire quelli di una persona allegra e spassosa, mi riempie di gioia. Penso sempre al mio bambino e spero che stia bene ovunque sia, ma ho cercato di sostituire il dolore con i ricordi migliori che ancora conservo di lui.
«Ok tesoro, ora che mi hai dato la tua dose di dolcezza rendendomi più ragionevole, vorrei ricordati di muovere il culo e camminare. Siamo in ritardo», esordisce come se nulla fosse.
«Despacito, Carlos.» Sorrido accarezzandogli il viso.
Mi bacia ancora e poi mi guarda negli occhi.
«Un'altra volta cariño, stasera date prisa», controbatte prendendo la mia mano e trascinandomi fuori dalla camera con poca grazia.
«Carlos», protesto. Non riesco a stare al passo se cammina veloce.
«Rápido - Rápido. Amor», mi incita per le scale.
Deve essere agitato, non l'ho mai sentito usare così tante parole spagnole da quando siamo insieme.
Sospiro arresa, ma poi vado a sbattergli contro quando si ferma di colpo nell'atrio.
Che succede ora?
«Stavo dimenticando una cosa molto importante», annuncia inclinando la testa di lato. Tira fuori dalla tasca un sacchetto di velluto e poi svuota il contenuto sulla mano: è una collana con tre gemme meravigliose.
«L'ho fatta fare apposta per te», prosegue facendola scivolare intorno al mio collo. «Sono le stesse pietre che hanno abbellito il tuo corpo quella sera sul mio divano.»
Con le dita sfioro il mio nuovo gioiello e il cuore rischia di esplodermi nel petto.
«Grazie, è bellissima», dico imbarazzata.
Lui mi bacia e, stavolta, intreccia le nostre dita e mi accompagna alla sua auto.
«Sei troppo silenziosa, stai bene?» Mi domanda men254
tre attraversiamo la città.
«Benissimo»
La mia mano si posa sulla sua gamba e lui, tra un cambio di marcia e l'altro la copre con la sua, facendo comunque attenzione alla strada.
«Carlos.»
«Sì?»
Respiro a fondo e decido di essere coraggiosa.
È il momento.
«Io ...» Le parole mi muoiono in gola.
Dillo, tanto l'ha capito.
Lui tace e sorride. Sta aspettando. Lui aspetterà sempre senza perdere la speranza.
«Credo di amarti», ammetto spaventata dando voce al pensiero che ho zittito sino a questo momento.
Ho paura di scoprire che sia stata un'illusione anche stavolta.
Ho paura di sbagliare ancora.
Carlos rallenta svoltando a sinistra, parcheggia, slaccia la cintura di sicurezza e finalmente si volta verso di me.
I suoi occhi brillano, sembra felice.
«Te quiero también, Jennifer.»
Il mio cuore si ferma al suono di quelle parole.
Lui mi ama. Il mio corpo si rilassa, la tensione svanisce del tutto.
«Respira, amor. Sapevi da tempo che ti amo così come tu ami me. Non c'è un altro modo per definire ciò che c'è tra noi.»
Ha ragione, dannata me.
Mi avvento su di lui stringendolo forte.
«Avevo paura», confesso nascondendo il viso tra il suo collo e la spalla.
«Lo so e io sono qui per farti sentire al sicuro. Ormai è la mia ragione di vita.»
Eh sì, quando vuole sa essere anche davvero roman255
tico.
«Sarà il caso di scendere, siamo sempre in ritardo» sottolinea rovinando il momento.
Lo guardo di traverso e lui solleva il sopracciglio.
«Che c'è?»
«Ti hanno mai detto che hai un tempismo invidiabile?» Sbotto chiudendo la portiera.
«Senti dolcezza. Non è colpa mia se hai avuto bisogno di secoli per capire ciò che io so da tempo», replica serio mentre si sistema la giacca. «Ahora, ven aquí», mi invita facendomi segno di avvicinarmi.
Indispettita acconsento con gli occhi ridotti a fessura, ma quando posa la mano sulla mia schiena il suo tocco mi placa immediatamente.
Entrando nel ristorante noto gli interni eleganti e minimali.
Me l'aspettavo, lui adora la sobrietà.
Carlos saluta qualcuno con un cenno del capo e poi mi indica il tavolo in fondo alla sala.
Ci siamo, gli altri sono già seduti.
«Alla buonora», commenta Kasandra intanto che ci accomodiamo.
Carlos la guarda contrariato, ma lei non sembra preoccuparsene, solleva il calice e beve.
«Benvenuta Val... Jennifer», mi accoglie Damian correggendosi.
Sorrido imbarazzata. Mi sento sotto pressione, ho sei paia di occhi puntati addosso, tranne quelli di Carlos, che sta versando del vino nel mio bicchiere: «Bevi, servirà a scioglierti un po'», sussurra sporgendosi verso di me.
Quest'uomo è una sorpresa continua. Devo ancora capire come riesca ad anticiparmi intervenendo sempre al momento giusto.
«Allora, come procede la vita di coppia?» Domanda Kris con una punta di malizia.
Kasandra solleva gli occhi al cielo e sventola la mano verso di lui. «Sei sempre il solito. Ringrazia che almeno lui sia riuscito a fare un passo avanti.»
«E sentiamo, da cosa deriverebbe questa tua supposizione? Non mi pare che tu trascorra le giornate in mia compagnia», protesta guardandola negli occhi.
«Tu sei troppo egocentrico, non c'è bisogno di starti accanto per sapere che non sai cosa voglia dire la parola "relazione"», lo rimbrotta prendendosi gioco di lui.
«Ma insomma, avete finito voi due?», interviene Damian, mentre Carlos ed io ci godiamo la scena divertiti.
Pensavo di trovare una certa resistenza nei miei confronti, invece si stanno comportando in modo naturale, come se anch'io fossi già inserita nel gruppo.
«Ti sta benissimo la collana», commenta Kasandra rivolgendosi a me.
«È stupenda», rispondo spostando lo sguardo su chi me l'ha regalata.
«Come procede la campagna Kris?» Chiede Carlos prendendo parte alla conversazione.
«Mi tiene impegnato ventiquattro ore su ventiquattro, ed è anche a proposito di questo che, mio malgrado, sabato mancherò all'incontro con i russi.»
Carlos inspira rumorosamente e poi beve un sorso di vino. «Ho dovuto fare i salti mortali per fissare l'incontro, avremmo dovuto partecipare tutti, ma capisco anche che il tuo lavoro sia importante.»
«Sai cosa penso dei russi, non mi piace il loro capo branco», interviene Kasandra.
«Neanche a me, ma abbiamo bisogno di loro per attingere dalle miniere della Siberia», interviene Damian.
«Lo so bene, ma Ivan Volkov non mi va a genio», ribadisce lei pensierosa.
«A te non piace nessuno», commenta Kris.
I due si punzecchiano molto, dando l'impressione di essere
dei veri fratelli.
«Ragazzi, non ci devono piacere, dobbiamo solo concludere l'affare. Fine del discorso», dichiara Carlos mettendo a tacere tutti.
Autoritario, controllato. Solo lui può farlo.
Vengono serviti gli antipasti e il clima torna a distendersi tra battute e risate. Loro non nascono come famiglia, ma è come se lo fossero perché sono uniti da un legame inscindibile. Hanno attraversato l'inferno, ma alla fine sono rinati più forti di prima.
«Dimmi Jennifer, è vero che eri intenzionata ad ucciderlo?» Erompe Kris, dal nulla, puntando lo sguardo su di me.
Carlos appoggia la mano sulla mia, la stringe e risponde prima che possa farlo io.
«Veramente lo vuole ancora, ma abbiamo fatto un patto», scherza sorridendo.
Tutti ridono, me compresa.
«Un patto con il diavolo», aggiungo sussurrandoglielo all'orecchio e baciandolo sulla guancia.
«Vi prego, almeno davanti a noi contenetevi», ci riprende Kasandra.
Mortificata raddrizzo la schiena abbassando lo sguardo sul piatto. Forse ha ragione, dovrei essere meno affettuosa in pubblico.
«Non ci penso proprio, qualche problema Kas?» Ribatte Carlos tirandomi a sé «Damian come procede la palestra? Hai risolto il problema con il fornitore?» Continua ignorando qualunque tentativo di risposta da parte dell'amica.
«Dire di sì, ma c'è un clan a Portorico che inizia a ficcare il naso nei miei affari», spiega l'uomo continuando a mangiare.
«Vivi a Portorico?» Chiedo sorpresa.
L'uomo solleva lo sguardo e annuisce. Non capisco, è venuto fin qui per... Questa cena?
«E tu Kris, vivi a Cuba?»
«Santo Domingo.» Risponde scuotendo la testa.
Wow. Non sono proprio dietro l'angolo.
«Ora mi capite quando dico che è curiosa?» Borbotta Carlos.
Gli altri sorridono, ma io rimango ferma imbambolata.
Lui gli ha parlato di me?
«L''unica che è rimasta qui contro la sua volontà sono io», protesta Kasandra. «Avrei scelto l'Italia, le lunghe passeggiate tra i vigneti della Toscana. E invece mi ritrovo intrappolata qui.»
Rido di gusto osservando il suo sguardo sognante.
Gli uomini non sembrano apprezzare molto la sua confessione, infatti la fissano in malo modo.
«Che c'è? Tutti e tre avete avuto la possibilità di scegliere, io no», dice prima di inghiottire d'un fiato tutto il vino contenuto del suo calice.
«Lo sai che non posso fare a meno di te, e poi hai tutto che vuoi anche qui», le bisbiglia Carlos teneramente.
Lei solleva un sopracciglio contrariata. «Puoi trovare qualcuno più bravo di me, anzi, se vuoi posso consigliarti io qualcuno per il controllo qualità, basta chiedere.»
«Kas, mi fido solo di te.»
Si avvicina a lei e riducendo la voce a un sussurro. «Solo tu puoi occuparti di quelle rarità.»
Lei sospira e poi alza le mani in segno di resa.
«Ok, facciamo finta che non abbia detto niente.»
Il silenzio piomba sulla tavola come un mattone. Immagino che anche loro, come in ogni famiglia che si rispetti, abbiano dei problemi.
Li osservo di sfuggita tra un boccone e l'altro scambiarsi sguardi complici. Sono cresciuti insieme, si conoscono molto bene eppure ognuno di loro ha preso strade diverse, in città diverse. L'unica insoddisfatta sembra essere Kasandra e penso sia assurdo che Carlos non riesca a trovare qualcuno che possa fare il suo lavoro. Capisco che non sia facile fidarsi, ma lei ha il diritto di vivere come vuole.
Finita la cena ci salutiamo con la promessa di rivederci il prima possibile. Da quello che mi ha spiegato Carlos si riuniscono una volta al mese e nelle ricorrenze.
È stata un incontro insolito, per certi versi piacevole, ma per altri troppo denso di sottointesi. Forse andrà meglio la prossima volta.
Usciti dal ristorante Carlos mi bacia sul collo avvolgendomi tra le braccia.
«È stato bello, no?»
Volto la testa verso di lui e sorrido.
«Sì, sono stata bene.»
I suoi occhi scavano in profondità dentro di me finché non trovano ciò che cercano.
«Corazón», esclama, mentre gli accarezzo il viso.
«Corazón», ripeto unendo le nostre labbra.
Un bacio carico d'amore, perché alla fine ho accettato la verità: mi sono innamorata di chi credevo fosse il mio più acerrimo nemico non sapendo che, sin dall'inizio, fosse il mio più fedele alleato.
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