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23

Jennifer

Distesa sul divano mi rannicchio in ansia e osservo la porta. Stamattina Jack è stato processato ed è tutto il giorno che aspetto di sapere come sia andata.

Ieri Carlos mi ha portato al villaggio Esperanza e abbiamo passato la giornata in compagnia dei bambini, venti per l'esattezza, anche se lui ha ribadito che appena sarà pronto l'ampliamento potrà dare asilo ad altrettanti.

Mi ha sorpreso vederlo calarsi nei panni del padre modello, l'ho osservato viziarli, ma anche rimproverarli quando si è reso necessario. Sebbene non siano i suoi figli, lui li tratta come tali.

Questa volta ho avuto modo di visitare meglio i due piani superiori dell'edificio adibiti dormitorio, constatando la piacevole diversità rispetto alle sterili camerate che si potrebbero immaginare in un istituto. Ogni stanza è arredata in modo vivace e ospita solo due piccoli per volta, anche se potrebbe alloggiarne quattro. Secondo Carlos, infatti, è importante offrire loro degli spazi privati dove sentirsi a proprio agio. Oltre a piscina, scuderie, campo da calcio, e campo da tennis c'è un campo da basket interno, rivestito di lucido parquet e dotato di spalti. Carlos ha detto che in futuro potrebbe comprare anche delle strutture gonfiabili da disseminare per il parco, ma non ne era del tutto convinto. Ciò che più mi ha stupita è stata la stanza per lo studio. Le pareti erano

occupata da librerie altissime, stracolme sia di volumi didattici che di narrativa. Ne sono rimasta affascinata. Le scrivanie erano disseminate per tutta l'area senza un vero e proprio ordine, ma al centro risaltava quella destinata a Gracia, la direttrice, nonché insegnante.

Carlos mi ha fatto sapere che i bambini in età scolare partecipano tutti i giorni alle lezioni, invece quelli al di sotto dei cinque anni si divertono in una grande stanza strabordante di giocattoli.

Ha pensato proprio a tutto.

Quando ha comunicato ai più grandi che presto sarei diventata la nuova insegnante di inglese un boato di approvazione è risuonato per la classe. È stato elettrizzante anche se, ora che ci penso, stare a contatto con loro ogni giorno mi ricorderà che mio figlio non potrà mai più crescere, non potrà più ricevere una mia carezza e non potrà più dirmi "Mamma ti voglio bene."

La porta si apre facendomi scattare in piedi come una molla. Con il cuore in gola guardo Carlos avanzare verso di me.

L'espressione sul suo volto è indecifrabile, ma ho l'impressione che sia successo qualcosa.

«Com'è andata?»

«Meglio di quanto sperassi.» Annuncia dopo avermi baciata, poi si toglie la giacca e l'abbandona sul divano.

«Ho dovuto trovare un accordo con il giudice, ma alla fine ho ottenuto ciò che volevo», spiega prendendo due birre dal frigo, passandomene una.

Qualcosa non va.

«Sembri preoccupato», commento prima di bere un sorso.

«Siediti angelo, dobbiamo parlare», dice calmo.

Sta per scatenarsi un urgano, lo sento.

Continuo a rimanere dove sono e deglutisco. «Sto bene qui, avanti, raccontami tutto.»

«Jack verrà condannato per stupro. Se l'imputazione fosse stata omicidio sarebbe subentrato il governo degli Stati Uniti e io non sarei più potuto intervenire», risponde incrociando le braccia. «Qui posso assicurarmi che soffra ogni giorno che dio manda in terra.»

Vorrei urlare per quanto sono arrabbiata, ma mi limito a mordermi il labbro fino a farlo sanguinare.

«Jennifer», mi richiama costringendomi a guardarlo negli occhi. «Fidati di me, pagherà col suo sangue qui a L'Avana.»

Gli credo, so che farà di tutto non solo per me, ma anche per vendicare il mio bambino.

«C'è dell'altro, ma credo sia meglio aspettare per parlarne», dice sedendosi sul divano.

In una falcata lo raggiungo, «dimmelo ora», insisto vedendolo rigirare la bottiglia di birra tra le mani.

«Non credo la prenderai bene, angelo.» Temporeggia.

Ho il cuore in gola.

Cos'altro può essere successo?

«Carlos, lo voglio sapere, adesso.» Dico tra i denti.

Lui torna a guardarmi e sembra addolorato.

«Jack ha voluto lasciarti un regalo prima di entrare in carcere», esordisce estraendo un foglio ripiegato a metà dalla tasca della giacca,

«Sappi che io sono qui e sono ciò che vedi», sussurra porgendomelo.

È una fotografia.

Le mie certezze si sbriciolano ancora una volta in mille pezzi. Il mondo non smetterà di girare solo perché sento che l'abbia appena fatto, ma ora sono inchiodata al suolo e mi domando se la vita non sia solo uno scherzo crudele.

«Perché?» Chiedo raggelata osservando la coppia felice ritratta nell' istantanea, la stessa che credevo fossimo Richard ed io, constatando che mio marito non la pensasse allo stesso modo. Al mio posto, infatti, c'è una ragazza con le lentiggini e lunghi capelli rossi, ed è lei che lui abbraccia rilassato e sorridente baciandola a fior di labbra.

Voglio svegliarmi da quest'incubo.

Carlos mi richiama al presente: «Jennifer...»

Lo guardo.

«Quella foto risale a quattro anni fa.»

Un colpo secco, diritto nello stomaco.

Eppure si è sempre comportato in modo esemplare.

Com'è possibile? Come ho fatto a non accorgermi di nulla?

Ripiego lo scatto e lo lascio sul tavolo. Bevo la birra lasciando vagare lo sguardo e i ricordi tornano a scorrermi davanti, come un fiume in piena. Mi sentivo amata, desiderata, credevo che fosse tutto perfetto, tutto al posto giusto, invece era l'ennesima illusione, solo fumo davanti agli occhi, nient'altro.

Richard ha recitato una parte per anni. Tornava a casa la sera tardi dicendo che aveva sempre del lavoro arretrato, facevamo l'amore, ma erano sempre rapporti sbrigativi, specialmente nell'ultimo anno. Perché ai tempi non ho notato queste cose? Cosa mi ha fatto credere che andasse tutto bene?

Ma certo!

Lui sapeva che lasciarmi fare ciò che voglio, in fondo, è sempre stato il modo migliore per tenermi buona. Ora che ci penso non mi hai mai nemmeno chiesto dove andassi quando uscivo, sono stata stupida a credere che, comportandosi così, dimostrasse di rispettare i miei spazi.

Negli ultimi tempi poi, mi toccava a malapena e non credo che mi abbia mai cullato tra le braccia, o dato conforto come... Carlos.

Accidenti.

Ho appena fatto il confronto tra Richard e Carlos. Appoggio la bottiglia sulla fronte, mi scoppia la testa e mi manca l'aria.

«Io, ho bisogno di uscire, devo... Devo farmi una passeggiata», balbetto affrettandomi verso la camera. Lui mi segue in silenzio e tace anche quando mi vedere indossare la giacca, ma continua ad osservarmi.

Richard non mi ha mai guardato come mi guarda lui.

Non mi ha mai toccato come mi tocca Carlos.

Sto per impazzire, la mia mente sta facendo brutti scherzi. Vorrei guardarlo negli occhi e convincermi che non sia come penso, ma sono troppo codarda. Infilo le scarpe e mi accingo ad uscire, ma lui si mette davanti alla porta bloccandomi il passaggio.

«Angelo.»

Angelo. Angelo. Angelo.

«Smettila, cazzo! Non chiamarmi angelo. Richard mi chiamava sempre angelo!» Urlo perdendo le staffe e iniziando a bersagliarlo di pugni, senza che lui reagisca.

«Tu non sei lui. Smettila. Smettila», seguito a gridare continuando a colpirlo sul petto sempre più debolmente, finché non mi afferra i polsi bloccandomi.

«Io non sono "lui". Io sono quello che ti fa stare bene. Io sono quel fottuto bastardo che è andato oltre, anche quando ha scoperto che volevi ucciderlo. Io, che ti piaccia o no, sono quello che può renderti felice», dichiara scuotendomi.

Non riesco a replicare. Le sue parole mi sono arrivate diritte al cuore.

«Ahora, finiscila di frignare. Quella carogna ha messo in pericolo la sua famiglia, ha tradito te -sua moglie - ed è responsabile della morte di vostro figlio», mi rimprovera in tono aspro facendomi tremare come una foglia.

«Smettila di fingere, perché io vedo quello che vedi anche tu. Stiamo insieme perché entrambi lo vogliamo, sapevi che non ti avrei costretta con la forza a rimanere e hai usato le mie parole come scusa pur di non ammettere a te stessa la verità.»

Mi lascia andare e io indietreggio mentre le lacrime scendono sul mio viso.

«Dillo, Jennifer», insiste avanzando. «Dillo cazzo, così possiamo andare avanti e viverci» prosegue arrabbiato.

Io, terrorizzata, continuo a retrocedere. Non si fermerà, lo so.

«Carlos smettila», sibilo sbattendo la schiena alla parete, ma lui appoggia le mani ai lati della mia testa e mi guarda negli occhi.

«Coraggio Jennifer», insiste abbassando la voce.

Respiro profondamente e chiudo gli occhi.

Mi manca l'aria, ho paura.

«Non posso fare tutto io», sussurra. «Devi trovare il coraggio se vuoi che continui a prendermi cura di te.»

Il fiato mi rimane intrappolato in gola, il cuore sta per esplodere.

Apro gli occhi e mi specchio nei suoi, sconfitta.

Sono pronta a bruciare all'inferno per l'eternità pur di averlo accanto.

«Distruggimi e portami via con te», annuncio con voce tremante.

Lui fa aderire i nostri corpi in un abbraccio pacificatore e mi bacia.

«Carlos», lo invoco piangendo quando mi prende in braccio, poi mi porta in camera e mi stende sul letto. Si sdraia accanto a me appoggiando la testa sul gomito e mi guarda.

Con il pollice mi asciuga le lacrime, sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi bacia la fronte.

«Andrà tutto bene», sussurra.

«Ho paura», confesso stringendomi contro il suo corpo e nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. Il suo profumo m'inebria, mi calma.

«Farò in modo che la paura diventi gioia. Ti prometto che sarai felice.»

Carlos mantiene sempre le sue promesse.

«Sei irritante, ma mi piaci».

Sorride.

«Anche tu sei irritante, ma impazzisco per te», replica divertito passando le dita tra i miei capelli, baciandomi di nuovo.

Cosa accadrà adesso? Lui e la sua vita sono distanti anni luce da quel che immaginavo fosse la felicità, eppure sono ciò che voglio.

«Stasera si dorme, ma sia chiara una cosa: non sono il tipo che sta a letto solo per le coccole, il sesso sfrenato è fondamentale. E noi due sappiamo fare dell'ottimo sesso.»

Lo guardo fingendomi disgustata, ma in realtà la sua capacità di passare dall'essere premuroso a rude in pochi secondi mi diverte.

«Non mi guardare così, dolcezza» commenta, con l'espressione di chi crede di essere una divinità o, in questo caso, el Diablo.

«Non ti guardo in nessun modo», rispondo poco convinta, ma il sorriso sulle mie labbra mi tradisce. Lui, per tutta risposta, mi guarda malizioso, si avvicina e mi sfiora il collo con la lingua.

«Potrei trasformare questa serata in qualcosa di molto interessante», commenta sensuale.

Trattengo il fiato.

«Sei terrorizzata, ma anche curiosa di scoprire come sarà rimanere, la tentazione è forte», continua scivolando con le dita sul mio corpo fino a raggiungere il basso ventre, provocandomi i brividi.

«Carlos...» Sussurro nel tentativo di fermarlo, ma imperterrito solleva la mia maglia e inizia a disegnare dei piccoli cerchi intorno all'ombelico.

«Stai zitta e goditi il momento.»

Lo assecondo, ma solo perché mi piace ciò che sta facendo.

Strofina il viso sul mio collo e la sua mano scorre sotto la maglietta accarezzandomi il seno.

Mmh, mi piace.

«Sto aspettando, dimmi, quanto mi desideri?» Chiede baciandomi il collo, torturandomi lentamente.

Sposto le mani dai suoi capelli e gli accarezzo la nuca.

I suoi occhi incontrano i miei.

Buttati. Non può fare niente che tu non voglia.

«Tanto», bisbiglio raccogliendo tutto il coraggio. «Mi fai stare bene ed è quello di cui ho bisogno, adesso.»

Si distende sulla schiena trascinandomi sopra di lui bruscamente, nel suo stile. Mi sfila la maglietta, la getta a terra, e poi guarda i miei seni compiaciuto.

Sto vivendo il momento senza preoccuparmi del dopo ed è una sensazione fantastica.

«Il tuo corpo mi fa impazzire, il tuo carattere a tratti ermetico e a volte inconsapevolmente dolce mi manda in estasi», dice prima che le sue labbra si avventano sulle mie. Mi aggrappo al suo corpo accogliente e rispondo al bacio coinvolta, trascinata in quel turbine di passione che è in grado di creare per noi.

«Mi vuoi dentro di te?» Domanda pur conoscendo la risposta.

Siamo alle solite.

L'ombra di un sorriso mi compare spontanea sulle labbra. A Carlos piace proprio farsi pregare, lo fa sentire indispensabile, importante.

«Sì ti voglio dentro di me, in questo preciso momento. Voglio che mi scopi come solo tu sai fare», dico senza vergogna afferrandolo per il colletto. «Voglio che mi parli, che mi dica tutto quello che vorresti farmi, voglio sentirmi piena e sazia e dimenticarmi chi sono», continuo liberandolo dalla camicia. «E soprattutto», aggiungo sorridendogli maliziosa intanto che scivolo in basso e lo libero dai pantaloni, «io non prendo più ordini da te», concludo sfidandolo con lo sguardo.

Lui si appoggia sui gomiti e mi guarda accigliato, ma – come sempre – non mi spaventa.

«Sicura di voler fare questo gioco, Jen?» Mi minaccia.

Modalità Diablo attivata.

«Oh signor Gardosa, lei non ha ancora capito come sia fatta realmente», lo stuzzico togliendoli i boxer.

Mi lascia fare, sembra incuriosito.

Percorro con la lingua l'asta eretta e lo guardo dritto negli occhi.

La mia mano gli avvolge il sesso, la mia lingua lecca la superficie tonda e setosa del suo glande.

«Questo è per tutte le volte che mi hai fatto male», dico fermandomi e aumentando la presa.

Lui non si scompone, ma i suoi occhi diventano infuocati.

«Non farlo, te ne pentiresti», minaccia.

Ignoro il suo avvertimento e con l'altra mano gli afferro i testicoli. «Questo è per avermi fatto provare dolore», ringhio stringendo.

Carlos mi afferra per i capelli, ma io non mollo.

«Giuro che se non la smetti immediatamente, ti scoperò talmente forte che non ti alzerai da questo letto per settimane», ruggisce.

Oh merda. Desisto all'istante.

«Tu sei il diavolo travestito da angelo», commenta strattonandomi per i capelli fino a bloccarmi sul letto sotto il suo peso.

Mi lamento e guadagno una tregua, ma sembra ancora arrabbiato.

«Sai cosa succede ora?»

«Mi scopi?»

Oh no, ha quell'espressione vendicativa.

«No, ora mi do da fare, ti faccio arrivare al culmine e poi mi fermo», sussurra sulle mie labbra. «E questo solo per ricordarti cosa succede quando decidi di tirar fuori il demonio che c'è in te.»

Mi dibatto, ma con scarsa convinzione. In un certo senso il suo gioco mi solletica, ma so che alla fine non sarà una tortura del tutto piacevole, lui sa come spingersi al confine della crudeltà.

«Carlos, non farlo», lo supplico.

«Invece lo farò, è una promessa Jen. E tu sai cosa vuol dire?»

Sospiro arresa.

«Carlos Gardosa mantiene sempre le sue promesse»

«Esatto.»


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