20
CARLOS
Flashback
In casa mia non abbiamo la televisione, mamma e papà non hanno abbastanza soldi, dicono che siamo poveri. Viviamo in una stanza, che usiamo per tutto. Ci sono due materassi per terra, una cucina a gas, una bacinella che mamma usa come lavandino. Non abbiamo un tavole e le sedie come i vicini. Loro hanno più cose, anche una televisione. A volte esco sul pianerottolo del palazzo e appoggio l'orecchio alla loro porta per sentire la televisione. Alle 20 c'è un programma che fa ridere. La mia mamma litiga sempre con il mio papà, molte volte lui la picchia e poi mi sbattono fuori perché devono fare sesso.
Mi costringono a stare sul pianerottolo, ma io non vorrei perché sento tutto. Non mi piace sentire le urla della mamma e papà che le dice parole sporche.
Sono le due di notte e io sono ancora qui fuori. Il mio stomaco brontola perché ho tanta fame. Ho paura di dirlo ai miei genitori perché loro si arrabbiato, dicono che sono abbastanza grande per cercarmi il cibo da solo.
Ogni tanto mi chiedo se tutti i bambini sono come me. Anche loro non hanno vestiti e usano sempre gli stessi pur essendo strappati e sporchi? Anche loro non mangiano per giorni? Anche loro vengono mandati a rubare? Penso di si, anche perché quelli che conosco fanno le stesse cose che faccio io.
Appoggio la testa sul muro e con le unghie gratto allargando ancora di più il buco sulla parete. È il foro di un proiettile, un giorno un signore voleva uccidere il nostro vicino e ci è andato vicino. L'ha colpito alla spalla mentre scendeva le scale e io ho sentito tutto perché ero in casa.
Ho avuto tanta paura perché ero solo e non sapevo cosa stava succedendo.
Ho fame, non riesco a pensare ad altro. In casa non c'è mai niente, neanche un pezzo di pane e anche se ci fosse mamma lo lascerebbe a papà. Lei dice che devo ringraziare che ho ancora un posto dove dormire. Continua a ripetere sono uno scherzo della natura, che non servo a niente.
Cerco sempre di fare quello che dice, ma lei non è mai contenta. Mi urla sempre e dice che mi odia, ma io non le ho fatto niente.
Non dovevo nascere, ma sono nato.
Voglio vivere, ma non posso scegliere di vivere.
Mi sveglio, sono sudato e il cuore batte forte.
Merda. Di nuovo i ricordi. Era da tempo che non ne avevo.
Quella parte non esiste più, ora sono padrone di me stesso e nessuno può farmi del male. Nessuno.
Jennifer si muove, sta per svegliarsi. Tengo gli occhi chiusi, la sento sospirare. Adesso si che ci sarà da divertirsi. Darà di matto quando si renderà conto dove si trova.
JENNIFER
Apro gli occhi. La testa mi gira, ma è quasi piacevole. Non ricordo molto della sera precedente, o forse non voglio ricordare per non avere sensi di colpa. Mi stiracchio allargando le braccia, ma sfioro un corpo caldo.
Santo cielo sono nella camera di Carlos!
Come sono arrivata fin qui
Ho la bocca impastata e nella mia testa regna la confusione. Non trovo il coraggio di voltarmi verso di lui, non so come affrontare la situazione. Potrei sgattaiolare via, magari dorme ancora. Ecco, potrei vestirmi al volo e sfrecciare lontano sulla mia moto.
Guardo il soffitto e strizzo gli occhi.
Come accidenti sono finita in questa situazione?
Ok, non è stato lui a uccidere mio figlio, ma perché ora dovrei vederlo sotto un'altra luce? È pur sempre un trafficante di pietre preziose, lui vive nell'illegalità.
Sono davvero sicura che sia lui quello sbagliato?
Le confidenze di ieri sera mi hanno destabilizzato. Dentro di me è scattato qualcosa che non so spiegarmi.
Ero dispiaciuta per lui, soffrivo per lui.
«Fai troppo rumore», dice la sua voce profonda.
Dannazione, è sveglio. Addio piano di fuga.
«Cosa?» Domando stridula voltandomi verso di lui, mentre stringo il lenzuolo al petto, come se improvvisamente fossi diventata timida.
Assurdo.
«Il tuo cervello sembra un cantiere. Riesco a sentirlo da qui», risponde mentre la sua gamba si fa strada tra le mie.
Col braccio scivola intorno ai miei fianchi e mi attira a sé bruscamente.
«Dormi, è ancora presto», dice.
Ma che diamine succede?
Sospiro e appoggio il viso al suo petto caldo. Dalla posizione in cui mi ha costretta ascolto il battito del suo cuore e il ritmo regolare mi fa inspiegabilmente rilassare.
Lui continua a stringermi iniziando ad accarezzarmi i capelli, lentamente, con dolcezza.
«Carlos...» Esordisco, ma lui mi interrompe tappandomi la bocca.
«La risposta è no.»
La risposta a cosa? Non conosce neanche la domanda.
«Io...» Ritento, ma lui mi prende il viso tra le mani e mi bacia.
Oh. E questo cos'è?
Rimango ferma, immobile, rigida come non mai.
Lui mi guarda negli occhi contrariato e dentro di me si apre una voragine.
«No, non vai da nessuna parte. No, non voglio punirti. Sì, voglio averti nella mia vita. Sì, penso che tra noi ci sia qualcosa che vada oltre l'attrazione. E sì, mi ricordo ciò che ci siamo detti ieri sera ed è stato come se mi sentissi veramente libero dopo tanti anni», si ferma mentre sale sopra di me intrappolandomi.
«Non ti lascerò decidere, perché le tue decisioni sono molto discutibili. La tua vita è finita il giorno in cui tuo figlio e Richard sono morti, ma ieri eri confusa perché l'uomo che amavi, tuo marito, ti ha raggirata nel più subdolo dei modi. Ora non sai come andare avanti», abbassa il viso, «ma sei convinta che io sia la persona sbagliata con cui farlo e non vedi l'ora di andartene.» Le sue labbra sfiorano le mie e poi si ritraggono.
«Ecco cosa faremo: tu rimarrai qui, vedremo come andrà e nel mentre io ti insegnerò a ritornare a vivere.»
Sembra così semplice, eppure non riesco a smettere di essere seccata.
Chi si crede di essere per decidere al mio posto?
«E non mi guardare in quel modo perché mi fai venire voglia di scoparti selvaggiamente», continua divertito.
Spalanco la bocca sconvolta.
Come fa a essere sempre così diretto?
Lo spingo cercando di spostarlo, ma lui afferra i miei polsi bloccandomi.
«Ehi, fai attenzione!» Mi lamento. Le escoriazioni create dalle catene non si sono ancora rimarginate del tutto.
Lui lascia la presa solo per afferrarmi le braccia e indirizzarle sul suo petto. Vorrei ritrarmi, ma non lo faccio. Con lo sguardo e con le mani percorro la sua pelle, risalgo fino al collo e poi sui bicipiti seguendo i contorni dei tatuaggi.
«Come ti sei procurato le cicatrici?» Gli chiedo per l'ennesima volta, sorprendendo anche me stessa.
Perché m'interessa?
«Non siamo più ubriachi, il tempo delle confidenze è finito», ribatte e poi respira a fondo.
Le mie mani scivolano sulla sua schiena, le mie dita ne sfiorano i solchi.
«Ti prego, dimmelo.» Insisto riportando lo sguardo nel suo.
Ho appena supplicato Carlos Gardosa.
Si lascia andare di lato e il mio corpo sobbalza. Mi volto verso di lui che, carico di rabbia, guarda il soffitto.
Non riesco a capire se il suo cambio d'umore sia dovuto alla domanda, oppure al ricordo che questa ha evocato.
«È successo quando sei stato venduto, o in istituto?» Chiedo determinata a non arrendermi.
«La tua curiosità mi irrita», borbotta incrociando le mani sull'addome.
«Anche tu mi irriti», ribatto mettendomi su un fianco rivolta verso di lui. «Chi è stato, Carlos?»
Lui si volta verso di me e mi osserva minaccioso.
Sul serio Carlos, Ancora?
Forse non ha ancora capito che dopo tutto quello che ho passato non c'è più nulla che possa spaventarmi.
«Perché vuoi saperlo?»
Appoggio il gomito sul cuscino e con la mano sostengo la testa.
«Non lo so, ma è diventata un'ossessione. La tua schiena, le tue braccia, sono piene di cicatrici e mi sono sempre chiesta chi potesse essere stato tanto crudele da ridurti così», sussurro mentre poso l'altra mano sul suo petto.
Lui la copre con la sua e sospira. I suoi occhi incatenano i miei.
«Se te lo dirò, tu non potrai più uscire dalla mia vita», avverte serio.
In un modo o nell'altro andrò via, ma decido comunque di annuire e assecondarlo.
Prende la mia mano e la guida sul braccio sinistro, indirizzando l'indice in un punto preciso, tra la spalla e il bicipite. «Questa è stata la prima frustata che ho ricevuto. Ho cercato di schivare il colpo. Avevo dieci anni.»
Trattengo il respiro.
Sposta il mio indice sull'altro braccio.
«Questa l'ho guadagnata pochi mesi dopo perché mi ero ribellato, di nuovo, al direttore dell'istituto.»
Il battito del mio cuore accelera e lo stomaco si contorce.
Era solo un bambino.
Si siede sul letto e passa la mia mano sulla schiena sopra al tatuaggio dell'angelo accasciato.
«Queste sono la punizione per aver difeso Kasandra, Damian e Kris», spiega a bassa voce.
Mi metto seduta e scivolo dietro di lui abbracciandolo stretto.
«Per quanto tempo hai dovuto sopportare quelle punizioni?»
Sospira stringendo le mie mani tra le sue.
«Sei anni, finché non sono riuscito ad andarmene da quel posto.»
Mi sento debole, ma non è una debolezza fisica, è qualcosa di più. Ho bramato la vendetta per così tanto tempo, ho colpevolizzato Carlos senza neanche conoscerlo, l'ho condannato senza appello.
Strofino il viso sulla sua schiena e poi lascio una scia di baci sul tatuaggio, intorno alle ali dell'angelo. Quando raggiungo le costole lui s'irrigidisce, è li che sono concentrati i segni più profondi.
Il mio cuore si lacera per ogni cicatrice che bacio, per la crudeltà che è stata riservata a un bambino. Perché - in questo momento - lui è quel bambino maltrattato, torturato e frustato a sangue.
«Sei sempre stata così dolce, non è vero?» Chiede voltandosi verso di me.
Dolce? Forse un tempo, ma credevo di aver perso tutto della vecchia me. Pensavo che non ci fosse più spazio per i buoni sentimenti.
Appoggio la fronte sulla sua schiena e sospiro.
Cosa mi passa per la testa?
Perché sono qui con lui?
Carlos allontana le mie mani e si volta verso di me, ora siamo l'uno di fronte all'altra, completamente nudi, fuori e dentro.
«Ho una voglia matta di conoscere Jennifer» dice, mentre mi tira a sé.
«Per una ragione inspiegabile anch'io ho voglia di conoscere Carlos», rispondo con il fiato corto.
Sorride, ed è un sorriso bellissimo, vero.
Mi mordo il labbro inferiore nervosamente, mentre le sue mani mi sfiorano le cosce.
«Chiudiamo le confidenze per stanotte. Ora ritorniamo a dormire e domani mattina, con calma, troveremo il modo per conoscerci meglio», dice trascinandomi con poca grazia.
Mi sdraio sul letto dandogli la schiena, lui si posiziona dietro di me, una mano appoggiata sui miei fianchi e l'altra sotto il mio cuscino.
Stiamo dormendo insieme.
Noi stiamo solo dormendo.
La situazione è surreale.
«Riposa, angelo», sussurra baciandomi sulla testa.
Non posso farlo in questo stato. Sono confusa, spaesata, e non so cosa fare.
Ogni tanto guardo l'orologio sul comodino, ora segna le quattro. Il tempo sembra essersi fermato.
Devo andarmene, ma dove?
Potrei ricominciare tutto da capo. Riprendere i contatti con i miei genitori, ritornare a insegnare.
Posso davvero?
Non credo, non dopo tutto quello che è successo. Ho fatto cose di cui mi vergogno, eppure allora non m'importava, ero convinta che sarei morta e avrei pagato per i miei errori.
Invece sono ancora viva, ma senza uno scopo.
Le ore passano, la lancetta segna le sette. È arrivato il momento di tirare fuori il coraggio e prendere in mano la mia vita.
Mi libero dal suo abbraccio con tutta la delicatezza possibile, pregando che non si svegli. Il suo respiro è profondo, sembra nel mondo dei sogni.
Infilo la sua camicia, me la stringo addosso ed esco dalla camera in punta di piedi evitando di chiudere la porta per non fare rumore.
Scendo le scale e corro in camera, dove mi vesto in tempo da record.
Ecco il casco, le chiavi della moto dovrebbero essere inserite.
Una volta arrivata nell'atrio saluto gli uomini della sicurezza cercando di comportarmi come se niente fosse.
Funziona!
Mentre salgo sulla mia amata Kawasaki uno dei due dà ordine di aprire il cancello.
Il motore romba, ma qualcuno urla il mio nome, il mio vero nome.
Carlos è sulla soglia della porta, incazzato e completamente nudo.
«Dove credi di andare?» Tuona rimanendo dov'è.
Noto come uno degli uomini accanto a lui si gratti il mento a disagio.
Si sarà accorto di essere nudo?
Ispiro a fondo mentre tengo il casco tra le mani.
«Vado via», replico sicura.
Mi guarda truce, ma non si muove.
«Non puoi. Ricordi cosa ti ho detto?» Chiede minaccioso.
«Allora dovrai uccidermi perché non ho intenzione di rimanere», lo sfido.
Infilo il casco, la visiera ancora sollevata, e faccio un paio di passi nella sua direzione. «Addio.»
Lui sorride trasudando soddisfazione.
«Il cancello si è appena chiuso. Come pensi di uscire?»
Brutto stronzo.
«Aprilo», gli ordino bruscamente.
Altezzoso scende la scalinata e, dopo avermi raggiunta, posa la mano sulla mia.
«Non vai da nessuna parte. Sei in debito per avermi preso in giro, per aver tentato di uccidermi e per aver passato tre anni a complottare contro di me.»
Impreco a bassa voce abbassando lo sguardo. Mi serve una soluzione.
Stringo le dita intorno al manubrio e arriva l'illuminazione. Ma certo, perché non ci ho pensato prima?
«Carlos», lo blandisco dolcemente guardandolo negli occhi.
«Si?», chiede accigliato, come se avesse capito che c'è qualcosa sotto.
«Facciamo un gioco?»
«Sentiamo.» Dice con lo sguardo serio incrociando le braccia al petto.
«Da qui al porto sono 27 chilometri. Se arriverò prima di te mi lascerai andare e ti dimenticherai di me per sempre, ma se arriverai prima tu rimarrò con te.»
Scoppia a ridere, è una risata sonora e di gusto, non sta fingendo.
Corruccio la fronte sorpresa chiedendomi cosa lo diverta tanto.
«Sto parlando sul serio.» Lo rimbrotto togliendo il casco bruscamente.
Lui smette di ridere, mi sfiora il mento e avvicina il viso al mio. «Oh angelo, non sai in che guai ti sei cacciata.» Mi fissa per un secondo, poi si volta verso i suoi uomini: «Tenetela d'occhio, io arrivo subito.» Ordina continuando a ridere.
La sua risata è contagiosa e non riesco a trattenermi. «Pensavo che saresti venuto nudo.» Gli urlo mentre sta per sparire all'interno della villa.
«Che spiritosa», ribatte senza voltarsi.
Scuoto la testa notando come i suoi uomini abbassino lo sguardo quando passa accanto a loro.
Non c'è nulla da fare, lui fa sempre quello che vuole senza il minimo pudore.
Passano dieci minuti e poi ricompare sulla soglia indossando una tuta da moto grigio scuro con delle strisce laterali bianche. Regge il casco sotto al braccio e ha l'aria da sbruffone. Mentre scende le scale fischiettando io infilo il casco.
Il cancello inizia ad aprirsi: è il momento.
«Addio Carlos!» Urlo sgommando verso il viale.
«Che stronza», tuona salendo velocemente in sella.
Accelero e una volta fuori mi volto per vedere a che punto sia. Sta partendo e io devo mettere distanza tra noi.
Sfreccio con lo sguardo fisso sulla strada.
Da quanto non mi divertivo così?
Il vento si scontra con me e l'adrenalina sale.
Questa è libertà.
Sorpasso ogni veicolo che incontro, zigzagando nel il traffico. Qualcuno suona il clacson, ma non posso rallentare, lui mi raggiungerebbe.
In lontananza vedo il semaforo, il panico si fa avanti.
Dannazione, non ci voleva.
Mi fermo in attesa del verde e, tamburellando nervosamente le dita sulle manopole, canticchio per spezzare la tensione. Il rombo di un altro motore, troppo vicino, attira la mia attenzione.
Accidenti, è lui.
Solleva la visiera e mi fa cenno di fare lo stesso.
Lo assecondo, ma non posso fare a meno di guardarlo accigliata.
Lui sembra spassarsela un mondo.
«La volta scorsa ti ho lasciato vincere, oggi non lo farò», dice.
Sta cercando biecamente di intimorirmi? Illuso. Il suo problema è che non riesce ad accettare la sconfitta. Io corro meglio di lui, è un dato di fatto.
«Aggiungerei un altro premio se per te va bene», dico con indifferenza.
«Sentiamo.»
Sposta lo sguardo sul semaforo che è ancora rosso.
«Se vinco, oltre a dimenticarti di me, mi darai anche la tua moto.»
Si volta verso di me sorpreso, poi assume quell'espressione fredda che ormai so essere solo una maschera.
«Se vinco io invece», fa una pausa con gli occhi fissi nei miei, «tu sei fottuta.»
Abbassa la visiera e accelera sfrecciando in avanti.
È verde. Accidenti a lui!
Faccio altrettanto e imprecando e gli corro dietro.
Eh no Gardosa, non ti permetterò di trascinarmi nella tua vita per un tempo imprecisato.
Non voglio avere niente a che fare con lui e con tutto quello che gli gravita intorno.
L'adrenalina scorre nelle mie vene mentre tento di affiancarlo, ma ogni volta che provo a guadagnare terreno lui accelera distaccandomi.
Ricomincio a canticchiare, accorgendomi che non è il solito motivetto inventato, ma Despacito.
Dio Carlos, esci dalla mia testa!
Accelero portandomi alla massima velocità e lo raggiungo. Lo guardo di sfuggita, lui non si volta, restando concentrato sul percorso.
Curva a destra, all'unisono incliniamo corpo e moto.
La carreggiata è libera, ma presto entreremo in città e allora sarà più dura.
Entrambi divoriamo la strada con un unico obbiettivo: vincere.
Continuo a canticchiare, le parole si susseguono nella mia mente, il cuore batte a ritmo.
Sai che con me il tuo cuore fa Bum-Bum!
Due auto bloccano entrambe le corsie, ma io ho un vantaggio, sono più spericolata di lui. Mi infilo nel piccolo spiraglio al centro e riesco a finalmente a superare el diablo. Lui suona insistentemente il clacson e io sorrido vittoriosa mettendo distanza tra noi.
Dopo aver svoltato nella strada principale che conduce al porto respiro a fondo.
Ci sono quasi, ancora un ultimo sforzo.
Mi volto ma non lo vedo.
Dov'è finito?
Forse ha rinunciato.
Forse ha deciso di lasciarmi andare.
Anziché sentirmi sollevata inizio ad assaporare il retrogusto amaro della delusione.
Ma perché? Io voglio liberarmi di lui.
Scrollo le spalle e continuo a guidare, stavolta con più calma. In fondo, nessuno mi insegue più.
Imbocco l'ultima curva e vedo il cartello con la scritta Porto, ma arrivata nel piazzale mi si gela il sangue.
Carlos è in piedi, addossato alla moto con il casco in mano.
Come diavolo è riuscito ad arrivare per primo?
Mi fermo davanti a lui, resistendo alla tentazione di investirlo. Sono furiosa.
Lui appoggia il piede sulla ruota anteriore e mi fa cenno di scendere.
«Come hai fatto?» Gli chiedo attonita dopo essermi liberata del casco.
Lui, sogghignando, infila le mani in tasca e mi osserva divertito.
«Uno dei vantaggi di essere nati a l'Avana è conoscere ogni angolo di questa città.»
Ma certo, ha preso una scorciatoia.
Impreco a bassa voce, ma a lui non sfugge e si acciglia.
«Come prego?» Chiede porgendomi l'orecchio.
Irritante. Stronzo. Presuntuoso.
«Non sei corretto, avresti dovuto avvisarmi», mormoro scendendo dalla moto.
«Ho cercato di farlo, ma qualcuno ha deciso che fosse meglio rischiare la vita sfrecciando tra due macchine pur di sorpassarmi.»
Ecco perché aveva rallentato, era in procinto di svoltare. E io che pensavo avesse paura di fare una manovra rischiosa.
Stupida. Stupida. Stupida.
«E ora?» Gli domando tesa.
Scappa, ecco cosa dovresti fare.
Si avvicina, mi accarezza il viso: «Ora, torniamo alla villa, facciamo colazione e poi parliamo mentre andiamo al Villaggio Esperanza. I bambini vogliono rivederti, dicono che sei bella e simpatica.»
Fa una pausa e poi porta le labbra vicino al mio orecchio. «Magari inizierai col spiegarmi perché tu sia simpatica con tutti mentre col sottoscritto fai sempre la stronza, fingendo che non ti importi nulla di me.»
Le mie gambe tremano, mi viene la pelle d'oca solo al pensiero di ciò che solo lui sia capace di farmi provare.
Potrei andarmene, un modo lo troverei, invece sto assecondando le sue richieste. Ritorno alla mia Kawasaki senza fiatare, ma lui mi richiama.
«Angelo.»
«Che c'è?» Rispondo brusca.
«Tu vieni con me, passerà qualcuno a prendere la tua moto.» Dice battendo la mano sulla sua sella.
«Non se ne parla», insisto sostenendo il suo sguardo contrariato.
«Sali senza discutere, ahora», tuona severo.
Non ho intenzione di cedere. Se devo vivere con el diablo lo farò alle mie condizioni.
Incrocio le braccia sul petto e il suo sguardo mi divora.
«Vediamo di chiarire una cosa: io non prendo ordini da te. Finora ho fatto quello che hai voluto soltanto per... Insomma, il piano, ma se - nonostante tutto - sei così pazzo da volermi al tuo fianco è bene che tu sappia che non ho mai preso ordini da qualcuno e non intendo iniziare proprio ora.» Butto fuori d'un fiato.
Lui non si muove e continua a fissarmi.
«Ti consiglio di lasciarmi andare Carlos, perché potrei rendere la tua vita poco piacevole e per quanto riguarda ciò di cui abbiamo parlato, dovresti aver capito ormai che so mantenere un segreto.»
«Chiudi quella cazzo di bocca e fai quello che ti dico», dice un attimo prima di baciarmi.
Trattiene il mio viso tra le mani mentre le sue labbra assaggiano le mie.
«Carlos...»
«Zitta, lasciami fare.»
Mi bacia con passione togliendomi il fiato.
Finalmente capisco.
Mi ha veramente, completamente, fottuta.
Nuovo aggiornamento. Alzi la mano chi ama Carlos🤣💕💕💕
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