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18


CARLOS

Passo la mano sul viso sospirando. Che cazzo dovrei fare ora?

L'ho fatta entrare nella mia vita, le ho mostrato il mio mondo e ora non posso tornare indietro.

Mi sento tradito, ma anche confuso.

Quella donna ha qualcosa e sembra che non riesco a farne ameno. È ermetica, cerca sempre di controllarsi, ma i suoi bellissimi occhi verdi mi parlano, quando li guardo mi rivedo.

Quando quello sguardo mi vede veramente io mi perdo, mi sento completo.

Cazzo, mi ha fottuto il cervello.

Scaravento il bicchiere di whisky contro il muro e urlo.

«Mierda.»

Devo prendere una decisone. Torturarla o essere civile.

C'è qualcosa che mi blocca, è come se mancasse un pezzo del puzzle in questa storia.

Perché io? Perché è disposta a tutto? Quando è entrata la prima volta a Villa Falco sapevo che non era quella che diceva di essere, ma ho voluto rischiare e capire come mai. Ho mentito persino a Kasandra e gli altri dicendo che era tutto a posto, ma non è così.

Cosa ha spinto quella donna a entrare nella mia vita?

Ho bisogno di risposte e lei deve darmele, le pretendo.

Devo metterla alle strette, proverò con il modo civile e vediamo che succede.

Voglio capire il perché prima di decidere cosa fare.

Il mio telefono squilla ed è un messaggio di Oscar, uno dei miei uomini.

È arrivata, si trova al bar.

Serro la mascella ispirando a fondo.

Calma. Controllo. Non dare di matto.

Il mantra sembra funzionare, speriamo di resistere abbastanza a lungo.

Ho passato la notte pensando a mille modi per torturarla, la rabbia fa brutti scherzi. Io sono un uomo migliore, non sono più arrabbiato con il mondo, ora ho un mio mondo.

Anche se lei sta cercando di mandare tutto a puttane, ma non le permetterò una cosa del genere, eh no cazzo.

Deve ancora nascere qualcuno in grado di fottermi e non sarà lei.

VALENTINE

Da quando sono a conoscenza della nuova consegna non riesco a chiudere occhio. Ho cercato in tutti i modi di contattare Jack, ma se non posso uscire da villa Falco mi è impossibile. Così, ho deciso di rischiare e usare il telefono della villa che si trova nella mia camera.

«Jack.»

«Come mai stai chiamando?», chiede allarmato dall'altra parte della cornetta.

«Ci sarà una nuova consegna, stavolta è qualcosa di molto grosso. Useranno un camion e io sarò l'apri pista», dico guardandomi intorno.

Mi avvicino alla finestra e guardo il cortile, Carlos non è ancora tornato.

«Quando?», mi chiede lui.

«Tra sei giorni», rispondo.

«Sono già a Cuba, mi organizzo con i miei uomini. Sai il luogo della consegna?», replica.

«Aguas Claras, ma non so l'indirizzo.»

Lui impreca, lo sento poi sospirare.

«Jack. Puoi fare tutto quello che vuoi, ma ho due richieste a cui non puoi dire di no.»

«Quali?» domanda.

«Il villaggio Esperanza, ti prego fai in modo che non succeda niente ai bambini.»

«Ok. E l'altra richiesta?».

Stringo la tenda tra le mani con forza.

«Nessuno si deve mettere tra me e Carlos Gardosa.»

«Non ti seguo», commenta confuso.

«Jack, credi che abbia sopportato tutto questo tempo per poi lasciarlo vivo?».

Approfitto del suo silenzio per continuare. «Lui muore, io muoio, raggiungo la mia famiglia e l'impero di Carlos viene distrutto per sempre. Devi solo promettermi che troverai una sistemazione per i bambini.»

«Non puoi essere seria. Vuoi morire?», urla ad alta voce.

«Non aspetto altro da quando sono a conoscenza di Gardosa. Io aspetto la mia morte da tre anni e non sai che lunga e lenta agonia è stata.»

«Cristo, tu non puoi farlo. Richard non avrebbe voluto questo», protesta in tono più basso.

Sento delle voci in sottofondo, deve essere in un luogo affollato.

«Richard non voleva morire, Davis non lo voleva. Qualcun altro ha deciso per noi e quel altro deve morire per mano mia.»

Lui non può comprendere cosa vuol dire vedere la tua vita sparire nel nulla non per scelta tua. Mio figlio non aveva nessuna colpa, non aveva ancora avuto il tempo di vedere il mondo eppure si è sentito in diritto di interrompere la sua vita.

«Va bene, ti prometto che i bambini saranno al sicuro e lui lo considero già morto. Interverremo alla consegna, decidi tu quando mettere la parola fine con Gardosa», dice infine.

«Ok, addio Jack.»

Chiudo la chiamata e picchietto il telefono sul mento con lo sguardo fisso sul cancello. Si apre e la macchina di Carlos entra nel vialetto.

Quando è il momento giusto per farla finita? Devo pensarci in fretta e organizzare una trappola senza via di scampo.

Rimetto il telefono sul comodino della mia camera. Esco in fretta con l'intenzione di andare al bar e far finta di niente. Attraverso l'atrio e svolto a sinistra verso il bar che a quest'ora è completamente vuoto. Anche Adrian è assente. Oltrepasso il bancone e scelgo una delle bibite analcoliche nel mini frigo.

Sento la porta aprirsi, la voce di Carlos mentre avvisa uno dei suoi uomini di controllare bene il carico e assicurarsi che sia tutto a posto.

«Carlos», lo chiamo in modo che sappia dove sono.

Il suo corpo imponente si presenta davanti all'entrata della sala e i suoi occhi si incatenano ai miei. Lo stomaco si chiude in un nodo impossibile da sciogliere.

«Come stai?», chiede.

«Benissimo.»

Lo osservo mentre si avvicina. La tensione è così intensa che si può quasi toccare.

Appoggia le mani sul bancone di fronte a me e mi guarda con espressione dura. «Ho bisogno di parlarti. Andiamo nel mio studio.»

Il terrore scorre nelle mie vene, il battito accelera.

Oltrepasso il bancone portandomi accanto a lui e lo seguo nel suo studio senza fiatare.

Varco la soglia e lui mi posa la mano sulla base della schiena e mi spinge all'interno dello studio.

«Siediti», ordina bruscamente.

Cosa sta succedendo?

In allerta, mi siedo e lui si appoggia alla scrivania e recupera un fascicolo poggiato sul piano. Lo riconosco, è il mio fascicolo.

«Ti avevo detto di dirmi la verità prima che la scoprissi da solo», dice duramente.

Lo stomaco si contorce mentre apre il fascicolo, deglutisco quando estrae un foglio e poi lo gira verso di me.

È una foto, di me con gli alunni della mia classe.

Chiudo gli occhi, faccio un lento e lungo sospiro.

Fottuta.

Quando riapro gli occhi lui ha lasciato tutto sulla scrivania e ora ha le mani appoggiate sui fianchi.

Il cuore si ferma quando lo fisso negli occhi.

Sono morta.

«Come mai un'insegnante di lingue ha improvvisamente rivoluzionato la sua vita, trasformandosi in quella che sei oggi?», chiede mentre i muscoli del suo viso si contraggono.

Vedo la rabbia che brucia nei suoi occhi, ma io mi sento piena di coraggio e decido che è arrivato il momento di farla finita.

«Come ci sei riuscito?», chiedo, anche se conosco già la risposta.

Le conoscenze di Carlos sono infinite.

«Sei stata tu a facilitare il lavoro. Ho mandato qualcuno per indagare su Valentine Harper, ma poi la tua sosta improvvisa a Miami è stata utile per scoprire chi sei. Vero Jennifer Blain?», chiede minaccioso sporgendosi in avanti. Posa le mani sui braccioli della poltrona, ai lati del mio corpo.

«Ora dimmi che cazzo ci fai qui e cosa vuoi da me», tuona facendomi trasalire.

Non credo che arrivati a questo punto posso continuare a fingere, non crederebbe a nessuna delle opzioni che ho in mente.

Poso la mano sul suo petto e lo spingo mentre mi alzo. Si lascia spingere e mi osserva curioso mentre faccio il giro della sua scrivania.

La sua pistola è sotto il cassetto centrale se non ricordo male. L'avevo vista l'unica volta che sono riuscita a entrare qui dentro senza dare nell'occhio. Mi siedo sulla sua poltrona mentre il battito accelera all'impazzata.

La tortura sta per finire.

«Ti ricordi cosa facevi tre anni fa il 21 Luglio?», gli chiedo drizzando la schiena. Ho la bocca asciutta e la stretta allo stomaco continua ad aumentare.

«Cosa facevo quel giorno? Tu sembri saperlo, illuminami», ribatte rimanendo in piedi oltre la scrivania.

Mi chino in avanti e cercando di non farmi vedere faccio scivolare la mano sotto la scrivania.

«Distruggevi la mia vita», gli dico, mentre la mano raggiunge la pistola. Trovata, è ancora qui. La sfilo lentamente e la tengo sulle gambe.

Lui si acciglia confuso. «La tua vita? Io?».

«Io non sapevo chi eri eppure tu ti sei sentito in dovere di portarmi via tutto.»

Continua a non capire, posa le mani sulla scrivania e dice irritato: «Non amo gli indovinelli, parla chiaro.»

Impugno bene la pistola e tolgo la sicura molto lentamente, in modo che lui non sospetti niente.

«Ami i bambini eppure non ci hai pensato molto quando hai ucciso mio figlio, Carlos Gardosa», dico con disprezzo.

Uccidilo.

Sgrana gli occhi e come se si fosse bruciato fa un passo indietro. «Io non uccido, figuriamoci i bambini», ribatte.

Sembra sconvolto, ma io so che mente, conosco la verità.

«Sarei dovuta morire anch'io insieme a mio marito e mio figlio, ma ho pensato bene di uscire di casa per comprare il vino e al mio rientro avevo perso tutto», urlo a squarcia gola.

«Ma di che cazzo stai parlando, io non ho ucciso nessuno», protesta urlando anche lui.

«Non mentire stronzo. Mio marito stava indagando sul tuo traffico, era un procuratore eccellente e sapevi che ti avrebbe incastrato.»

Mi brucia la gola, le mani tremano.

Lui fa per avvicinarsi e allora estraggo la pistola puntandola verso di lui.

«Fermo dove sei.»

Si ferma, inclina la testa di lato e mi osserva.

«Perché sei qui, Jennifer?».

«Aspetto questo giorno da tre anni. Mi sono allenata, ho vissuto come i delinquenti, ho imparato ad accettare tutto questo schifo con un unico scopo...», piego la mano che tiene la pistola, «ucciderti.»

Lui non sembra spaventato, sostiene il mio sguardo.

«Hai passato tre anni a elaborare un piano per uccidermi», dice grattandosi il mento ripetutamente. «Sorprendente.»

Continua a fissarmi e poi si morde il labbro inferiore. «Peccato che non sono io ad aver ucciso la tua famiglia, non farei mai una cosa del genere.»

Io rido amaramente.

«Chi è quel colpevole che dice la verità, specialmente con una pistola puntata contro.»

Lui si muove, va verso la poltrona e poi si siede mettendosi comodo. «Posso essere colpevole di molte cose che ho commesso nel corso della mia vita, ma non questo», precisa deciso.

«Siediti Jennifer, parliamone», continua indicando la sedia vicino a me.

Come riesce ad avere il controllo anche in questa situazione? Mi aspettavo delle suppliche, qualcosa, ma non questo.

«Sei tu che hai una pistola puntata su di me, puoi anche perdere altri cinque minuti.»

Ha ragione, ma non ne capisco il senso. Decido comunque di assecondarlo, mi siedo mantenendo la canna su di lui.

«Parlami di tuo marito e tuo figlio», dice spostando lo sguardo sulle mie labbra corrucciate.

«Sai già tutto, non fare finta di niente», dibatto spazientita.

Sto perdendo tempo.

«Se non ti dispiace vorrei sentire la tua storia», insiste serrando la mascella. Picchietta le dita sui braccioli e la cosa m'innervosisce molto.

«Richard Williams, procuratore distrettuale», dico mentre la stretta allo stomaco diventa infernale.

Unisce le mani sotto il mento e mi osserva.

«So chi è.»

L'ha ammesso, questo è già qualcosa.

«Certo che lo sai, l'hai ucciso tu», rispondo sporgendomi in avanti.

La rabbia sale, sento la testa pesante e le fitte al petto cominciano a farsi sentire.

«Non ho ucciso tuo marito e tuo figlio», ribatte serio. «Conosco Richard perché era una delle tante persone che collaborava con me, lui e il suo socio.»

Rimango spiazzata, ma sempre in allerta.

Sta mentendo.

Mi viene la pelle d'oca, il cuore inizia a battere forte.

«Stai mentendo, lui era un uomo giusto, con dei valori. Non avrebbe mai avuto a che fare con uno come te.»

Si acciglia e poi inclina la testa di lato.

«Ti sorprenderebbe sapere quanti uomini che in apparenza sembrano perfetti, in realtà sono marci.»

Non è vero, sta cercando di insinuare dei dubbi e vuole confondermi.

«Mio marito non l'avrebbe mai fatto, sei un bugiardo», urlo.

Digrigna i denti e poi si passa la mano sul collo sollevando il viso verso il soffitto.

«Se non mi credi basta che apri il mobile dietro di te, seconda anta, terzo ripiano in basso, cartella arancione con su scritto collaboratori.»

Sta mentendo.

«Vuoi solo distrarmi, non ci provare.»

Riporta lo sguardo su di me e poi si sporge in avanti.

«Non ho bisogno di distrarti, ti sto dicendo la verità. Devi solo vederlo con i tuoi occhi per rendertene conto.»

Il suo tono è freddo e controllato, da mettere i brividi. Seguono secondi di silenzio.

Perché non mi alzo e prendo quella cartella? Di cosa ho paura? Conoscevo Richard, non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Lui era diverso.

Eppure, dentro di me una voce mi continua a ripetere di vedere cosa c'è scritto.

Con la pistola puntata nella sua direzione allungo la mano verso il mobile, una volta aperta l'anta la cartellina arancione spicca per il suo colore acceso, la prendo per poi posarla sulla scrivania. La apro ma continuo a tenere gli occhi puntati su Carlos.

«Non puoi mai conoscere le persone fino in fondo, ognuno di noi ha un lato oscuro», dice.

Prendo il primo foglio lo porto di alto al mio viso in modo da non perdere d'occhio lui mentre leggo.

Io cesso di esistere nel momento esatto in cui leggo i dati anagrafici di mio marito e una lista infinita di compensi per i favori fatti a Carlos Gardosa.

Non è vero, tutto questo è solo un'allucinazione. Richard non l'avrebbe mai fatto.

Sposto lo sguardo continuamente da Carlos al foglio incredula. E poi una frase spicca in neretto.

Incontri con Richard Williams.

Loro si sono incontrati, hanno parlato.

Ci sono le date, gli orari e il luogo è sempre lo stesso.

Villa Falco.

13.02.12 ore 10 am

I ricordi sono vivi.

"Amore devo partire per lavoro, starò via solo due giorni", mi disse.

Villa Falco

23.08.12 ore 12 am

Non posso dimenticarmi quel giorno.

«Richard siamo in vacanza, niente lavoro», gli dissi.

«Lo so, ma non posso rimandare, devo occuparmene personalmente», aveva risposto e poi era andato via per tre giorni.

Villa Falco

09.03.13 ore 10 am

Uno dei suoi viaggi improvvisi. Diceva che si stava occupando di un caso importante. Tutto avrei immaginato, ma non che fosse uno di loro.

Era nervoso e in quel periodo discutevamo spesso. Continuava a ripetere che si stava occupando di un caso particolare che richiedeva molto impegno ed era per questo che doveva fare personalmente delle ricerche anche se non era compito suo.

Villa Falco

30.11.13 ore 5 pm

L'ultimo viaggio. Poi era ritornato l'uomo presente che conoscevo.

Aveva detto che era l'ultimo viaggio e poi il caso si sarebbe risolto. Era stato via tre giorni e quando era tornato la nostra vita tornò alla normalità fino al 21 Luglio dell'anno dopo.

Sposto lo sguardo su Carlos, ho la vista offuscata. Non ci posso credere, sto piangendo.

Asciugo velocemente le lacrime e riprendo il controllo, almeno apparentemente.

Dentro di me urlo carica di rabbia, il mio corpo brucia, la gola è secca e la mia voce esce come un sussurro. «Per quale motivo hai deciso di ucciderlo? Non voleva più collaborare con te?».

Esasperato sbatte le mani sulla scrivania e io mi alzo di scatto tenendo la pistola ben ferma verso di lui.

«Non ho ucciso tuo marito. Mettitelo in quella cazzo di testa. Io collaboro, non costringo nessuno. Da un giorno all'altro non ho più avuto sue notizie e per me il discorso era chiuso. Lui e il suo socio erano il mio lasciapassare per Miami, li pagavo profumatamente, fine della storia.»

«Chi era il socio?», chiedo spostandomi di lato e mi avvicino cauta.

«Jack Araiza», risponde sospirando.

Il mondo crolla. Io crollo, le gambe cedono e mi ritrovo in ginocchio. La pistola è ancora nella mia mano, ma non è più puntata verso di lui.

«Le cicatrici del corpo sono nulla in confronto a quelle dell'anima, vero Jennifer?».

Ogni convinzione si sgretola, cessa di esistere.

Non conoscevo mio marito, non conosco Jack. Mi ritrovo in una situazione che non è quella che sembra. Jack sapeva, Jack mi ha detto di Carlos, Jack mi ha condotta fin qui. Jack vuole ciò che è di Gardosa.

Urlo fuori di me. Ho la testa confusa, non riesco più a capire qual è la verità.

«Il mio bambino», dico singhiozzando. «Lui non aveva nessuna colpa eppure ha pagato per gli errori del padre.»

Due braccia mi tirano su, rimettendomi in piedi.

«Chi ti ha detto che sono stato io», ordina severo.

Lo guardo negli occhi e non so più chi sono.

«Jack, lui mi ha condotto fino a te. Volevo vedere il colpevole in faccia e ucciderlo, gli ho chiesto di costruirmi una falsa identità, di insegnarmi ad essere una di voi.»

Mi costringe a sedermi sulla poltrona e solo allora mi sveglio dallo stato di shock. Gli punto la pistola sul petto e dico: «Tu rimani ancora il colpevole.»

Lui ruggisce e allarga le braccia.

«Sparami cazzo. Falla finita, mettiti l'anima in pace e uccidimi se ti farà stare meglio, ma non ho ucciso la tua famiglia.»

Afferra la canna della pistola e la preme sul petto.

«Tu muori, io muoio, è questo il mio piano», gli dico sostenendo il suo sguardo.

«Distruggimi, portami via con te», ribatte deciso sconvolgendomi ancora di più.

Come posso ucciderlo dopo quello che ho scoperto? Non sono più tanto sicura che la mia concezione della verità sia giusta. Sono stata circondata da menzogne e non so più dove cercare la verità, ma cosa più importante, saperla riconoscere.

«Decidi, Jennifer. Cosa vuoi fare veramente?».

«Voglio la verità», strillo in tutta risposta.

«Ti darò la verità, ma alle mie condizioni», dice continuando a tenere la pistola premuta sul suo petto.

La tensione è alle stelle, il mio corpo è bloccato, non reagisce.

Lui ne approfitta, mi fa voltare di scatto e poi mi blocca con un braccio in vita.

Scalcio, urlo, mi dimeno, dando gomitate e poi penso che ho una pistola in mano. La uso mirando alla sua gamba e sparo. Il colpo rimbomba, lui urla e qualcosa mi colpisce sul collo facendomi perdere i sensi.

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