17
La conversazione con Kasandra mi ha destabilizzato e la voglia di saperne di più cresce. Ho passato due settimane a riflettere e nella mia mente si ripetono continuamente le parole della donna.
Un'unica volta l'ho visto per quello che ha dentro, ed è qualcosa di malvagio, terrificante.
Cosa ha visto? Quando?
Ora che mi sono rimessa del tutto, anche se i lividi sono ancora evidenti e le cicatrici non del tutto guarite, penso che ritornerò nella mia camera. La cosa strana è che lui non si fa vedere molto spesso, e quando viene, si limita a saluti di cortesia ed esce dalla camera.
Salto sul posto quando il silenzio viene invaso dallo squillo di un telefono. Mi guardo intorno e poi noto il cordless appoggiato sul comodino. Avvicino la mano, ma poi la ritraggo. Posso rispondere? Sono nella sua camera, potrebbe essere una chiamata per lui. Il telefono continua a squillare poi s'interrompe.
Sospiro quando riprende nuovamente a squillare.
Al diavolo, rispondo.
«Pronto?».
«Angelo», risponde Carlos.
Perché mi chiama?
«Carlos?».
«Come ti senti?».
«Sto bene.»
Sento delle voci in sottofondo, poi una porta che si chiude.
«Pranziamo insieme», dice.
Io sbatto le palpebre incredula e poi chiedo: «Per che ora devo scendere?».
«Non devi scendere.»
«Come scusa?».
Lui sospira, sembra esasperato.
«Pranziamo da me. Hai preferenze?».
Vuole pranzare con me? Ma che diamine sta succedendo?
Lo stomaco si contorce.
«Pranziamo qui, da te?», gli chiedo per avere conferma.
«Cosa non è chiaro in quello che dico? Dimmi cosa vuoi mangiare», risponde bruscamente.
«Ok, ho capito. Va bene qualsiasi cosa.»
«Sposta i contenitori oltre il bancone», dice a qualcuno che è vicino a lui.
«Dove sei?», mi permetto di chiedere.
«Non sono affari tuoi.»
La mia domanda era fuori luogo, ma non ho resistito, a volte la curiosità ha la meglio.
Silenzio. È ancora in linea, ma non parla così decido di chiudere la chiamata. Ma il telefono squilla nuovamente.
«Si?».
«Mi hai chiuso il telefono in faccia?», chiede in tono minaccioso.
Ah, non aveva finito di parlare.
«Io credevo che ...», cerco di dire ma la sua voce mi interrompe bruscamente. «Tu non devi, aspetti e solo quando dico ciao o chiudo io la conversazione è finita.»
Mi alzo in piedi stiracchiandomi appena per paura dei dolori. Sento il suo respiro nell'orecchio, sta camminando, riesco a sentire i suoi passi pesanti fino a qui. Apro la porta della camera e guardo il salone. È una buona occasione per farsi gli affari suoi, ma devo capire se lui è alla villa o meno.
«Carlos, c'è altro che devi dirmi?».
«Hai fretta?», ribatte scontroso.
Guardo la grande parete invasa di libri mentre mi avvicino e ne sfioro qualcuno. Letteratura, filosofia. Scorro con le dita fino a un libro in particolare. Grandi Speranze di Charles Dickens.
Prendo il libro in mano guardandolo attentamente. Conosco molto bene la storia, avevo letto questo libro quando andavo all'università.
«Cosa stai facendo angelo?», chiede lui dall'altra parte della cornetta.
«Niente, sto aspettando te», mento.
Apro il libro e ne sfoglio le pagine, ma poi mi blocco notando una frase sottolineata a matita e leggo...
Non fare domande, e non ti verranno dette bugie.
Non posso fare a meno di pensare alle sue parole. Non mentirmi Valentine, perché io capisco quando non sei sincera.
«Ragazzi finite di sistemare gli ultimi arrivi e poi potete andare», dice Carlos rivolgendosi a qualcuno. Continuo a sentire le voci in sottofondo, ma non presto attenzione. Sono concentrata sul libro e continuo a sfogliare fino ad arrivare a un'altra frase sottolineata.
Nella vita accade che le nostre peggiori bassezze e viltà le commettiamo di solito a causa di coloro che più disprezziamo.
Il battito accelera, perché quelle parole sono dannatamente vere, io ne sono l'esempio.
Sfoglio ancora chiedendomi se le ha sottolineate Carlos quelle frasi.
«Cosa stai facendo?», chiede la voce profonda di Carlos. Ma stavolta non è dall'altra parte del telefono, ora è alle mie spalle. Tremo nel panico e chiudo il libro di colpo.
Mi volto verso di lui cercando di mantenere la calma e resto in attesa che dica qualcosa.
Mi raggiunge a grandi falcate e bruscamente prende il libro dalla mia mano.
«Ho forse detto vai in giro a ficcanasare?», chiede minaccioso.
Non parlo, continuo a guardarlo e la cosa sembra irritarlo molto.
«Hai perso la lingua?». Si avvicina ancora, ma non mi tocca.
«Scusa, non dovevo.»
Mi scruta attentamente e poi sposta lo sguardo sulle mie labbra.
«Con tutti i libri che potevi scegliere, perché hai preso proprio questo?».
«Non lo so», rispondo sincera.
«Non toccare mai più le mie cose. Sono stato chiaro?».
Annuisco e faccio un passo indietro. È contrariato e così decido di parlare.
«È un'edizione rara?».
Lui continua a fissarmi. Poi si avvicina, io indietreggio fino a sbattere la schiena sulla libreria.
Il suo corpo sfiora il mio mentre ripone il libro al suo posto, mantenendo lo sguardo su di me.
«Più che raro è qualcosa a cui tengo molto», risponde posando le mani ai lati della mia testa. Sono in trappola.
«Non riesco a capire cosa spinge una donna come te fino a Cuba. C'è qualcosa che non mi convince angelo, e finché non scoprirò cos'è, non mi darò pace.»
Deglutisco mentre picchietta le dita sulla superficie di legno. Un ritmo lento e il mio cuore segue quella sequenza, mentre lui mi guarda negli occhi. Sembra che stia cercando di scavare dentro di me, ma l'unica cosa che potrà trovare è il vuoto.
«Hai sottolineato tu quelle frasi?», domando curiosa.
Lui china la testa verso di me, il suo respiro caldo mi accarezza il viso e cerco qualcosa su cui aggrapparmi, porto le mani dietro la schiena e stringo forte uno dei tanti ripiani della libreria.
«Che importanza ha?», risponde con una domanda, mentre le sue labbra si fanno sempre più vicine.
«Semplice curiosità.»
L'angolo della sua bocca si solleva appena mentre si fa sempre più vicino.
«Si, sono stato io. È per ricordarmi chi ero e chi sono diventato.»
E a quel punto il mio cuore si ferma.
Un bambino. Un orfano. E ora il diablo.
«Chi eri?», chiedo in tono dolce e faccio la mia mossa. Le mie mani si posano sui suoi fianchi, scivolano sulla camicia turchese fino a risalire il petto e raggiungere il collo. «Voglio solo conoscerti meglio», sussurro avvicinando le labbra alle sue. Non si muove, sta aspettando di vedere fin dove mi spingerò.
Gli accarezzo il collo e poi dolcemente risalgo verso il viso, seguo il profilo del mento e lui chiude gli occhi. Risalgo sugli zigomi, il profilo del naso, gli occhi e poi sfioro le sopracciglia folte con gli indici, spostandomi sulle tempie, dove disegno dei cerchi e massaggio.
Mi sollevo sulle punte e poso le labbra sulla sua fronte. Un bacio delicato che si ripete sugli occhi, naso, guance, mento e infine le labbra. Bacio l'angolo destro della sua bocca carnosa, poi passo all'angolo sinistro. Piccoli baci delicati si susseguono finché lui non dischiude le labbra e cerca le mie.
«Cosa stai facendo?», mi domanda.
Non rispondo alla sua domanda, continuo a baciarlo, chiudo le mani a coppa sul suo viso attirandolo ancora di più verso di me e lui non si oppone, segue i miei ritmi senza protestare.
«Parlami di te», dico tra un bacio e l'altro. «Ti prego.»
Le sue mani s'intrufolano tra i miei capelli, mi spinge indietro con il suo corpo schiacciandomi contro la libreria e infila la gamba in mezzo alle mie.
«Sono ciò che vedi, non c'è altro da dire su di me.»
Continua a baciarmi, ma facendo attenzione alla ferita sul labbro inferiore.
La schiena fa male e senza volerlo mi sfugge un lamento. Si stacca bruscamente rendendosi conto di avermi fatto male.
Indietreggia, indossando la sua solita maschera di indifferenza e poi dice: «Vai a letto, ti chiamo quando portano il pranzo.»
Sospiro sconfitta. Non ho concluso nulla anche stavolta.
Abbasso lo sguardo mentre lo sorpasso e vado in camera, proprio come mi ha ordinato.
Al diavolo, la situazione mi sta sfuggendo di mano.
Mi siedo sul grande letto e guardo fuori dalla finestra con la mente che vola.
Lui è stato un bambino e la sua infanzia è l'inizio di tutto. Cosa gli è successo da renderlo tanto crudele?
Credevo che seducendolo si sarebbe lasciato andare, ma lui è come una cassaforte senza combinazione. Inaccessibile.
Non passa molto, la porta si apre e mi volto di scatto. Lui ha gli occhi puntati su di me, mi guarda sicuro, deciso.
«Stanno apparecchiando, vieni con me.»
È singolare. Il suo controllo mescolato all'eleganza e alla durezza gli dona quell'aria misteriosa.
Lo seguo senza dir nulla e una volta arrivati in cucina, sposta la sedia aspettando che mi accomodi. Singolare.
«Grazie», dico sedendomi.
Lui si china, spostandomi i capelli di lato e posando le sue labbra sul collo.
«Prego», sussurra.
Una delle cameriere presenti alla villa posa i piatti sul tavolo in modo accurato con lo sguardo basso. Da quando vivo qui, nessuno del personale mi ha mai rivolto la parola e penso che sia un ordine di Carlos.
Un'altra donna, se non sbaglio la cuoca, entra nell'alloggio con un carrello dove vi sono disposti vassoi con ogni ben di dio.
Lui si drizza, posa la mano sul mio collo e rimane a osservare i movimenti delle donne. Non vorrei essere al loro posto, non deve essere piacevole sentirsi osservate continuamente.
«Signore, abbiamo finito», dice la donna più anziana indietreggiando di un passo.
«Ti ringrazio Irma», risponde lui in tono gentile.
La donna sorride appena e poi, insieme all'altra, escono chiudendo la porta.
Si è mostrato gentile nei loro confronti, non so perché, ma ero convinta che sarebbe stato freddo come sempre.
Guardo il tavolo mentre lui si siede accanto a me, quando può scegliere una delle altre quattro sedie intorno al tavolo.
Lo guardo con la coda dell'occhio mentre versa il vino in due bicchieri.
«Vorrei parlare con te di quello che è successo con Diego al Club», dice voltandosi verso di me.
Lo guardo e noto come sono tesi i muscoli del suo viso.
«Perché non sei andata via subito?».
Posa le mani sul tavolo e le chiude a pugno.
«Ci ho provato e poi pensavo di poter gestire la situazione.»
Si acciglia, non sembra d'accordo.
«Ho visto come hai gestito la situazione», commenta aspro.
Non so che dire, ha ragione.
Sorseggia il vino e io cerco di concentrare l'attenzione sul piatto. Con la forchetta giocherello spostando qualche pezzo di verdura grigliata qua e là rendendomi conto che il mio stomaco è completamente chiuso, non ho fame.
«Bevi,ti aiuterà a rilassarti.»
Prendo il bicchiere e mando giù un bel sorso, sperando veramente di rilassarmi. Sono tesa e non ne capisco il motivo. Lui si allunga per prendere un piatto con del pollo e poi mi serve, posa un pezzo di carne nel mio e poi nel suo piatto.
«Perché hai affrontato Diego?».
«Mi sono difesa», ribatto in fretta.
«Ho visto in che stato era ridotto, non era solo difendersi angelo, hai scaricato tutta la rabbia su un uomo che è il doppio di te», ricorda.
Ha ragione, non era semplice difesa. In quel momento la rabbia che ho dentro è venuta fuori, non sono riuscita a controllarmi, avevo bisogno di scaricarmi e l'ho fatto.
Infilza la carne e poi ne mangia un boccone, invece io non tocco ancora nulla.
«Dov'è Diego?».
«È in attesa di sapere qual è il suo destino.»
Non ha ancora deciso se ucciderlo o meno? Non mi sorprenderebbe scoprire che è già morto, ma poi penso che non si scomoderebbe tanto per me.
«Devi dirmi tu qual è il suo destino», dice puntando la forchetta verso di me.
«Io?», chiedo sorpresa.
Lascia le posate sul tavolo e poi si volta con il busto verso di me, appoggia il braccio sullo schienale della mia sedia e si sporge in avanti.
«Sarai tu a scegliere il destino di Diego per quello che ti ha fatto.»
Non sta scherzando, lui vuole che sia io a scegliere ed è sconvolgente.
Drizzo la schiena e con molta calma dico: «Lascialo andare, non voglio averlo sulla coscienza.»
Scosso dalle mie parole si ritrae e mi guarda confuso.
«Coscienza? Lui ti ha picchiata e non si sarebbe fermato se non intervenivo. Come potresti averlo sulla coscienza dopo tutto quello che ha fatto?».
Non posso giustificarlo per la violenza, ma tutto è iniziato dopo un ordine della persona a cui ho promesso che non avrei detto nulla a Carlos.
«Ormai è successo, direi di andare avanti e metterci una pietra sopra», dico infilzando la carne. Ne taglio un pezzo piccolo e poi senza pensarci troppo lo mastico.
«Come vuoi», mormora riportando l'attenzione sul suo piatto.
Il pranzo prosegue in silenzio, ogni tanto lo guardo con la coda dell'occhio, sembra pensieroso.
«La prossima settimana se tutto va bene ci sarà una nuova consegna. Stavolta sarà molto più complicato perché sarà un trasporto via terra fino a Aguas Claras. Farai da apri pista e avviserai se ci sono controlli lungo la strada. La provincia di Holguín, è una tra quelle che non riesco a controllare ed è per questo che mi servi tu.»
Una nuova consegna, sarebbe il momento ideale per recuperare il carico e incastrare gli uomini di Carlos. Devo trovare il tempo di uscire dalla villa e avvisare Jack.
«Va bene», dico posando il bicchiere ormai vuoto sul tavolo.
«Arrivata all'indirizzo indicato ti assicuri che il camion dietro di te sia arrivato e poi torni subito alla villa», raccomanda serio.
Annuisco. I suoi occhi si posano nei miei. Un camion? Non credo ci voglia tanto spazio per piccole pietre preziose, a meno che non sia altro.
Finito di pranzare ci accomodiamo sul divano e lui porta i bicchieri con il vino. Forse potrei azzardare qualche domanda, vorrei tanto sapere cosa c'è in quel camion.
«Posso sapere cosa trasporta il camion?».
Lui sorride scuotendo la testa. «Mi stavo chiedendo come mai non avevi ancora fatto domande», commenta appoggiando il braccio sullo schienale del divano. Sorseggia il vino e poi lo posa sul tavolino dinanzi.
«Sempre pietre preziose, angelo.»
Mi siedo comoda rivolta verso a lui con un unico obbiettivo in testa. Saperne di più.
«Come mai hai scelto il mercato delle pietre preziose? Non è facile entrarne in possesso considerando il loro valore.»
Anche lui si mette comodo, piega la gamba poggiandola sul divano e sostiene la testa con il braccio appoggiato allo schienale. Mi scruta attentamente, sta decidendo se parlarmene o meno.
«Se hai le giuste conoscenze e sai usare il cervello nella vita puoi fare tutto. Diciamo che la mia furbizia e il voler rischiare mi hanno condotto ad avere la vita che ho ora», spiega fiero. Non è abbastanza, voglio sapere da dove arrivano le pietre.
«A Cuba non ci sono miniere di pietre preziose!», affermo.
«Il mondo è pieno di miniere, basta trovare quella giusta», ribatte posando la mano sulla mia gamba.
«E tu muori dalla voglia di sapere la fonte», sussurra mentre la sua mano risale la coscia.
«Scusami, la mia è semplice curiosità. Mi affascina come sei riuscito a costruirti un impero tanto importante senza dare nell'occhio.» Raggiunge il mio braccio e lo percorre con le dita, risalendo fino a raggiungere il collo.
«Una volta io ero al tuo posto», dice, mentre le sue dita mi solleticano la nuca. Rabbrividisco.
«Eri un corriere di pietre preziose?».
Annuisce e si avvicina ancora di più, sento il suo fiato sul mio viso. Lui, la moto, dovevo capirlo che le due cose erano legate al traffico. L'unica volta che abbiano corso insieme, ho notato la sua destrezza, non poteva essere una semplice passione.
«Come sei riuscito a impossessarti del traffico?».
Lui mi scruta e poi mi bacia il collo.
Trattengo il fiato mentre risale verso l'orecchio.
«Ho usato la furbizia.»
«Non fare domande e non ti verranno dette bugie», dico ricordando la frase del libro.
«Esatto.»
Posa le mani sulla maglietta per sollevarla e io m'irrigidisco.
«Carlos.»
Continua a sollevare la maglietta e una volta tolta la butta per terra.
«Rilassati, voglio solo giocare. Despacito.»
Lui non sa cosa vuol dire lentamente. Sono un dolore unico e non è di questo che ho bisogno per riprendermi.
«Sdraiati», ordina.
Scivolo sul divano sdraiandomi del tutto e lui con molta calma fa scivolare giù i pantaloni della tuta lasciandomi in intimo. Si alza, indietreggia e poi il suo sguardo percorre il mio corpo soffermandosi sull'addome. Istintivamente sollevo la testa e noto l'ematoma sulla parte destra in corrispondenza delle costole.
«Ferma dove sei, arrivo subito», dice allontanandosi. Cosa avrà in mente?
Ritorna poco dopo con una scatola di legno tra le mani per poi mettersi in ginocchio accanto a me.
Quando apre la scatola sgrano gli occhi. Pietre preziose di vari colori.
«Il tuo corpo è perfetto, voglio solo valorizzarlo.»
Rimango in silenzio mentre prende una pietra tra le mani, l'ammira compiaciuto e poi la posa sul mio ombelico.
«Questa è una Tanzanite», dice disegnando un cerchio intorno all'ombelico.
Osservo la pietra di sfumature diverse. È un misto tra nero e viola dal taglio grezzo e ruvido.
Le sue mani scivolano sulla mia schiena mentre mi bacia l'addome, toglie il reggiseno e poi lo lascia andare a terra.
Le sue labbra mi succhiano i capezzoli, facendoli diventare turgidi e poi riporta l'attenzione sulla scatola.
Estrae un'altra pietra verde e la posa tra i seni.
«Questa è una Giada.»
Le sue dita scivolano in basso fino a raggiungere l'orlo delle mutandine. Percorre il profilo lentamente e il mio corpo reagisce, i muscoli si contraggono.
«Despacito angelo», sussurra con voce profonda.
Le sue mani scivolano in basso portandosi con sé il poco tessuto che mi copre, raggiunge le caviglie e una volta tolte inizia a baciarmi i piedi risalendo, mi morde le cosce e poi soffia sul mio sesso.
«Vediamo come possiamo renderla unica», dice e poi fruga nella scatola fino ad estrarre quella che riconoscerebbe chiunque.
«È un diamante», sfugge dalle mie labbra.
Lui sorride appena e posa la pietra sul pube.
Quest'uomo è pazzo.
«Ora facciamo un gioco. Qualsiasi cosa io ti faccia non devi far cadere le pietre». Si tira su e posa la scatola sul tavolino. «Se nessuna delle tre cadrà risponderò a tre domande», continua.
Oh merda. Devo resistere assolutamente, tre domande che mi aprirebbero le porte per la soluzione.
«Va bene», rispondo convinta.
Sbottona la camicia e una volta tolta si libera anche dei pantaloni. Posa le mani sui fianchi e si gode la visuale.
«Sei perfetta», commenta soddisfatto.
Lascia scivolare anche i boxer e poi si avvicina.
«Vediamo se riesci a controllare questo.»
Le sue mani scivolano sul mio sedere afferrandolo, mentre con la gamba si fa spazio tre le mie cosce, costringendomi ad allargare le gambe.
Il suo viso è sopra il mio, le sue labbra sfiorano le mie in una lenta e sensuale tortura.
«Hai un buon profumo», sussurra facendomi rabbrividire. Le mie mani scivolano sulla sua schiena, inspiegabilmente le dita tracciano le cicatrici ricoperte dal tatuaggio.
Non preme il corpo contro il mio, sembra che stia facendo attenzione a non farmi male.
Solleva la coscia premendo sul mio sesso, la pietra sul pube si muove e io prego che non cada.
La sua mano risale la schiena e poi la porta sul seno e stringe, ma non come le altre volte, ora è delicato. Con le dita mi accarezza il capezzolo ed è piacevole.
«Sei eccitata», afferma.
Ha ragione e mi sono rassegnata all'idea. Il mio corpo non segue più i miei comandi ed è distruttivo sapere che è proprio lui a darmi piacere.
Brucerò all'inferno, ma solo un pensiero mi salva. Arriverà la fine e tutto questo non esisterà più.
China il capo e inizia a leccarmi il capezzolo. Oh santo cielo.
Uccidimi ora.
Le sue labbra si spostano sul collo, il mento e poi raggiunge la mia bocca mentre continua ad accarezzarmi il capezzolo con il pollice.
«Devi fare una cosa per me», dice tra un bacio e l'altro.
«Toccati e guardami.»
Prende la mia mano e la indirizza verso il clitoride, mentre continua a baciarmi famelico. Indirizza le mie dita, premendo sul mio sesso fino a penetrarlo.
«Così», dice mentre preme ancora. Due dita dentro di me, il mio e il suo si muovono lentamente finché lui non le ritira.
Mi solleva la gamba e con un colpo deciso affonda dentro di me. Ansima.
Le pietre si muovono e controllo che nessuna delle tre sia caduta.
«Lo sai che se volessi cadrebbero in un attimo?», chiede cogliendomi di sorpresa. Sollevo lo sguardo su di lui mentre si muove lentamente.
«Vuoi farmi vincere?».
Solleva le spalle e poi mi bacia la gamba sollevata. «Non lo so, devo ancora decidere.»
I suoi occhi sono accesi, il suo sguardo mi divora. Un fremito di godimento mi attraversa mentre spinge dentro di me.
«Carlos», ansimo posando le mani sulle sue braccia.
C'è una strana connessione tra noi, come la collisione di due pianeti.
Mi guarda negli occhi mentre affonda ancora di più, lascia andare la gamba e poi sposta il corpo sopra di me senza toccarmi. Si tiene sulle braccia continuando i suoi affondi regolari e profondi. Il mio corpo sente il suo calore, le mie mani lo toccano senza che me ne renda conto.
«Sei diventata una delle mie pietre preziose», sussurra posando la fronte sulla mia.
Occhi negli occhi, il vuoto sembra invaso dal caos, esplosioni continue finché tutto non tace e rimangono solo gli ansimi di due persone che sono appena venute, insieme.
Mi bacia sul collo e poi vi nasconde il viso ansimante.
Riluttante guardo il soffitto e penso che non potrei cadere più in basso di così. Ogni volta è la stessa storia. Sul momento non ci penso più di tanto, ma dopo la morsa allo stomaco si risveglia riportandomi alla realtà. Sto facendo sesso e non solo con la persona che ha rovinato la mia vita, e la cosa sconcertante è che provo piacere grazie a lui.
La sua bocca cerca la mia, mi bacia e mordicchia il labbro.
«Controlliamo se hai vinto», dice scendendo con lo sguardo verso il mio corpo.
La prima pietra e scesa in basso, ma è ancora sul mio corpo. Quella nell'ombelico non si è mossa e infine il diamante sul pube è rimasto lì.
«Ho vinto», esclamo.
Si solleva e raccoglie le tre pietre, le ripone nella scatola e poi si volta verso di me.
«Tre domande, forza.»
Mi metto seduta incrociando le gambe e penso con quale iniziare. Se chiedo subito delle pietre si insospettisce. Devo usarla per ultima, forse potrei sprecare una domanda fingendomi interessata a lui.
«Puoi dirmi la storia di quelle cicatrici?», chiedo sperando di non aver osato troppo. In realtà vorrei saperlo, ma non era certo una delle tre domande importanti che avrei posto.
Lui sospira e poi si siede accanto a me. Unisce le mani e posa i gomiti sulle ginocchia.
«Sono cresciuto in un istituto dove non mi piacevano molto le regole. Un giorno venne sostituito improvvisamente il direttore e da quel giorno per anni sono stato punito in questo modo per ogni mia ribellione.»
Il suo sguardo è perso. Osservo come stringe le mani tra loro, le nocche diventano bianche, la mascella si contrae.
È stato frustrato. Era solo un bambino, come hanno potuto fare una cosa del genere. È stato segnato per tutta la vita e forse riesco a spiegarmi molti dei suoi atteggiamenti.
Scivolo verso di lui, il mio braccio gli avvolge le spalle e poso la testa sulla sua spalla.
«Fai la prossima domanda», ordina come se si fosse risvegliato improvvisamente.
«Da dove arrivano le pietre preziose?», dico decidendo di andare subito al punto.
«La maggior parte da Mogok, Birmania e poi abbiamo altri paesi che ci forniscono le pietre grezze.»
Ok, perciò la lavorazione avviene qui. Ho solo una domanda e non posso sbagliare perché non avrò un'altra possibilità.
«Il laboratorio è al Villaggio Esperanza non è vero?».
Lui si volta verso di me e dice: «Se per qualche strana ragione ti è passata per la mente la possibilità di mettere le mani su ciò che è mio ti sbagli. Puoi sapere dove sono, da dove arrivano e dove finiscono, ma non metterti in testa strane idee. Nessuno può e deve mettersi contro di me», avvisa minaccioso.
«Non voglio ciò che è tuo, ero solo curiosa», cerco di alleggerire la situazione.
Si alza e prende la scatola in mano. «Vado a farmi una doccia, quando ho finito puoi farla tu.»
Si allontana a grandi falcate mentre io seguo i suoi movimenti con lo sguardo.
Devo assolutamente parlare con Jack il prima possibile. Ci sono dei bambini al villaggio, deve chiamare i rinforzi, una squadra di cinque uomini non basterà. Ma cosa più importante, deve garantirmi che i bambini verranno spostati prima dell'intervento.
Buon sabato, spero che l'aggiornamento del nuovo capitolo sia andato bene, non riuscivo a caricare il nuovo capitolo. :-)
Sotto nei commenti i vostri pareri. Un bacione
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