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» nove



"Questa volta il tuo ragazzo si è davvero superato!" Ivy si catapultò nella camera da letto di Brandy senza nemmeno bussare, con la sua solita irruenza - anche se era presto, era sempre carica di energia. La bionda mugugnò infastidita, non era una persona mattiniera e le incursioni che ogni tanto la sua amica faceva nella sua stanza le davano molto fastidio.
Nascose la testa sotto alle coperte e cercò di ignorare la voce squillante della Jackson, anche se ormai era completamente inutile dato che l'aveva svegliata bruscamente.

"Guarda cosa ha appena portato un attraente fattorino!" Si fiondò sul materasso e scosse con vigore le spalle di Brandy, che sbuffò esasperata e si decise ad uscire da sotto il lenzuolo. Sgranò gli occhi quando si ritrovò davanti un enorme mazzo di rose rosse, avvolte da un pezzo di stoffa scarlatto. Erano meravigliose, nel pieno della fioritura e profumavano in modo delicato.

Prese tra le mani il bouquet e scorse immediatamente tra i petali una piccola busta bianca.
La strinse fra le dita, sempre con il sorriso stampato sul volto per il gesto romantico che Aaron le aveva riservato, e la aprì.

"Brandy, volevo scusarmi per il mio comportamento fuori luogo di ieri sera e per farmi perdonare vorrei invitarti a pranzo oggi.
Ti lascio il mio numero.
Con affetto, Bruce Wayne."

La ragazza strabuzzò gli occhi e per poco non cadde dal letto come un sacco di patate.
"Tutto bene?" Le domandò Ivy, notando il suo repentino cambio d'umore.

"Sì, solo non mi aspettavo questa sorpresa." Rispose vaga, continuando a rigirare il foglietto di carta tra le dita. La scrittura di Wayne era elegante, ma traspariva quasi un certo senso di autorità: quell'invito sembrava più un ordine. "Puoi lasciarmi un attimo da sola?"

La mora annuì - anche se non era del tutto convinta dell'atteggiamento dell'amica - ed uscì dalla stanza. Whisky invece saltò sul letto, scodinzolando e leccando il viso della sua padroncina. Brandy lo strinse tra le sue braccia, in cerca del conforto che solo la sua palla di pelo riusciva a darle.

Ammise a se stessa che forse si era comportata male con il miliardario e che era stata troppo precipitosa nel giudicarlo.
Magari il vero intento dell'uomo era davvero quello di capirla, perché anche lui si era ritrovato in una situazione simile e non quello di compatirla.

A Gotham tutti conoscevano la tragica storia dei Wayne: una sera Bruce e la sua famiglia erano andati al teatro cittadino e, usciti dalla porta secondaria, si erano imbattuti in un malvivente disperato dalla situazione economica in cui si trovava.
Aveva puntato la pistola al petto di Thomas - il papà di Bruce - intimandogli di consegnarli il portafoglio e l'orologio d'oro.
Poi aveva fatto la stessa cosa con Martha e aveva preteso il filo di perle candide che portava al collo.

Era successo in una frazione di secondo, la collana era caduta sull'asfalto bagnato e l'uomo era andato nel panico più totale.
Aveva sparato a tutti e due i coniugi, risparmiando la vita solo al piccolo Wayne allora tredicenne. Joe Chill - così si chiamava - era sparito nel buio della notte, inconsapevole di aver cambiato per sempre l'esistenza di quel ragazzino spaventato.

Brandy sospirò afflitta.
Un po' si sentiva in colpa per averlo aggredito verbalmente la notte precedente. Aveva notato negli occhi scuri del giovane miliardario una strana luce e le erano sembrati sinceri quando le aveva detto che voleva solo dirle come ci si sentiva a perdere le persone amate in uno schiocco di dita.

Quasi nessuno nella metropoli del crimine si ricordava di cosa fosse successo alla famiglia Knight - forse perché di omicidi come quelli ne capitavano quasi tutti i giorni, mentre l'uccisione di qualche altolocato era una novità - ma a Brandy andava bene così, perché aveva sempre odiato gli sguardi pieni di compassione che le rivolgevano sia i professori che gli studenti nella scuola superiore che frequentava nei primi mesi dopo la morte di suo papà e di sua sorella.

Nel suo cuore non c'era spazio per le occhiate caritatevoli, ma era colmo di dolore e rabbia.
Straripava di vendetta, che negli anni successivi era diventata un acido corrosivo che le aveva annebbiato la mente e l'aveva spinta a ripagare il fautore del suo destino con la stessa dolorosa moneta. Immaginò quanto si fosse sentito sollevato Bruce nel vedere Chill morire assassinato dagli scagnozzi di Falcone, dopo anni in cui era stato a marcire in prigione ed aveva trovato il modo di redimersi spifferando agli sbirri ciò che il boss mafioso gli aveva confidato in quel periodo, visto che si erano ritrovati a condividere la stessa cella.

Anche lei avrebbe voluto provare quel sollievo difronte alla morte del Romano, ma purtroppo aveva perso l'occasione per macchiarsi le mani del suo sangue velenoso.
Vederlo esalare l'ultimo respiro oppure guardarlo mentre la implorava come un cane di risparmiargli la vita, le avrebbero tolto dal cuore quel desiderio devastante di vendetta.

Forse nessun altro l'avrebbe capita meglio di Bruce Wayne, così decise di accettare il suo invito a pranzo, perché forse avevano più cose in comune loro - che provenivano da due mondi completamente differenti - che chiunque altro sulla faccia della Terra. Afferrò il telefono che si trovava sul comodino accanto al letto e digitò con fretta le cifre del numero di cellulare di Wayne.
Un leggero tremore le percorse le gambe, ma decise di ignorarlo.
Di sicuro era ancora tutta la rabbia che custodiva in corpo, nonostante fossero passati più di cinque anni da quando aveva detto addio per sempre al viso sorridente di Violet e a quello smunto a causa dell'alcol di suo papà.

"Pronto?" La voce di Bruce le arrivò alle orecchie come una secchiata d'acqua gelata e la ridestò dai suoi pensieri.

"Sono Brandy." Sussurrò appena, stringendo la presa su Whisky che con il calore del suo corpicino riusciva ad infonderle sicurezza.

"Ciao, Brandy. Ti sono piaciute le rose?" Le domandò l'uomo e la bionda era sicura che il suo
viso fosse stato appena attraversato da un sorriso sornione.

"Sì, molto. Volevo dirti che accetto l'invito a pranzo."

"Ci vediamo alle tredici difronte al Royal Restaurant. A dopo, Brandy." Il freddo e distaccato Bruce Wayne lasciò trasparire sorpresa, pronunciando quelle parole. La giovane sorrise, adorava prenderlo in contropiede.

Un fremito percorse il corpo della ragazza nel sentir pronunciare il proprio nome con così tanta fermezza dal miliardario.
Scacciò subito quella sensazione e pensò piuttosto a cosa indossare per quello strano appuntamento, con quell'uomo che stava minando ogni sua certezza nei confronti di Aaron Palmer.
Perché forse non l'avrebbe mai ammesso ad anima viva, ma quando Bruce Wayne la fissava con i suoi occhi freddi glaciali e scuri si sentiva tremendamente speciale.

*

"Davvero pensi di uscire con quelle cose ai piedi?"

Si bloccò sui suoi passi e si voltò in direzione della sua migliore amica: Ivy la stava fissando con le braccia incrociate sotto al petto, appoggiata allo stipite della porta della cucina, con un espressione alquanto schifata stampata sul volto. Brandy alzò le spalle e ribatté, fissando le sue All Star bianche: "Non mi piacciano le scarpe con il tacco."

"Hai bisogno del mio aiuto e non dir di no!" La Jackson le sorrise e sparì in camera sua, tornando qualche istante dopo con un paio di décolleté argentate tra le mani.
"Mettiti queste." Intimò alla sua amica. Brandy ubbidì, sapeva che non poteva scappare dalle grinfie della mora, così si limitò ad indossare le scarpe con il tacco in silenzio. Osservò la sua immagine riflessa nello specchio a parate posto accanto alla porta d'ingresso.

Odiava ammetterlo, ma le calzature argentate si sposavano alla perfezione con il tubino blu elettrico con scollo a cuore che aveva deciso di indossare.
Era uno dei pochi vestiti eleganti che aveva ed ovviamente era stata Ivy ad obbligarla a comprarlo, perché affermava che ogni donna nel suo armadio avrebbe dovuto avere almeno un paio di abiti da cocktail.

"Grazie." Mormorò Brandy e stampò un bacio sulla guancia della sua coinquilina. "Esco con Aaron, non so quando torno."
La bionda odiava mentire, ma non voleva insospettire Ivy dicendole che sarebbe uscita a pranzo con Bruce Wayne, perché era sicura che le avrebbe fatto una lavata di testa, insinuando ogni teoria strampalata su una possibile relazione tra lei ed il miliardario.
Ma soprattutto non voleva che Palmer venisse a conoscenza di quella faccenda dalla sua amica dalla bocca larga, dato che a volte faticava a tenerla chiusa ed era più forte di lei spifferare ogni cosa ai quattro venti.

"Okay, divertitevi." Le sorrise dolcemente la mora e poi tornò alle sue commissioni. Brandy uscì di casa e mentre scendeva le scale del palazzo mandò un messaggio al suo quasi fidanzato dicendogli che quel giorno non si sarebbero potuti vedere, perché aveva degli impegni.

Doveva assolutamente tenere lontano il giovane ragazzo dal suo appartamento e dalla sua coinquilina, per evitare di essere beccata in flagrante a mentire ad entrambi come era successo qualche sera prima, quando Batman l'aveva portata al suo covo e le aveva fatto provare l'armatura da Batgirl. 

Le strade di Gotham erano poco affollate quel giorno, così riuscì ad arrivare al Royal Restaurant con cinque minuti abbandonati d'anticipo. La facciata esterna del ristorante era ricoperta da vetrate e l'insegna del rinomato locale era posta sopra all'elegante ingresso.
Non sapeva se entrare oppure aspettare qualche istante, nel caso Bruce non fosse ancora arrivato.
Il suo piccolo conflitto interiore venne interrotto dal rombo di una macchina sportiva che si accostò accanto al marciapiede su cui stava temporeggiando da qualche istante.

La portiera della Lamborghini grigia venne aperta e rivelò la figura severa di Bruce Wayne.
L'uomo scese dalla sua auto, non preoccupandosi di aver parcheggiato in mezzo alla strada ed in aggiunta difronte al ristorante più lussuoso e rinomato della metropoli.
"Ciao Brandy, grazie per aver accettato il mio invito." Si avvicinò alla giovane donna e le prese la mano destra tra la sua, baciandole poi delicatamente il dorso. "Entriamo."

La bionda sollevò impercettibilmente le spalle e si affrettò ad eseguire la richiesta dell'uomo, tenendo le dita incrociate a quelle di Bruce.
Quel leggero contatto le infondeva sicurezza e in quel momento ne aveva disperatamente bisogno, perché non sapeva come comportarsi e cosa dire.
Per un minuscolo istante si maledisse per aver accettato quell'incontro con il miliardario più potente di tutta Gotham City.

Wayne lanciò le chiavi della Lamborghini al giovane parcheggiatore del ristorante e la trascinò all'interno del magnifico palazzo fatto di vetro. Venne accolto dal personale come un principe ed una cameriera dai lunghi capelli rossi che sembravano fiamme indomate li condusse in un tavolo appartato e lontano dal resto dei facoltosi clienti. Prima di andarsene, squadrò Bruce dalla testa ai piedi con un sorriso malizioso dipinto sulle labbra sottili e poi rivolse un'occhiata poco eloquente alla ragazza.

Brandy se ne accorse subito e si sentì dannatamente fuori luogo.
Aveva cercato di vestirsi nel modo più elegante possibile, ma l'aria di una che viene dai bassi fondi non si cancella facilmente. Bruce parve notare il suo leggero imbarazzo e la fece accomodare al tavolo, spostandole la sedia come un vero gentiluomo. Una volta che anche lui si fu seduto, le rivolse un sorriso appena accennato e le disse con voce calda: "Questo vestito ti sta d'incanto."

"Grazie, signor Wayne." Cercò di non abbassare gli occhi e di tenerli fissi in quelli del miliardario. "Anche lei è molto elegante."
Quelle poche volte che aveva sfogliato riviste di gossip, aveva sempre visto Bruce Wayne stretto in un abiti eleganti ed anche quel giorno il suo vestiario comprendeva una camicia nera perfettamente stirata, sotto ad un completo blu notte.

"Brandy, per favore chiamami semplicemente Bruce. Il signor Wayne era mio padre." Il modo in cui ogni volta pronunciava il suo nome la fece rabbrividire, era sicuro mentre accarezzava con la lingua quelle semplici lettere e le rendeva un suono paradisiaco.
Era capace di trasformare quelle consonanti e vocali, in qualcosa di speciale. La giovane donna aveva sempre odiato il suo nome, anche se era particolare e non aveva mai incontrato qualcuno che ne avesse uno simile. Le ricordava l'alcolismo del padre e tutte quelle volte che lo aveva beccato a tracannare bottiglie di liquore dorato nascosto dalla moglie e dalle figlie. Ma ora Bruce Wayne riusciva a rendere quella parola - il nome che aveva in comune con un alcolico - in qualcosa di unico.

"Va bene, Bruce." Mormorò.
Tutta la sicurezza che aveva sentito scorrerle nelle vene la sera prima era sparita e si sentiva ancora fragile come quando lui l'aveva beccata a curiosare nella sua villa. Quell'uomo le faceva percepire emozioni contrastanti: in alcuni momenti si sentiva invincibile accanto a lui - quanto successo all'Iceberg Lounge ne era una prova - ed altre volte si sentiva una ragazzina indifesa che lottava contro l'impulso di abbassare gli occhi, proprio come in quel preciso istante.

"Voglio anche chiederti scusa per il mio comportamento di ieri sera, ti ho giudicato troppo in fretta. Scusami." Aggiunse dopo qualche istante di silenzio. Parlargli con quel tono confidenziale l'agitava.

"Non preoccuparti, è stata normale una reazione simile da parte tua. Semplicemente avrei dovuto evitare di invadere la tua sfera privata in quel modo e venire a parlarti di ciò che hai passato, senza che nemmeno ci conoscessimo." Wayne non ammetteva mai di avere torto, ma in quel frangente era stato di vitale importanza, poiché era sicuro che avrebbe perso per sempre l'occasione di conoscere meglio quella giovane donna dagli occhi incredibilmente azzurri che le aveva scosso il cuore.

"Direi che è acqua passata allora." Brandy gli sorrise dolcemente.
La cameriera dai capelli rossi come fiammelle - riuscì a leggere il nome Christy sulla medaglietta dorata che aveva appuntata alla camicia nera della divisa - si palesò accanto al tavolo e portò loro una pregiata bottiglia di vino bianco, uno dei più costosi sulla faccia del pianeta.

"Ecco a voi, signor Wayne mi sono permessa di portarle il Château d'Yquem che prende di solito." Chiocciò in direzione del miliardario con un sorrisino malizioso ad incresparle le labbra.

"Grazie mille, Christy. Sei sempre molto gentile." Bruce spostò lo sguardo verso la cameriera e le sorrise, poi tornò a scrutare le iridi celesti di Brandy. La bionda sentì una fitta allo stomaco. Era forse gelosia? Scacciò quell'assurda idea dalla testa, era lì solo per parlare con lui ed inoltre era follemente innamorata di Aaron Palmer. Non provava sentimenti per quell'uomo affascinante quanto misterioso, anche se le piaceva il modo in cui lui la guardava.

"Vieni spesso qui?" Domandò di getto, non appena la rossa si fu allontanata camminando in modo sinuoso per cercare di fare colpo su Wayne.

"Sì, questo ristorante è di mia proprietà..." La guardò dubbioso, sapeva come funzionava la logica femminile, per poi aggiungere: "Non sarai forse gelosa di Christy?"

Brandy strabuzzò gli occhi per quella domanda inaspettata e si affrettò a rispondere cercando di non arrossire: "Assolutamente no."

"Allora il ragazzo che c'era all'Iceberg Lounge è il tuo fidanzato?" Bruce si ricordava perfettamente il modo in cui quello stupido ed arrogante buttafuori l'aveva guardata - era sicuro che non fosse amore, ma solo possessione e lui non sbagliava mai.

"Quasi. Ci stiamo frequentando da qualche settimana. Perché ti interessa saperlo? Non sarai forse geloso di Aaron?" Imitò il tono divertito che Bruce aveva usato qualche minuto addietro per porle la stessa domanda e si sentì appagata quando vide che aveva preso in contro piede il miliardario. Brandy stava riacquistando un briciolo della sua sicurezza.

"Assolutamente no." Mormorò Bruce, anche se un sorriso poco celato gli nacque sulle labbra sottili. Gli piaceva quando la ragazza era così sfrontata con lui ed osava sfidarlo, come aveva fatto la notte precedente.

Christy tornò per la seconda volta ad interrompere il loro gioco di sguardi e provocazioni, portando loro il menù rilegato in un quadernetto di pregiata pelle nera. Brandy osservò il nome di quei complicati piatti dai nomi esotici e stranieri, sbirciando da sopra il plico di fogli Bruce che invece sapeva esattamente cosa scegliere.

"Prendo il piatto del giorno." Disse sicura, prima che la cameriera potesse rivolgerle una delle sue occhiate velenose.

"Anch'io." Pronunciò Bruce e ciò bastò per evitarle una figuraccia davanti a quell'arpia di Christy che non vedeva l'ora di mettere le sue viscide mani su Wayne.
Per fortuna che lui ignorava i sorrisi languidi che la rossa gli lanciava in modo poco velato.

"Probabilmente non te l'ho ancora detto, ma mi dispiace per quello che è successo alla tua famiglia." Brandy decise che fosse il momento di affrontare quel discorso. Con Bruce poteva confidarsi, perché sapeva che anche lui aveva il cuore distrutto dal dolore come lei stessa.

"Anche a me per la tua." Lo sguardo di Bruce sembrò vacillare per una frazione di secondo.
La ferita doveva ancora essere aperta e pulsante. "Io so come ci si sente. Fidati che lo so..."

"Sì, Bruce. Lo so benissimo." Ribatté la bionda con sicurezza nella voce. Quando la sera del primo appuntamento con Aaron, gli aveva detto che erano uguali si sbagliava di grosso...

Lei e Wayne erano due facce della stessa medaglia.

Anche Palmer aveva sofferto per aver visto la sua carriera andare in fumo, ma era un dolore diverso da quello che accomunava Brandy e Bruce. Lo leggeva negli occhi del miliardario seduto difronte lei, quel demone era vivo sotto la superficie fredda delle sue iridi scure. Era sempre presente e non lo avrebbe mai abbandonato.

"Sono contento che Falcone sia dietro alle sbarre, così nessuno potrà fare ancora del male a della brava gente come la tua sorellina e tuo papà." La voce di Bruce era tornata sicura e tentennando avvicinò la mano a quella di Brandy che era appoggiata sulla tovaglia di lino bianco.

Le sfiorò appena le dita.
La ragazza portò subito gli occhi sulle loro mani intrecciate e lasciò che Wayne le accarezzasse dolcemente la pelle. Le piaceva quel contatto intimo, sentiva l'epidermide bruciarle sotto il tocco leggero dell'uomo e le dava un senso di beatitudine indescrivibile.

"Raccontami di tua sorella Violet, ti prego." Gli occhi di Bruce la stavano supplicando in silenzio di fidarsi di lui e che avrebbe fatto tesoro di ogni piccolo segreto che lei gli avesse confidato.

"Era una bambina meravigliosa, dolce ed intelligente. Non lo dico solo perché era la mia sorellina. Quando è morta, ha portato via per sempre una parte di me.
Aveva tredici anni, gli occhi gentili e sorrideva a tutti. Mi ricordo che mia mamma ogni mattina le faceva due lunghe tracce dorate e le metteva dei fiorellini tra i capelli. Violet era bellissima ed io le volevo un bene immenso, che non saprei neanche quantificare.
Le piaceva andare in bicicletta con le sue amiche, giocare con le bambole e costruire fortini in cui ci nascondevamo insieme. Ho perdonato mio papà per ciò che ha fatto, per averla portata con lui quella sera, ma so che nessuno mi restituirà la mia dolce Vivì."

Gli occhi di Brandy si riempirono di lacrime, ma nemmeno una le rigò le guance arrossate.
La mano di Bruce, stretta ancora alla sua, le stava infondendo forza e le sue carezze delicate le facevano sentire le farfalle nello stomaco.

"Per mio padre è stato diverso. Gli volevo bene, ma il rapporto con lui si era sgretolato da molto tempo. Aveva iniziato a bere, a giocare d'azzardo e trattava male mia mamma Jane - che nonostante tutto lo amava più della sua stessa vita. Ho molti ricordi belli di lui, ma non sono più nitidi come un tempo.
Mia madre invece è rinchiusa all'Arkham, perché è impazzita.
Mi dilania il cuore vederla così a pezzi, distrutta per la perdita delle persone che amava. È come un fantasma ed a volte non mi riconosce nemmeno..." La voce si incrinò e con la mano libera si affrettò ad asciugarsi gli occhi lucidi. L'altra invece strinse la presa, il calore di Wayne le dava conforto.

Passò qualche istante in cui nessuno dei due disse niente, quel silenzio però era carico di mille emozioni e di mille parole.
Bruce non staccò nemmeno per un istante lo sguardo da quello azzurro della ragazza, neanche quando Christy portò loro i piatti e notò con disappunto le mani dei due intrecciate sul tavolo.
Se ne andò con una smorfia abbozzata sul viso.

Brandy sospirò, raccontare tutti quei dettagli a Wayne era liberatorio. Sentiva il cuore alleggerirsi, anche se era consapevole che il dolore ci sarebbe sempre stato. Sempre.

"Ho avuto la fortuna di avere accanto a me la mia migliore amica Ivy. Lei mi è sempre stata vicina e ci conosciamo da quando avevamo entrambi sei anni." Deglutì, lo stomaco all'improvviso le si era chiuso - anche se l'arrosto in crosta che aveva nel piatto sembrava delizioso. "Per te, immagino che sia stato più difficile. Avevi solo tredici anni ed eri solo."

"Sì, non ero un bambino come gli altri. Avevo un'unica amica da piccolo, si chiama Rachel Dawes e lei mi è stata vicina per quanto ha potuto, perché ho sempre cercato di allontanarla. Poi c'era anche Alfred - il maggiordomo della mia famiglia - e lui è stato come un padre per me, dopo la morte dei miei genitori. Io ho fatto uno sbaglio, Brandy: ho tenuto tutto dentro, senza mai far avvicinare troppo le persone a me ed al mio dolore. Credevo di essere forte, ma tutta la rabbia che avevo dentro al cuore ha finito solo per annebbiarmi la mente.
Gli anni lontani da Gotham mi hanno aiutato molto a riflettere e mi hanno insegnato che la vendetta non è la giusta arma." La voce di Bruce era bassa e lasciava trasparire emozione viva.
Era la prima volta che si esponeva così tanto ad una persona che non fosse se stesso, ma sapeva di trovare solo comprensione da parte della giovane donna.

"Quando è morto Joe Chill come ti sei sentito?" Gli domandò la ragazza, poi spezzettò la carne nel piatto e prese un boccone.
Mormorò qualche complimento al cuoco a bassa voce e Wayne si ritrovò a sorriderle.

"All'inizio pensavo che il suo decesso potesse alleviare il dolore che avevo dentro, successivamente mi sono reso conto che niente avrebbe fatto sparire quel sentimento lancinante. I miei genitori non ci sono più ed io non posso farci niente. L'unica cosa che mi resta è il loro ricordo."

Brandy annuì guardandolo nelle iridi scure come la notte.
C'era qualcosa che la teneva incatenata agli occhi del miliardario, qualcosa di cui non riusciva a spiegarsi.

*


"Grazie." Mormorò Brandy, rivolgendo un sorriso a Bruce. "Mi è piaciuto passare del tempo con te." Afferrò la pochette che aveva depositato sul tappetino della macchina di Wayne e la strinse al petto. Era talmente vicina all'uomo che poteva sentire il battito del suo cuore rimbombare per l'abitacolo accogliente della sua Lamborghini.

"Non devi ringraziarmi. Anche a me è piaciuto stare con te oggi.
Mi ha fatto bene parlare con qualcuno così apertamente dei miei genitori. Tu capisci il mio dolore e non mi compatisci come fanno gli altri." Bruce Wayne era imbarazzato, glielo si leggeva sul volto. Ma non era spaventato di mostrare i suoi veri sentimenti alla ragazza seduta accanto a lui.

Brandy sorrise ancora e si preparò a scendere dall'auto.
L'ingresso del suo palazzo era a qualche metro da lei, c'era solo il marciapiede a separarli.
Rimase ancora qualche istante incollata al sedile di pelle nera, incerta su come agire.
"Grazie ancora e spero di rivederti presto." Tentennò per un'altra manciata di secondi e poi si decise finalmente a stampare un bacio sulla guancia di Bruce.

La sua pelle era calda e liscia - segno che si facesse la barba tutti i giorni. Lo sentì irrigidirsi sotto il suo tocco delicato, così si affrettò a staccarsi subito e ad uscire di corsa dalla macchina grigia opaca.
Il portone di legno scuro le apparve difronte agli occhi come un miraggio e si rifugiò all'interno dell'edificio. Potè tornare a respirare tranquillamente solo quando sentì il rombo della Lamborghini di Wayne allontanarsi da quel quartiere popolare in cui era dannatamente fuori luogo.

"Sono una stupida!" Sbuffò tirandosi una manata in fronte. "Solo una grandissima stupida."
Non riusciva a capacitarsi del perché si fosse esposta così tanto con Bruce. Sì, lui era stato quello che l'aveva compresa più di qualunque altra persona sulla faccia della Terra e le era piaciuto parlare con qualcuno che capisse realmente cosa significa perdere i propri cari. Ma quel bacio era stato un errore imperdonabile.

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