» missing-moment: nobody said it was easy
GUEST STAR:
Luke Davis
interpretato da Mark Wahlberg
Kevin Keller
interpretato da Casey Cott
* * *
Michael fece roteare il ghiaccio che aveva sul fondo del bicchiere e poi sospirò sconsolato. Era da più di una settimana che faceva di tutto pur di non rientrare nel suo appartamento finito il turno in polizia. La verità era che non riusciva più a sopportare quelle quattro mura che chiamava casa, l'aria si era fatta soffocante ed ogni volta che ci metteva piede sentiva l'ossigeno mancargli nei polmoni.
Le persiane erano costantemente serrate, donando così un aspetto cupo a tutto l'ambiente. Solo qualche spiraglio di luce entrava tra le aste di legno, ma serviva solamente a ricordargli tutto il vuoto che c'era lì dentro. La polvere accumulata sui mobili, i piatti sporchi che strabordavano nel lavandino ed i vestiti sparsi sul pavimento. Però la cosa che gli faceva più male era tornare a casa ogni sera e non trovare Luke che lo aspettava. Quello gli dilaniava il cuore a metà, come se fosse trapassato da una lama affilata.
Era morto da più di un anno ed un pezzo di Michael giaceva con lui tre metri sotto terra. L'agente di polizia aveva esalato l'ultimo respiro tra le braccia di Miller, con gli occhi pieni di lacrime e le labbra tremolanti. Gli aveva detto che lo amava e che doveva essere forte per entrambi, che doveva continuare a vivere anche per lui.
Il giovane lo aveva stretto forte al petto e gli aveva baciato la fronte con dolcezza, con la consapevolezza di non poterlo più rivedere. Il sangue rosso vivido che sgorgava dal petto di Luke gli aveva imbrattato le mani per giorni.
Luke Davis era l'amore della sua vita, l'uomo con cui aveva immaginato di invecchiare ed ora non c'era più. Una pallottola glielo aveva portato via per sempre e non c'era sensazione peggiore che addormentarsi ogni notte in un letto freddo e troppo grande per una sola persona. Stringeva ancora il cuscino del suo bellissimo fidanzato tra le braccia, con la speranza di percepire il suo profumo maschile e deciso, ma sulla federa sentiva solo l'odore delle sue lacrime salate.
Si ricordava con nitidezza la prima volta in cui aveva posato gli occhi sull'agente Davis, il suo sorriso strafottente e gli occhi caldi come cioccolato fuso.
Si era promesso di stargli alla larga, perché sapeva era uno sbruffone ed un donnaiolo incallito. Luke aveva persino una fidanzata a quei tempi, ma il suo sguardo ed il suo sorriso spenti facevano intuire che in realtà non fosse per niente felice.
Non appena aveva notato che Michael lo stava fissando da un angolino remoto del bancone del Black Hole Pub, gli aveva fatto un sorriso sghembo ed aveva alzato Il boccale di birra nella sua direzione. Il giovane ragazzo aveva distolto lo sguardo ed era tornato ad ascoltare i noiosissimi discorsi del suo collega. Quel bar era frequentato perlopiù da poliziotti come loro.
Nonostante fossero passati anni, a stento si ricordava come era finito in un cubicolo del bagno degli uomini avvinghiato a Davis, con le labbra che si cercavano fameliche e le mani che si esploravano febbricitanti. Da quel giorno la sua vita era cambiata drasticamente. Ci erano voluti parecchi mesi prima che Luke lasciasse la sua ragazza e si dichiarasse omosessuale apertamente, la loro relazione all'inizio non era stata per niente facile ed alcuni piedipiatti continuavano a guardarli in tralice, ma loro due si amavano e bastava questo.
Michael mandò giù un sorso di whisky, gli bruciò la gola e sentì gli angoli degli occhi cerulei pizzicargli. Ogni fibra del suo corpo sentiva l'assenza del suo amato Luke.
Gli mancava trovarlo a casa che gli preparava la cena, con la camicia nera della divisa del GCPD sbottonata ed i capelli arruffati dopo una lunga giornata di lavoro; gli mancava fare l'amore con lui ed addormentarsi abbracciati; gli mancavano i suoi sorrisi e le sue battutine sarcastiche; gli mancava la sua risata contagiosa; gli mancava accarezzargli i capelli neri, mentre dormivano beati.
Gli mancava come l'ossigeno quando sei in apnea e ti bruciano i polmoni, perché vuoi tornare a boccheggiare. Miller non riusciva più a respirare senza di lui al suo fianco.
Il poliziotto ordinò un altro bicchiere di liquore, voleva che la mente gli si annebbiasse e che smettesse di proiettargli le immagini dei momenti belli con Davis nel cervello. Si toccò le labbra con i polpastrelli, fantasticando di essere baciato da Luke, immaginò di accarezzargli il corpo tonico e muscoloso.
Tutto ciò era un agonia per lui, nessuno gli avrebbe ripotato indietro l'amore della sua vita.
La sola di idea di tornare nell'appartamento che aveva condiviso con lui per anni gli fece girare la testa, non voleva passare un'altra sera ad ingozzarsi di gelato al caramello e a piangere, mentre guardava film d'amore strappalacrime. Voleva semplicemente svuotare la testa, non pensare più a niente.
Brandy se ne era andata già da qualche ora, era tornata nel suo lussuoso attico nel centro di Gotham, dal suo amorevole marito Bruce Wayne.
Michael era solo.
Anche l'aria all'interno del Black Hole Pub stava diventando asfissiante, così pagò la sua ordinazione e si precipitò in strada. Aveva gli occhi lucidi ed il respiro ansante. Non si preoccupò nemmeno della leggera pioggia che bagnava il catrame immondo, riversando nell'atmosfera una nebbiolina maleodorante.
Le gambe lo trascinarono fino al porto della metropoli del crimine, non si rese conto di dove stesse andando fino a che non scorse davanti a sé le mastodontiche navi cargo ed i container di metallo.
Si bloccò in mezzo alla battigia: il cuore gli aveva preso a martellare nella cassa toracica tanto da sentirselo quasi in gola, solo un piccolo refolo di respiro gli usciva dalle labbra ed aveva un nodo alla gola. Le mani gli tremavano ed avevano iniziato a ricoprirsi di una leggera patina di sudore.
Stava avendo un attacco di panico.
Aveva paura e sentì le prime lacrime rigargli le guance, bollenti e silenziose. In quel luogo più di un anno prima era morto Luke. Immagini confuse e distorte della sparatoria gli si palesarono nella mente come un frustata.
Rivide sé stesso e l'agente Davis sulla volante, pronti per intervenire dopo una chiamata fatta da una vecchietta che dalla finestra del suo appartamento aveva visto dei tipi loschi aggirarsi per il porto.
Loro due erano gli sbirri più vicini a quella zona e non volevano aspettare i rinforzi prima di agire, erano sicuri che si trattasse solo di una gang di ragazzacci del quartiere vicino al distretto portuale. Con la pistola nella fondina, erano scesi dall'auto ed avevano intimato il piccolo gruppo di uomini di mettere le mani in alto per poi essere perquisiti.
Il primo proiettile aveva centrato un container alle spalle di Michael. I malviventi avevano estratto le armi ed avevano aperto il fuoco contro i due agenti di polizia. Il resto del flashback era confuso, Miller si ricordava solo il rumore assordante degli spari e le urla dei portoricani - che in seguito si erano rivelati essere lacchè di Sal Maroni, invischiati nel commercio di sostanze stupefacenti.
Con il fotogramma di Luke che si accasciava al suolo, trapassato da quattro pallottole di piombo, Michael si lasciò andare contro il cemento bagnato e sudicio del porto. Le sue ginocchia si infransero contro il calcestruzzo ed il suo corpo fu percorso da una serie di singulti rumorosi.
Pianse come non faceva da mesi, riversando tutta la tristezza che gli tormentava il cuore. Continuò a singhiozzare finché non si ritrovò gli occhi secchi e la gola arida. La pioggia gli scivolava gelata lungo la schiena e gli inzuppava la divisa della polizia.
Rimase con le pupille stralunate a fissare la calce grigiastra, fermo immobile. Solo i brividi per il freddo percorrevano la sua colonna vertebrale. Sentì l'eco lontano di alcuni passi che si dirigevano a gran velocità verso di lui, ma si risvegliò dal suo stato di catarsi solo quando una mano bollente si posò sullo sua spalla.
Alzò il volto e si ritrovò accanto un giovane ragazzo con gli occhi verdi che lo fissavano sgranati per la preoccupazione: "Ti senti bene, amico?" Gli domandò lo sconosciuto con apprensione nella voce. Michael si mise in piedi con lentezza, un capogiro gli percorse la testa e trattenne a stento l'ennesimo singhiozzo. L'altro lo aiutò a sostenersi e lo accompagnò al bar più vicino per fargli bere qualcosa di caldo.
Una volta avvolti dal piacevole tepore del Tom's Diner, Miller si concesse di osservare il buon samaritano che lo aveva raccolto dal cemento fradicio del porto. Era più giovane di lui, arrivava appena ai venticinque anni e lo scrutava timido. Anche i suoi vestiti erano zuppi e si domandò come mai fosse in giro a quell'ora della notte. I capelli castani gli ricadevano di lato, bagnati dalla pioggia ed aveva le guance rosse per il freddo. Le sue labbra rosee erano contratte in un smorfia stupita.
Il poliziotto mandò giù un fiotto di saliva e poi gli disse: "Grazie per avermi portato qui."
La divisa umida gli si era incollata alla pelle e mai come in quel momento si sentì inadeguato a rivestire il ruolo di agente, non doveva mostrarsi così debole. La risolutezza era una delle doti fondamentali per un buon sbirro, ma il ricordo del giorno in cui aveva visto l'amore della sua vita morirgli tra le braccia era stato uno shock troppo doloroso da affrontare.
"Adesso stai meglio? Io mi chiamo Kevin Keller."
La cameriera, una donna di mezza età con pesanti occhiaie e una crocchia disordinata sulla nuca, chiese loro cosa volessero ordinare e Kevin prese del té caldo per entrambi. Li lasciò da soli, seminando dietro di sé un alone del suo profumo dolciastro.
"Io sono Michael Miller." Gli sorrise leggermente e rimasero in silenzio fino a quando la signora non gli portò le due tazze con l'infuso bollente. "Mi dispiace averti fatto spaventare, ora va tutto bene."
"Vuoi parlarne? Dicono che confidarsi con uno sconosciuto dei propri mali aiuti molto, io non mi permetterei mai di giudicarti e per di più sono un ottimo ascoltatore." Keller bevve un sorso del suo té ed incrociò le braccia sul tavolo.
Michael sospirò, poi si fece coraggio ed iniziò a parlargli, aveva la voce impastata e la gola secca: "Io sono un poliziotto come avrai notato dalla mia divisa. Poco più di un anno fa ho perso il mio partner durante una sparatoria al molo, io e lui stavamo insieme. Ci amavamo, ci amiamo." Un singhiozzo gli uscì dalle labbra. "Da allora la mia vita è precipitata in un baratro da cui non riesco ad uscire. Ho sempre l'impressione di non avere una ragione per vivere, mi manca tanto e ogni giorno mi sembra più difficile di quello precedente."
"Perdere una persona amata è sempre un trauma, soprattutto se ti muore davanti agli occhi e se ti viene strappata via in modo così brutale. È normale che tu ti senta in questo modo, non è facile. Michael, tu ne parli mai con qualcuno di come ti senti? Oppure ti tieni tutto dentro fino a quando non ce la fai più e scoppi?"
"L'unica persona con cui ogni tanto parlo di Luke, è la mia amica e collega Brandy. Però lo faccio raramente, preferisco tenere per me il mio dolore e non condividerlo con nessuno." Miller si mosse a disagio sul divanetto foderato di ecopelle beige e si portò la tazza alle labbra per nascondere il suo imbarazzo.
Kevin lo osservò in silenzio per qualche istante e poi gli riferì: "Secondo me, è importante che tu superi la morte del tuo ragazzo. Non lo devi assolutamente dimenticare, devi semplicemente cercare di andare avanti con la tua vita e renderti consapevole di ciò che gli è successo. Io sono uno psicologo e se vorrai, potrò aiutarti ad accettare la morte di Luke. Era la prima volta che avevi un attacco di panico?"
Michael negò con la testa, sentendo ancora la sensazione di paura prendere il sopravvento nel suo corpo. Cercò di rilassare i nervi tesi, infondo quel ragazzo voleva solo aiutarlo e gli sembrava una brava persona. Chiuse per qualche istante le palpebre e si massaggiò le tempie, aveva la testa che gli scoppiava e la grossa quantità di alcool che aveva bevuto al pub non aiutava ad allontanare il senso di vertigini e capogiro. "Ti dispiace se adesso torno a casa?"
"Lascia che ti accompagni, non mi sembri nelle condizioni di andare in giro da solo." Kevin si alzò in piedi e lasciò una banconota da dieci dollari sul tavolo del diner. Accompagnò Michael all'uscita, cercando di non essere troppo invadente.
"Come mai eri in giro di notte?" Gli domandò Miller una volta che furono invasi dal freddo e dalla nebbia del vicolo in cui si trovavano.
"Quando non riesco a dormire per i troppi pensieri mi piace correre per il porto, lo trovo rilassante."
"Ci proverò anch'io allora." Si lasciò scappare una risata leggera e poi tornò cupo in volto. Intravedeva davanti a sé la grossa palazzina in cui abitava. Riconosceva la facciata scrostata e l'austero portone nero. "Io abito qui." Odiava quel quartiere malfamato di Gotham, ma era troppo doloroso lasciare il posto in cui era cresciuto ed aveva amato l'uomo della sua vita.
"Ti lascio il mio bigliettino da visita nel caso ti venisse voglia di venire a parlare un po' con me. Buonanotte, Michael." Kevin sparì nel buio della notte, lasciando dietro di sì solo una scia di profumo dolce e delicato.
Miller si affrettò a rintanarsi in casa, il freddo gli stava divorando le ossa ed i muscoli ed aveva solamente voglia di sdraiarsi tra le morbide coperte del suo letto.
L'appartamento era come lo aveva lasciato quella mattina: buio, l'aria stantia era irrespirabile e regnava il caos dappertutto. Ignorò quella decadenza e si rifugiò nella stanza. Non trovare Luke che dormiva beato a torso nudo gli faceva sempre male al cuore, sentiva una stretta attanagliarglielo. Si tolse la divisa fradicia e decise di indossare una maglietta del suo ragazzo, accompagnato da un paio di pantaloni della tuta. Avevano il suo profumo pungente e maschile e gli diedero l'effimera illusione di averlo accanto.
Michael si addormentò abbracciando il cuscino di Davis, con un macigno sul petto che gli rendeva impossibile respirare.
Gli tornarono alla mente le parole di una canzone rap che il suo amore ascoltava sempre. Lui odiava quella musica ripetitiva e troppo parlata, ma Luke andava matto per il genere hip-hop e ogni volta che si faceva la doccia o qualsiasi altra cosa, metteva le casse a tutto volume facendo innervosire Miller. Ora, l'agente di polizia rimpiangeva quei tempi sereni e spensierati.
Il testo e la melodia si materializzarono nella sua mente, chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dai versi che il suo ragazzo canticchiava sempre.
"I be feeling pain, I be feeling pain just to hold on.
And I don't feel the same, I'm so numb." *
* * *
NOTA:
* "I be feeling pain, I be feeling pain just to hold on.
And I don't feel the same, I'm so numb." SIGNIFICA "Proverò dolore, proverò dolore solo per tenere duro. E non mi sento lo stesso. Sono così insensibile."
(Estratto dalla canzone "Jocelyn Flores" di XXXTentacion, 2017)
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