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» diciassette



Brandy aveva denunciato la scomparsa di sua mamma alla polizia qualche giorno prima.
Gli agenti non sembravano più di tanto allarmati dalla faccenda e le avevano detto uno sterile faremo di tutto pur di trovarla, anche se in realtà non suonava affatto come una promessa. James Gordon l'aveva vista seduta difronte alla scrivania del suo collega Flass, con gli occhi rossi dal pianto ed un'espressione addolorata sul volto. Le aveva fatto cenno di seguirla nel suo ufficio ed avevano parlato a lungo.

Il sergente le aveva detto di rivolgersi a lui per ogni evenienza e non a Flass, perché avrebbe archiviato il caso una volta che lei avesse messo piede fuori dal commissariato. Jim le aveva promesso più di una volta che avrebbe trovato sua mamma e per la prima volta Brandy si sentì rassicurata. Gli aveva lasciato il suo numero di telefono ed il poliziotto le aveva promesso che l'avrebbe chiamata non appena fosse stato a conoscenza di qualche novità.

La giovane donna aspettava quella chiamata giorno e notte, con lo stomaco divorato dall'ansia.
Quando quella mattina il suo cellulare squillò, lo afferrò dal comodino con il cuore che le martellava in gola.
Aaron mugugnò infastidito dai suoi movimenti troppo repentini, ma non si svegliò.
Di notte non riusciva a dormire bene: i dolori alla spalla erano lancinanti, anche se stavano diminuendo, ed il turno all'Iceberg Lounge lo lasciava privo di energia.


"Pronto?" Brandy si alzò dal letto, infilò la felpa nera che il suo ragazzo aveva gettato alla rinfusa per la camera e si affrettò ad uscire dalla stanza. Raggiunse la cucina, la pelle delle gambe le si ricoprì di brividi a causa del freddo pungente di Gotham.

"Ciao, Brandy. Sono il sergente Gordon." La voce dell'uomo le arrivò alle orecchie come una secchiata d'acqua ghiacciata.
Appoggiò per un istante il cellulare sul ripiano in legno della cucina e respirò profondamente per qualche secondo, cercando di calmare l'affanno. Aveva paura.
Riportò l'apparecchio all'orecchio ed attese che lui parlasse: "Ci sei ancora, Brandy?"

Mormorò un sì, leggero come un sibilo nel vento. Poi Gordon le chiese di raggiungerlo al più presto alla centrale di polizia.
Non le disse nient'altro.
La ragazza scarabocchiò qualche parola su un bigliettino di carta per avvisare Aaron, Ivy e DJ che era fuori casa e si affrettò ad indossare un paio di jeans sgualciti ed una giaccia a vento.
Salutò Whisky con un buffetto sul muso e poi lasciò l'appartamento con un macigno che le opprimeva il petto. Il tono di voce del poliziotto trasudava cattive notizie.

La strada verso il commissariato le sembrò più lunga del solito, l'aria fredda le frustava il volto arrossato e le prime luci della città iniziavano ad accendersi lentamente. Non c'era anima viva in giro, era ancora troppo presto per chiunque per mettere il naso fuori dalla propria casa calda e confortevole.

Il cielo sembrava la tela di un pittore: i colori tenui ed aranciati dell'alba stavano lasciando spazio alle sfumature dell'azzurro, dando vita ad un gioco di tonalità chiare.
Brandy non prestò molta attenzione a quello spettacolo naturale, preferiva calciare i ciottoli sul marciapiede lercio come se ciò l'aiutasse a cancellare dalla sua mente ogni possibile scenario che l'aspettava nell'edificio della polizia. Nella migliore delle ipotesi vedeva sua mamma seduta su una sedia di legno sgangherata e con una coperta termica sulle spalle sottili. Il volto le si illuminava non appena scorgeva il viso preoccupato della figlia maggiore.

Cercò di farsi forza, varcò le porte a vetri ed il ricordo del giorno del colloquio con il sergente si fece spazio nella sua mente. Erano successe così tante cose negli ultimi mesi che a volte pensava di essere la spettatrice della sua stessa vita che le scivolava addosso velocemente.
Gordon l'aspettava nell'androne del commissariato. Uno strano silenzio regnava sovrano, c'erano solo lui e qualche altro poliziotto.
Tutto era fin troppo tranquillo.

"Ciao, Brandy." La salutò James non appena fu abbastanza vicina a lui. Si tolse gli occhiali e si passò una mano sul volto. Era stanco e nemmeno quella notte aveva dormito.

"Buongiorno, sergente Gordon."

L'uomo la invitò ad entrare nel suo ufficio. Brandy lo seguì in silenzio, le sue orecchie erano occupate solo dal rumore del cuore che le martellava frenetico nel petto. Si strinse nella felpa calda di Aaron e per un secondo il profumo della pelle del suo fidanzato la rassicurò.
Era maschile, dolce e fresco e la faceva sentire a casa.

"Stanotte ci hanno chiamato dall'isola di Narrows. Un coppietta stava tornando a casa e si è imbattuta in qualcosa in un vicolo. Era un sacco con dentro un corpo." Gordon si fermò per un'istante; Brandy aveva già capito tutto. "Pensiamo che sia tua mamma."

La bionda era sotto shock, non emise una sola parola e si limitò a fissare con occhi vacui il muro bianco scrostato alle spalle del sergente. Non poteva essere vero, senz'altro si trattava solo di un brutto scherzo. Rimase in silenzio per lunghi istanti, le lacrime le colavano sulle guance e sentiva l'ultimo briciolo di umanità che le era rimasto disintegrarsi per sempre. Sua mamma era l'ultima persona della famiglia che le era rimasta e la sola idea di perderla la faceva impazzire di dolore.

"Posso vederla?" Balbettò dopo un'infinità di tempo. Tirò su con il naso e cercò invano di non singhiozzare. Gordon annuì e la condusse nell'obitorio.
Jane era distesa sopra ad un grosso tavolo di metallo, coperta completamente da un lenzuolo bianco. Brandy si avvicinò lentamente al corpo privo di vita di sua mamma, le sembrava un incubo ed era sicura che prima o poi si sarebbe svegliata.

"Il coroner non ha ancora eseguito l'autopsia, anche se siamo sicuri che si sia suicidata e che qualche infermiere dell'Arkham abbia gettato il corpo in quel vicolo per evitare danni mediatici alla struttura." Jim sollevò il telo bianco e scoprì la figura fredda della donna.

Il suo volto era rilassato, sembrava quasi che stesse dormendo se non fosse stato per il sangue secco che le ricopriva una tempia e la guancia destra.
Aveva le palpebre serrate e le labbra contratte in un sorriso debole. Chissà se aveva ripensato a Brandy, a Violet e a Jason prima di morire? La divisa bianca dell'ospedale psichiatrico era sgualcita e sporca di terriccio. Brandy sollevò completamente il velo e solo allora vide i polsi di Jane. Le vene erano state tagliate, impregnando le maniche di liquido color cremisi.

"Ti lascio sola con lei. Fatti forza, Brandy." Gordon uscì dalla stanza e si richiuse lentamente la porta blindata dell'obitorio alle spalle.
Gli sembrava di essere tornato indietro negli anni, quando aveva sussurrato quella frase ad un ragazzino tredicenne che aveva appena perso entrambi i genitori e gli aveva appoggiato la giacca del padre sulle spalle: Bruce Wayne.

A volte quel lavoro gli prosciugava ogni singola energia e briciolo di umanità, non poteva nemmeno lontanamente immaginare come si sentisse in quell'istante la giovane donna. Aveva perso il padre e la sorella, perché erano stati uccisi dal capo mafioso della città, ed ora anche la madre era morta. Si era ritrovata completamente sola al mondo e lui le aveva detto fatti forza e le aveva tirato una pacca sulla spalla?

Aspettò pazientemente che Brandy dicesse addio alla signora Knight, fumando una sigaretta nel frattempo. Era vietato fumare all'interno del commissariato, ma a quell'ora di mattina non c'era quasi nessuno che lo avrebbe visto ed inoltre anelava con bramosia il sapore della nicotina sulla lingua.

"È impossibile che mia madre si sia suicidata." Aveva asserito con serietà la ragazza una volta che aveva avuto il coraggio di abbandonare il corpo freddo di Jane ed era uscita dalla stanza delle autopsie.

James si sistemò meglio gli occhiali sul volto e rispose, continuando ad aspirare il fumo: "So che sei sconvolta, ma è l'unica spiegazione plausibile. Era all'Arkham, perché aveva già tentato di togliersi la vita, lo sai anche tu. Qualche infermiere si è distratto e lei ha avuto l'occasione per tagliarsi le vene."

"È impossibile!" Ripetè la ragazza, alzando il tono di voce. "Prendeva gli psicofarmaci ogni giorno ed era sorvegliata a vista. Era completamente stordita dalle medicine. L'hanno ammazzata, Gordon."

"Calmati, Brandy. È normale che tu sia scombussolata, ma tua mamma si è suicidata, non c'è altra spiegazione. Vai a casa adesso e riflettici bene, prima di metterti in qualche guaio." Jim aspirò l'ultima boccata di fumo e poi buttò la sigaretta in un cestino dell'immondizia.

"Pensavo che fosse un uomo diverso, Gordon. Credevo che la giustizia fosse la cosa più importante per lei, ma mi sbagliavo. Io sono sicura che mia mamma non si sia uccisa e troverò il colpevole." Brandy lo fissò un instante negli occhi, quelli della giovane erano arrossati per il pianto. Poi si voltò ed abbandonò il commissariato.

*

Brandy si richiuse la porta di casa alle spalle e subito tre paia di occhi la squadrarono dalla testa ai piedi.

"Hey tesoro, cosa è successo?" Aaron si alzò dal divano e le andò subito incontro. La bionda non rispose, si gettò tra le sue braccia e si aggrappò con tutte le sue forze alla felpa rossa del fidanzato.
Le gambe le tremavano. Palmer la strinse a sé, accarezzandole dolcemente i capelli. La prese in braccio e la fece sedere sul divano, accanto ad Ivy e DJ. Per qualche secondo si fece confortare dai tre ragazzi, dando libero sfogo ai suoi singhiozzi ed alle sue lacrime.

"Mia mamma è morta." Quella frase aleggiò nel silenzio della stanza, nessuno aveva il coraggio di dire niente e comunque ogni parola sarebbe stata completamente inutile.
Aaron la strinse a sé, Ivy e DJ le presero le mani tra le loro.

"Se non vi dispiace vorrei rimanere un po' da sola." Brandy si slegò da quel reticolo di arti umani e si chiuse in camera sua.
Non uscì nemmeno quando Aaron la informò che Ivy aveva preparato la pasta con le polpettine per pranzo - il piatto preferito della bionda.
Rimase tutto il giorno sdraiata sul letto a fissare il soffitto, con lo sguardo perso e la testa piena di mille pensieri.

Si sentiva catapultata a cinque anni prima, quando era morta Vivì. Il dolore che aveva provato allora si era amplificato e le martellava vivo nel petto.
Per la prima volta in vita sua si rese conto di essere sola, nonostante ci fosse uno splendido ragazzo e due amici che considerava come fratelli nella stanza affianco, accanto a lei. C'erano solo Brandy e la sua sofferenza. Gli occhi ormai erano secchi, aveva versato tutte le lacrime che aveva in corpo. Riusciva a vedere solamente i visi dei suoi genitori e di Violet, il resto era sfocato. Le sorridevano tutti e tre e la incitavano ad essere forte per loro, ma era sicura di non riuscire più a farlo. Era sola adesso.

"Hey, Brandy." Aaron socchiuse piano la porta della camera. "Posso entrare?" Annuì solamente, incapace di emettere un verso che fosse diverso da un singhiozzo. Palmer si sedette accanto a lei sul letto e le prese la mano fra le sue.

"Io so come ti senti. Ho perso mia mamma Anne, avevo la tua età e nonostante siano passati tre anni, sento ancora la sua mancanza ogni giorno. Mi ricordo ancora quando siamo scappati di casa, ero solo un bambino cresciuto troppo in fretta e da allora mi sono preso cura di lei, fino a quando il cancro non me l'ha portata via... È difficile, ma mi piace immaginare che adesso sia in un posto migliore. Ha sofferto tanto, prima mio padre violento e poi la malattia. Vedila così: ora Jane è insieme a tuo papà Jason e alla piccola Violet. Sono felici, dall'alto ti guardano e sono orgogliosi della donna forte e determinata che sei diventata adesso." Aaron si asciugò una lacrima che gli era scivolata lentamente sulla guancia sbarbata e si sdraiò accanto alla sua fidanzata.

Brandy appoggiò immediatamente la testa sul torace del giovane uomo e chiuse gli occhi, concentrandosi solo sul suo respiro regolare e lento.
Si addormentò subito, stremata per quella giornata ancora lunga.

* * *


Il sole splendeva nel cielo.
Brandy era abituata alla pioggia incessante che si abbatteva continuamente su Gotham, anche al funerale di suo papà e Vivì aveva piovuto. Ma quel giorno era diverso: la palla infuocata scaldava tutti con i suoi raggi, su uno sfondo dalle mille tonalità dell'azzurro - proprio come gli occhi di Jane. Il rito funebre era stato breve e si era svolto nel cimitero cittadino. C'erano poche persone: Brandy, Aaron, Ivy, DJ e qualche volto sconosciuto alla ragazza. Riconobbe un paio di vecchie amiche di sua mamma e due infermiere del manicomio.

La bionda non aveva lasciato andare per un solo istante la mano del suo fidanzato e quando avevano calato la bara nella fossa, si era appoggiata alla sua spalla ed aveva versato le ultime lacrime che le erano rimaste in corpo.
Lei ed i suoi amici erano rimasti a fissare la lapide con inciso il nome ed il cognome di Jane Carter-Knight per minuti interi, poi aveva chiesto loro gentilmente di lasciarle dare l'addio alla sua adorata mamma.

Aaron era titubante e non voleva che rimanesse da sola, però si era allontanato su invito degli altri due ragazzi. Le aveva lasciato un bacio tra i capelli e si era girato più volte ad osservare la figura della sua fidanzata avvolta da un vestitino nero. Brandy si era asciugata gli occhi e poi aveva iniziato ad esprimere il suo dolore a voce. Le mancava già sua mamma e non era più sicura che ce l'avrebbe fatta ad andare avanti. Non adesso che era sola.

"Ciao, Brandy." Una voce maschile la fece sobbalzare. Non dovette neanche girarsi per riconoscere il suo interlocutore. "Vorrei porgerti le mie più sincere condoglianze."

"Grazie, Bruce. Grazie per essere venuto." Le parole tremarono leggermente nell'aria che sapeva di primavera, ma nessuno dei due ci fece caso. L'uomo l'affiancò e rimasero in silenzio ad osservare la pietra sepolcrale di marmo grigio. La foto di Jane era già stata posta accanto a quella di marito e figlia. Sorridevano tutti e tre: Jason era bellissimo, il suo viso non era ancora consumato dall'alcol, Vivì aveva l'aria tipica di una bambina spensierata e Jane era stupenda, con i capelli dorati che le incorniciavano il viso giovane.

"Ti assomigliano molto, soprattutto tua sorella Violet." Wayne era stato il primo ad interrompere il silenzio che si era creato nel cimitero. Gli amici della ragazza erano lontani e non potevano vederli. Brandy si voltò verso di lui ed osservò per qualche istante la sua figura austera ed elegante. Bruce indossava uno dei suoi completi neri, con la cravatta del medesimo colore e la camicia bianca. Gli sorrise timidamente, poi tornò a guardare la tomba.

"Mi mancano tanto." Gli confessò a mezza voce. "Vorrei davvero che adesso fossero tutti e tre qui con me. In ventitré anni della mia vita non mi sono mai sentita sola come in questo momento. Anche se Jane era all'Arkham e non c'era con la testa, era accanto a me ogni volta che le facevo visita."
La gola le bruciava leggermente: era la frase più complessa e lunga che aveva articolato in quei tre lunghissimi giorni di lutto in cui era rimasta chiusa in camera sua, con Aaron, Ivy e DJ che le facevano visita ogni tanto.

"Non è vero, Brandy, tu non sei sola. C'è il tuo fidanzato accanto a te ed i tuoi amici. Inoltre ci sono anch'io per te, anche se non mi vuoi nella tua vita." Bruce le sorrise triste, osservando il suo profilo. I capelli erano raccolti in una crocchia disordinata e gli occhi erano rossi di lacrime, ma ai suoi occhi rimaneva la creatura più bella che avesse mai visto.

Brandy si voltò verso di lui e lo abbracciò, senza aggiungere una sola parola. Rimasero stretti l'uno all'altra per diversi minuti, era il loro contatto più intimo, più significativo e carico di parole.
Poi uscirono dal cimitero in silenzio, Alfred attendeva Wayne davanti ad una lussuosa limousine nera e non appena vide la giovane donna le disse: "Le mie condoglianze, signorina Knight."
Lo ringraziò con un sorriso tirato ed un grazie appena sussurrato.
Il maggiordomo salì sull'auto e lasciò i due giovani da soli.

"Ricordati che per qualsiasi cosa sono qui per te, Brandy." Bruce le strinse le mani tra le sue e poi la salutò con un fugace bacio sulla guancia. "Non te l'ho mai detto, ma sei una ragazza forte e sono sicuro che ti riprenderai in fretta, anche se il dolore rimane per sempre."

Brandy lo abbracciò un'ultima volte e gli sussurrò: "Grazie mille per essere qui accanto a me."
Poi si allontanò, salutandolo con la mano. Aaron ed Ivy avevano osservato la scena da lontano.
Sul volto di Palmer era dipinta un'espressione contrariata, ma non poteva di certo fare una scenata alla sua fidanzata il giorno del funerale della madre. La Jackson invece aveva osservato i due con occhi diversi, conscia del fatto che Wayne e la sua migliore amica non sarebbero riusciti a stare lontano uno dall'altra.

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