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La notte non mi scomodai ad entrare nelle loro case per ucciderli: volevo che fossero coscienti che "ero io" ad averli uccisi, e volevo farli soffrire come loro avevano fatto soffrire me per anni.
La notte rimasi sveglia a fissare la luna nel cielo, malinconica. Mi ricordò l'anno in cui ero al mare con i miei amici, lontani mille miglia da casa mia. Guardavamo il cielo stellato e scherzavamo. Dopo quella vacanza di Agosto, non li avevo più visti e mi mancavano tantissimo.
Mentre meditavo, un gatto nero si avvicinò quatto quatto a me. Lo guardai e sorrisi. Avevo sempre amato i gatti, specialmente quelli neri. Cercai di farlo avvicinare ancora di più, lanciandogli un pezzo di pane che mi era avanzato. Lui lo annusò, esitando e guardandomi. Alla fine si strusciò su di me e cominciò a fare le fusa. Nonostante quello che dicessero sui gatti neri, io lo trovai dolcissimo, tanto da accarezzarlo e prenderlo in braccio. I suoi occhi azzurri mi incantarono. Avrei voluto portarlo a casa, una volta terminata la missione.
Lui si acciambellò sulle mie ginocchia e io gli grattai dietro le orecchie, continuando a guardare le stelle malinconica. In fondo, i miei genitori mi mancavano, ma non avevano mai capito quanto io stessi soffrendo in quella scuola. Dovevo andare fino in fondo.
Prima che potessi pensare ad altro, i miei occhi si chiusero, sprofondando nel sonno profondo.
Non era un sonno qualunque: mi sentii invadere dall'oscurità e dalla paura. Una voce che disse: "Vendicati!" mi fece sobbalzare. Ripresi fiato e mi guardai attorno. Era tutto ancora buio e silenzioso. Il cuore mi martellava nel petto. Di colpo, vidi... Mike! Era in piedi alla fine del vicolo ed era macchiato di sangue. Aveva ancora il buco profondo alla gola che gli avevo procurato e i suoi occhi erano rossi. La sua maglietta grigia era ormai diventata rossa sangue, come i pantaloni e le scarpe Adidas azzurre. Deglutii a fatica e sguainai il coltello da sotto il cartone. Lui alzò la testa e poi la gettò a un lato, come se non avesse più l'osso del collo. La sua mano si alzò verso di me.
«Enny...» disse con voce strozzata. «Enny...»
Non gli staccai gli occhi di dosso, finché non mi venne in contro e non mi gettò per terra. Io menai un colpo col coltello e il suo corpo di dissolse, evaporando nel nulla. Mi girai e rigirai, ma era sparito, come se non ci fosse mai stato. Era la mia immaginazione?
Subito dopo, davanti a me ci fu la ragazza che mi somigliava, che teneva per mano il corpo di Mile che sembrava essere ancora in vita. Lei aveva... O meglio, IO avevo i capelli davanti al viso e un sorriso maligno, la felpa nera come gli jeans e le scarpe da ginnastica macchiati di sangue. Nella mano libera il mio clone impugnava un coltello. Se lo portò alle labbra e fece "Shhhh". Mike la imitò.
«Presto tutto sarà più chiaro, Enny.» sussurrò lei dolcemente. «Metterai giustizia nel mondo e non soffrirai più di bullismo. Ricorda: dopo averli uccisi tutti, scrivi sui loro muri "It's me".»
«Perché?» chiesi.
«Per mandare le loro anime all'inferno!» sibilò.
Io annuii. «E dopo cosa farò?»
Lei sorrise. «Oh, nel mondo è pieno di teppisti e bulli che fanno del male a ragazze come te. Uccidili tutti. Vendica tutti coloro che hanno rovinato il mondo!»
«Sì. Lo farò.» sorrisi al mio clone e poi guardai il mio riflesso nella vetrina.
«Sono Enny Rose la Giustiziera! E nessuno mi fermerà!» dissi.
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