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3

La presidenza era una delle stanze più fredde dell'istituto. Un brivido freddo mi percorse la schiena, facendomi sentire ancora più spaventata da ciò che il preside poteva dirmi.
«Grazie, Meg.» disse lui alla bidella che se ne andò chiudendo la porta.
Il preside era seduto alla scrivania, con le mani incrociate. Era vecchio e arzillo, ma ci sentiva e vedeva meglio di un felino. Guardai per terra, fissando il mio zaino blu scuro.
«Siediti, cara.» disse piano.
Io ubbidii.
«Cos'è successo, Enny?» domandò, senza mostrare segni di sconvolgimento o shock.
Non risposi. Lo fissai per un attimo e poi mi incupii, guardandomi le fredde mani. Non mi accorsi di avere un paio di schizzi di sangue sulla felpa lilla.
«Enny... Ciò che è successo è molto grave. Devo sapere perché hai reagito così.» insistette.
«Mi prendeva in giro.» risposi alla fine.
Lui annuì attento. «Quindi ti sei vendicata?»
Annuii.
«È stata una reazione eccessiva, però. Non credi?»
Trattenni il fiato e lo guardai dritto negli occhi. «Non sono stata io. Non ero io a volerlo così tanto da metterlo in pratica.»
Il preside sospirò. «Tesoro, devo chiamare i tuoi genitori, e riferirgli tutto.» disse in tono calmo e serio.
Annuii. Non mi importava nulla di cosa avrebbero detto i miei genitori. In fondo, mi sentivo felice. Ora quel bastardo stava soffrendo, come stavo soffrendo io.
Il preside mi fece uscire. Io attesi fuori e i miei genitori arrivarono qualche minuto dopo.
«Enny, amore!» esclamò mamma. «Che è successo?»
Tacqui. Non sapevo cosa mi stesse succedendo, ma non avevo voglia di parlarne.
Dopo che entrarono, ci misero un'ora per parlare, e in quell'ora di meditazione accadde qualcosa di strano: c'era una ragazza simile a me nel corridoio che mi fissava. Aveva gli occhi rossi come il sangue, i capelli castani che le coprivano il lato destro del volto e un sorriso maligno, felice e psicotico. La fissai con occhi sgranati. Mi dimenticai dove mi trovavo. Tutto era come svanito intorno a me. Quella non smetteva di fissarmi. Rabbrividii, le luci cominciarono a spegnersi fino a lasciarmi al buio più totale. Mi alzai in piedi e guardai attorno a me. Non c'era niente. Il buio. La morte. Sentii il gelido tocco di una mano sulla mia spalla destra. Mi girai lentamente e vidi il mio sosia proprio dietro di me, la bocca intrisa di sangue e un coltello in mano.
«It's me!» esclamò con voce roca e malata, scaraventandosi su di me.
Non mi gettò per terra. Era come se mi avesse trapassato da parte a parte, per poi fermarsi dentro di me. Spalancai gli occhi, strofinandoli e sporcandomi mani e guance di mascara e matita nera. Addio trucco!
Avevo un obbiettivo: uccidere tutti i bulli.
"Trovali." Sussurro qualcosa dentro di me. "E uccidili! Scrivi con il loro sangue 'Sono io!' sul muro delle loro case."
Non ero più io, ma quella sensazione mi piaceva. Ero tentata di farlo. Avanzai verso il corridoio, quando vidi Mike passare con lo zaino in spalla. Si arrestò dall'altra parte del corridoio quando mi vide. «Ah! Maledetta psicopatica!» sputò fuori. «Te la farò pagare per il mio amico!» gettò il suo zaino per terra e mise i pugni serrati davanti alla faccia. «Sappi che io so' fare di meglio di un paio di forbici!»
Abbassai la testa. Una parte di me era spaventata. Infatti, lo fissai con paura, cosa che lo fece sghignazzare e ridacchiare. «Paura, eh?» mi aizzò.
Deglutii, quando quella sensazione di rabbia nel petto iniziò a farsi sentire. Serrai i pugni, sentendo le dita fredde sul palmo della mia mano. Mike cominciò a correre verso di me divertito, pronto a scagliarmi un pugno in faccia. Io lo fissai avvicinarsi e, dal nulla, apparve un coltello tra le mie dita. Mike era vicinissimo. Fece una risata e io gli piantai il coltello in gola. Schizzi di sangue imbrattarono la mia felpa e il mio viso. Serrai le labbra e lasciai che il coltello toccasse l'osso del collo. Mike fece un paio di scatti, le sue braccia si abbassarono e la sua bocca era aperta, rilasciando un odore terribile di cipolla. Il sangue gocciolò sul pavimento, creando una pizza rossa. Avvicinai il suo volto al mio viso e sussurrai:«It's me!»
Poi sfilai l'arma dalla sua gola e lui finì a terra, gemendo ed emettendo versi strozzati. Il sangue continuava ad ingrandire la pizza, in cui mi ci specchiai. Feci un sorriso. "D'ora in poi, la vittima sarà il vendicatore e i bulli saranno le vittime." Pensai.
Una signora anziana passò per quel corridoio e lanciò un urlo enorme. Cercò di chiamare qualcuno, strillando con tutta la voce che possedeva. Prima che mi beccassero, mi intrisi l'indice e il medio con il sangue di Mike e scrissi "It's me (Sono io)" sul muro.
Il preside spalancò la porta e l'allarme risuonò per tutto l'edificio. «Oh, santo Dio, Enny!» esclamò mia madre piangendo e strepitando dopo aver visto il corpo senza vita di Mike.
Strinsi l'elsa del coltello, mi misi lo zaino in spalla e corsi via, superando l'anziana signora che era sotto shock. Mi lasciai alle spalle la scuola e tutti i miei compagni, i miei genitori e il corpo di Mike, che avrei gradito di vedere all'obitorio.

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