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Menzogna

TORRE

Vengo trattato come se fossi un topo di fogna.

E sento di esserlo quando attraverso i corridoi sotto lo sguardo di quei cortigiani che sventolano come bandiere al vento più favorevole. Se fossi io re, ed Elania in questa situazione, non esiterei a trasformala nello zimbello nel quale mi ha imprigionato per farmi osservare da loro. Mylai Wyllin, l'inetto.

Lei presta troppo poterei ai suoi sudditi. Non dovrebbero neanche guardare negli occhi i reali, ma è troppo presa da sé per comprenderlo e senza accorgersene lascia il regno a scatafascio.

Governa male, ecco tutto. Costruisce imperi di bugie e cospirazioni, imperi di facciata. Tutto questo è destinato a crollare, lo fa sempre.

Sarò io a riprendere le giuste redini, giustiziando tutti coloro che in questo momento mi giudicano. Non sanno chi cammina sotto il loro naso e, tra poco, sotto i loro piedi.

Entro nel tempio, sorpasso la tomba, altra menzogna, e scendo le scale per arrivare nella cripta. Gli spiriti sono gli unici di cui mi possa fidare: li comando io.

Loro conoscono la storia e il presente. Il futuro no, perché quello lo dovrò creare con le mie mani quando sfumerà in quelle di Elania e della sua famiglia. Diana, Jeremy. Illusi, nessuno di loro comprende la verità.

La stessa che ho appreso durante il corso della mia vita passata.

Faccio scattare la serratura ed entro nel mio mondo. Mi piace tutto di questo posto che mi fa sentire a casa: la morte è la mia vita. Tutti ne sono spaventati, la odiano solo perché non l'hanno mai incontrata, ma può presentarsi sotto varie forme. Non esiste una sola fine definitiva, perché si muore anche mentre si vive.

E io sono morto per trent'anni agli occhi dei molti, e pochi lo sanno.

Tra questi, uno. «È sempre un piacere» saluto, quando la luce flebile si addensa in un solo punto.

E ne esce fuori lui. «Mylai» dice.

«Khrò».

Il suo solito manto grigio sudicio lo ricopre, e mi chiedo se cambia mai l'abito. Certo, il titolo di mendicante se l'è guadagnato anche grazie a questo. Quelli come lui hanno a che fare con ogni cosa, essendo dietro l'angolo di qualsiasi faccenda.

Ma è uno dei pochi rimasti con la magia.

«Quanto ci vuole ancora?» chiedo.

Incrocia le braccia. Se non si muovesse, sembrerebbe una statua sopra le tombe come quella infondo. Ma lui respira e, a parer mio, anche troppo. «Mi ha fatto sempre ridere la vostra inutile fretta. Tutto dev'essere compiuto il prima possibile, altrimenti uccidete. Tua sorella, tuo fratello. Tua madre, e le generazioni prima di voi. Ti sei mai chiesto perché Timeeria è l'unico regno dove non scorre magia?»

«Che sfoggio di sapienza» rispondo. «Ma questa storia non l'ho solo sentita: l'ho vista. Mezzo secolo è pur sempre qualcosa, ed è proprio da mezzo secolo che aspetto di far prendere la giusta direzione alle cose. Perciò?» Mi avvicino a lui. Deve sapere che non mi spaventa più dopo trent'anni.

Dove la colpa è solo sua.

«Non permetterò che accada un'altra volta, Mylai. Altrimenti tutto ciò che abbiamo trascorso sarebbe futile. Regnare non è il tuo destino».

«Lo so!» ridacchio. Poi faccio spallucce. «Ma che importa? Chi comanda il destino non è tanto meglio di me o di te, ormai. Possiamo infrangerlo. Tu hai infranto il campo sul quale ci muoviamo parecchie volte. Credi che il tempo sia un gioco?»

«Io non ho fatto più nulla. Al contrario, cerco di raddrizzare gli eventi così che niente succeda più».

«Ma ciò che è successo non può essere cambiato, no?» incalzo. Spolvero la superficie dei sepolcri con il palmo della mano. «Vedi, è esattamente questo che non mi piace della gente come te: siete ipocriti, contradditori. Create voi stessi dei paradossi che nessun'altro potrà mai riempire, e quando qualcuno propone un'alternativa...»

«Tu non sei l'alternativa, Mylai. Sei qui solo per errore. Il mio, al quale cerco rimedio».

Sfioro un nome inciso. «Sì? Ne sei proprio sicuro? Perché dall'ultima volta credo proprio che ti sia sfuggito qualcosa. Le variabili sono ciò che fa la differenza».

«Una differenza che si nasconde sottoterra. Da che ho memoria, sei sempre stato così. Come ha fatto il tempo a non cambiarti?»

L'osso del collo scricchiola quando inclino la testa. Agli occhi degli altri, Khrò è temuto, potente quanto un dio perché conosce tutto. Ma a me non fa alcun effetto. «Ancora non capisco come tu faccia ad essere vivo. Sai, sarebbe bello se morissi, potrei comandare il tuo spirito e sapere tutto quello che mi tieni nascosto».

«Riuscirei a sottrarmi anche in quel caso. Se non sei re, è perché sei un fallimento».

Annuisco. Queste parole non mi fanno più effetto per tutte le volte che le ho sentite. «C'è qualcosa che tutti vogliono, Khrò. Tu potresti tornare alle origini e proclamarti primo re di Timeeria e ignorare tutta questa faccenda. Perché non lo fai?»

Sento risalire una risata grottesca dalla sua gola. «Non è il modo giusto».

«Non esiste giusto e sbagliato, ma solo opportunità e profitto personale. E se credi che pensare così sia un fallimento, allora sei tu a non capire niente».

Khrò si guarda attorno, posando lo sguardo su ogni tomba. «Potrei dire che tutte le persone che si trovano qui l'hanno pensata come te. Ambizione oltre i limiti della decenza, smania di potere. Lo hanno avuto, sono morti. E guarda, che regno hanno lasciato?»

«Uno che devo manovrare». Sorrido. «Andrò all'Isola e verserò il sangue che irrigherà il flusso».

«Forse ci riuscirai, forse no. Tu credi che qualcosa mi sia sfuggito, ma forse lasciare le cose al loro stato naturale è la cosa più giusta. L'uso spropositato di potere porta sempre conseguenze, l'ho imparato dopo tutto. Ora tocca a te».

Il tempo di sbattere le palpebre, una luce si addensa al centro della stanza ingoiandosi nell'aria, e le orecchie mi fischiano. Rimetto a fuoco, Khrò si è smaterializzato.

Non importa ciò che pensa. Regnerò, qualunque cosa accada.

Faccio scorrere le unghia sul nome inciso nel marmo tombale, togliendo gli ultimi granelli di polvere che si ficcano al di sotto. Le dita sfiorano gli scavi sull'epitaffio.

Mykah.

Quante sono le bugie che vengono sepolte?


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