Il mondo fuori controllo
PEDONE
Sembra quasi che la carrozza voglia disarcionarci. Le ruote prendono tutte le fosse lungo la strada e comincio a sentire i nervi irrigidirsi sul collo mentre ci muoviamo come marionette sfilacciate.
«Ma stanno bene lì fuori?» chiedo retorico.
Clara arretra gli angoli della bocca. «Loro? E noi? Astrid vuole farci prendere tutti i fossi» commenta, tenendosi la nuca. «Mi vuole spezzare il collo, lo so» fa più piano, forse per non farsi sentire da lei e il cocchiere dietro la parete. «Ad Althea non farebbe alcuna differenza. A me la farebbe, invece, se con tutti i soldi che ha cambiasse i sedili» finisce decisa.
Passo la mano sul cuscino ingrigito accanto a me, al tatto pare vischioso, come se avesse accumulato anni di sporco senza mai essere toccato. Le do ragione con un cenno veloce. «Arancione» indico il tessuto, strofinando il residuo sporco sui polpastrelli. «Il colore di Keyos».
Fa spallucce, tirando su un sospiro dal naso. È leggermente pendente verso destra, mi accorgo, e le rende il volto più interessante. «Keyos non protegge dalla muffa, comunque. Le nostre mani servono sempre» poi scuote la testa. «Io non voglio entrare in un culto» fa, guardando fuori dal finestrino. Ha già tirato la tenda per fare entrare un po' di luce, ma oggi la giornata è annuvolata e mi stringe sulle tempie. Mi stringe sulle tempie anche quando so già che c'è qualcosa che non va: il caso però non è questo. Sono stato trasferito con Clara nella Gilda dei Veli diretta da Althea Wyllin.
Non ti fidare.
«Non lo è» dico di botto. Sbatto le palpebre, prendo un respiro, e mi tolgo dalla mente le mani di mia nonna che mi lasciano andare. «È solo molto credente».
«Per forza» rincara. «Una regina madre non può non esserlo, sopratutto se è Wyllin» sbuffa, poggiandosi contro lo schienale, e accenna un sorriso ironico. «Ladri».
Mi mordo le labbra. Ladri. Loro sono dei ladri di libertà, di poteri, e Clara ha deciso di venire con me. È colpa mia se non potrà più usare il suo veleno, una volta varcato il confine. «Grazie per aver accettato» le dico, deglutendo. Le guance mi si fanno rigide, un po' per la vergogna e un po' per la gratitudine, anche se mi sembra di essere un vigliacco a ringraziarla. Grazie per aver ceduto la tua libertà per me. Sono destinato a essere un peso perenne, probabilmente. Vivo in una società che mi rifiuta perché sono nato così, senza ciò che loro desiderano, così rappresento la paura che li annienta e la paura che li fa sentire meglio con loro stessi: si può nascere senza capacità, eppure sono salvi.
Io sono l'anello debole, il difetto e il non voluto. «Io ci sono nato senza, non so cosa voglia dire per te».
Clara scuote violentemente la testa, i capelli le vanno davanti agli occhi. Mi prende le mani e le stringe. «No, Jer. Non avrei mai voluto rimanere sola lì, in quel rudere. Preferisco perdere i poteri e rimanere con te» sorride. «Alla fine non potrò più avvelenare nessuno facilmente» aggiunge. «Mi insegnerai tu».
«A non averli?» abbozzo anche io un sorriso che mi fa male.
Io sono il difetto. Ma io posso guardare il mondo così com'è, senza nessuna lente. Sarò il loro miope, godendomi il sole sulla pelle senza la necessità di dirottare i raggi, posso sentire il vento accarezzarmi senza doverlo manipolare. Credo sia questo il bello, nel vivere così. E vivendo così ho imparato a stare solo, e forse lo preferisco. Tutti danno per scontato che si abbiano dei genitori o una famiglia, è una cosa che li accomuna, molti discorsi iniziano da lì.
Ma io non ho nulla e non so mai come iniziare.
E a Timeeria sono tutti come me, anche se per ragioni diverse. Vogliamo sentirci parte di qualcosa, è un dato di fatto, non avrei mai potuto rifiutare: se lo avessi fatto, sarebbe stato molto più pericoloso. Nessuno vuole mettersi contro la regina madre di Timeeria, e se chiama bisogna andare.
A trattenermi, comunque, non è niente. Mi sono già domandato cosa avrei da perdere e la risposta è stata immediata. Ho sofferto per tutti i giorni, pugnalandomi al ventre per ogni ricordo fulmineo. Poi, un giorno, il pugnale non aveva più carne da macinare: ha solo smesso. Oppure, come per tutto il resto, non l'ho sentito più e niente ha avuto più motivo di importanza.
Guardo la sacca come per affermarmi. Se è quasi vuota, una ragione deve esserci.
«So che lì hanno di tutto» dice Clara, dando delle pacche leggere alla sua bisaccia. «Quindi anche io ho tolto un po' di cose, prima di partire».
«Non abbiamo nulla» comincio, «ma almeno non abbiamo nulla insieme» sorrido, chiudendo gli occhi. Sento la carrozza che si sposta in avanti, e penso che ci muoviamo solo per scrollarci di dosso il nostro passato. Sappiamo che non lo farà, ma ci speriamo sempre.
Poi un rumore secco.
È come se tutto diventasse troppo pesante per essere osservato normalmente, quindi il mondo attorno a me e Clara rallenta. Non ho più il sedile di sotto, il corpo fluttua leggero ma le ossa della schiena sembrano schiacciarsi sotto qualche forza. Lo stomaco mi si annoda perché capisco cos'è successo quando sento quel rumore di nuovo.
Le ruote sono state manomesse.
In un secondo i muscoli mi esplodono per la tensione e vengo sbalzato sul tettuccio, il cranio scricchiola. Vedo tutto bianco mentre ricado giù insieme a Clara dopo la prima giravolta della carrozza, che si schianta senza fermare la centrifuga.
Penso così tante cose che la mente si annulla e non sento più la pelle.
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