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IV ~ JAMES




Mi sorride.
Dovrebbe sorridere più spesso, vorrei dirglielo ma credo mi sputerebbe in un occhio.

«Fosse così semplice Hemmings.»

«Anch'io sono maledetto. Siamo un bel casino, non trovi?» mi guarda incuriosita e sembra trattenere un altro sorris .

«Immagino tu non sappia che cosa ci sia qui dentro.» indica i mobili alle nostre spalle.

No. Che razza di domanda è.

«Ti ho messo una camicia a caso appena ti ho portato.»

«M-mi hai vista...» le guance le si colorano di un timido rosso e incrocia le braccia di fronte al torace.

«Non sei la prima ragazza che ho spogliato e comunque avevi la biancheria addosso.» continua a fissarmi, sembra stia morendo dall'imbarazzo, non comprendo la ragione. Le ho appena detto che non l'ho vista nuda.

«Hai capito che non voglio scoparti, vero?» in realtà vorrei.

«Disse il ragazzo che si trovò nella stessa camera di una ragazza che vestiva soltanto un asciugamano.» accenna ad un riso, alzando un sopracciglio.

«Va bene, esco.»

«Davvero? — risponde d'istinto, per poi correggersi subito — Cioè, sì grazie.»

Questa è davvero strana.

«Va bene... se vuoi che rimanga basta dirlo.» inizio provocante, sorridendole.

«No!»

«Ho capito, ho capito. Ti aspetto di sotto.»

Esco e mi chiudo la porta alle spalle. Sorrido pensando alla conversazione appena avuta e tiro fuori il cellulare.

James
Fermati a cena da me e chiama Will.      ✓✓


Scendo di sotto nel soggiorno e mentre passo davanti lo studio, il cellulare suona.
Riconosco questo suono.
Non è la notifica di un messaggio.
Entro nello studio con calma, deve trattarsi di un errore. Sposto un'asse sulla parete, scoprendo un piccolo dispositivo nero su cui digito il codice di sicurezza. Richiudo e prendo il cellulare che si connette immediatamente al sistema.
È impossibile.
Dice che qualcuno si è avvicinato al parco ed è uscito dai confini dieci minuti dopo. Che senso avrebbe poi? Preferisco controllare di persona perciò decido di fare una passeggiata.


Dovrei prendermi dei cani da guardia o qualcosa del genere. Si gela. Clarisse è a casa, non voglio lasciarla sola, il timore che sia una trappola c'è, ma è più rischioso portarla qui con me. Non voglio che la voce si sparga subito. Deve riprendersi da quello che ha passato al Bardouk Bambol, quel piccolo e angusto regno di quel senza cervello russo.


Faccio scattare la serratura e mi tolgo il cappotto. Sembra sia stato un falso allarme.

Dentro si sta bene al caldo.

Quando arrivo in cucina non sono sorpreso di vedere Clarisse a tavola che si mangia un biscotto.
Mi fermo un istante ad osservarla prima di entrare. Ha addosso una maglietta larga bianca con la scritta Hard Rock Madrid al centro, le sta così grande che le casca giù da una spalla, su cui passa la bratellina bianca del reggiseno. I capelli sono ancora un po' umidi e leggermente ondulati. Gli occhi sono grandi e scuri ma ora che li vedo illuminati dalla luce sembrano essere attraversati da pagliuzze dorate; gli stessi occhi che mi stanno fissando esattamente in questo momento. Distolgo lo sguardo, anche lei fa lo stesso, ed entro.

«Vuoi qualcosa di più pesante?» chiedo.

«Per ora sto bene così, grazie lo stesso.» mi ringrazia, perché mi ringrazia? Ha appena rifiutato.

Ha mangiato quasi metà del secondo biscotto quando si blocca. Penso voglia dirmi qualcosa ma si limita a fissare il vuoto di fronte a se'. Prendo una borraccia, contenente della spremuta d'arancia rossa, dal frigorifero.

«Vuoi del succo?»

«No, scusami-» si alza barcollando e si porta una mano sul torace e un'altra vicino alla bocca.

«Dov'è il bagno» riesce a chiedermi, sembra proprio stia per sboccare.

Le indico il bagno e la seguo preoccupato. Non ho pensato potesse essersi ammalata in quella cella del cazzo. Dovevo farla controllare. Anzi, dovevo tirarla fuori da lì prima.

Si lascia cadere vicino al cesso e si stringe un braccio attorno alla pancia.

«Non trattenerti, butta fuori. Ti sentirai meglio.» mi sposto alle sue spalle e mi piego sulle gambe per starle vicino.

Dovrei accarezzarle la schiena? Si spaventerebbe oppure ne approfitterebbe per vomitarmi addosso.

«Mi sento solo un po'... nauseata. È da un po' che non mangio zuccheri e ieri quello mi ha dato due calci all'altezza dell'addome-»

«Chi ti ha dato, cosa.» scandisco il più tranquillamente possibile quelle parole, trattenendo la rabbia, eppure la sento trasalire alle mie parole.

«Non so chi sia e non importa. Non arrabbiarti.»

«Che diavolo significa che non mi devo arrabbiare? Pensavo fossi al sicuro in quel posto.»

Rimane in silenzio e il suo comportamento in tutta onestà mi infastidisce. Come fa ad avere così poco rispetto del suo corpo? Mi alzo e dio, sarà meglio che Luke e Will si sbrighino prima che esploda.

«Al sicuro? Solo un pazzo giudicherebbe quel luogo sicuro.»

«Tieni a freno la lingua Petrovich.» ringhio, stringendo i pugni senza voltarmi.

«Quando mi minacci almeno abbi il coraggio di guardarmi negli occhi.» continua.

Ora vorrei soltanto che tornasse ad essere la ragazza paurosa di prima.

La lascio in bagno e ritorno in soggiorno.
Accendo il televisore e trovo un'amichevole di football. Alzo un po' il volume, provando a concentrarmi sulla partita e non alla ragazza per terra nel mio bagno.
Il cellulare suona: un messaggio.

Luke
Alle 5 siamo lì. Will ha ordinato del messicano per cena.

Appena termino di leggere, non faccio in tempo a scrivergli di raggiungermi prima che sento un forte rumore dal bagno.

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