II ~ CLARISSE
Era un incubo diverso dagli altri.
Semplicemente perché non riuscivo a distinguere la realtà dai sogni. Fossero stati dei sogni a lieto fine, con un principe azzurro e un castello, li avrei graditi.
Urlai, supplicando, ero consapevole del fatto che nessuno sarebbe accorso. Non mi era rimasto nessuno. Non hanno risparmiato nessuno.
Eppure sentii due braccia stringermi e ricordarmi che era tutto nella mia testa.
«Clarisse calmati, tranquilla...»
Mi voltai di scatto verso quella voce straniera a me e i miei occhi rimasero intrappolati in uno sguardo glaciale. Avrei voluto non ricordare ma sapevo esattamente chi fosse.
«Non toccarmi! Stammi lontano.» lo spintonai allontanandolo da me e scesi dal letto.
Un letto. Quanti giorni avevo riposato su un materassino da due soldi? E ora, che rivedevo un letto, sapevo, che era lì per portarmi via tutto ciò che mi rimaneva.
«Dovresti mostrarmi un po' più di gratitudine.»
«Sei un mostro.» mi lasciai sfuggire. Mi coprii subito la bocca con le mani, lui si stava guardando attorno nella camera e non si accorse del mio gesto.
«Io che ti salvo da quegli esseri di merda sarei il mostro?» tornò a guardarmi, esaminava il mio fisico, lo trovai molto irritante.
«Mi hai comprata.» pronunciarlo ad alta voce fu una fitta al cuore, fu come arrendersi a tale posizione, a tale destino.
«Perché c'era un altro modo per tirarti fuori da lì?» era così dannatamente calmo.
«Smettila.»
«Di fare cosa?»
«Di parlare, di respirare la mia stessa aria.»
«Il fatto che ti abbia comprato credo mi dia dei vantaggi su di te.» aggiunse come se niente fosse.
Mi aveva comprato. Ero sua. La paura mi invase.
«Perché? — piansi, dandogliela spalle — Perché la mia famiglia? Perché me?»
Sentii i suoi passi avvicinarsi, mi chiesi se valesse la pena provare a scappare. Ma era da me scappare?
Mi restava una carta da giocare.
«Quanto mi hai pagata? Quanto vuoi? I soldi non mi mancano.» mi asciugai le lacrime, non volevo mostrarmi debole.
«Non ti sei chiesta perché sei ancora viva? Nessuno è interessato ai tuoi soldi. Vogliono te, vogliono l'impero di tuo padre.» vogliono, vogliono, vogliono... e lui era l'eroe, ovviamente.
«Tu lo vuoi. — la sua mano mi toccò il braccio ed entrai nel panico, non mi resi conto di quanto si fosse avvicinato — NO. NON TOCCARMI.»
Le sue mani strinsero più forti e più decise i miei polsi e mi tirò verso lui.
Sulle labbra sentivo il sapore delle mie lacrime. Lo pregai di lasciarmi con la voce rotta dal pianto.
«Non tremare.»
Stavo tremando? Non riuscivo a smettere. Come faceva a non capirlo?
«Solitamente le ragazze pregano per essere al posto tuo.»
«Non sono come le altre ragazze.» tentai di ritirare le mani ma la sua stretta era ferrea.
«Per questo, qui, ci sei tu e non qualcun'altra. Non tremare, smettila di aver paura.»
Una sua mano cominciò a scendere lungo il mio viso. Lo alzò e mi studiò. Tenni lo sguardo lontano dal suo.
«Sei piena di lividi. Cosa ti hanno fatto?» il suo tono si fece più premuroso. Mi ravviò una ciocca dietro l'orecchio e rabbrividii.
«Sto bene...»
«Cosa ti hanno fatto Clarisse? La scorsa notte hai perso i sensi.»
«Se t'interessa sapere se sono vergine, sappi che lo sono.» la sua stretta si ammorbidii attorno ai miei polsi.
«È per questo che hai paura di me? Pensi che ti voglia violentare?»
Cercai i suoi occhi senza comprendere le sue parole. Sentii le gambe farsi pesanti, avevo bisogno di sedermi.
«Non volevo prepararmi per il mio nuovo padrone e conquistarlo per guadagnarmi la mia libertà, perciò sono stata punita.» sostenni il suo sguardo, quasi con sfida, ma il mio cervello si stava riconnettendo col resto del mio corpo e quest'ultimo non si trovava in ottime condizioni. Con le mani gli strinsi delicatamente le braccia e mi appoggiai a lui. Mi stava praticamente sostenendo.
«Non voglio fare niente del genere. Te lo giuro, ti prego non-» non ce la feci a concludere, non riuscivo a pronunciare quelle parole.
«Non ti toccherò, lo vorrei, ma non ho intenzione di farlo. Sarai sotto la mia protezione. Nessuno, e ripeto nessuno, ti farà del male e uscirà vivo da questa casa-»
Ebbi un giramento e non riuscii a sentire il resto della frase. Lo sentii sostenermi senza alcuno sforzo e non opposi resistenza. Non potevo contare sulle gambe.
«Non ti reggi.»
«M-mi dispiace.» mi avrebbe punita, dovevo riprendermi. Smisi di tenermi alle sue braccia. Barcollai indietro.
«Cosa? No. Ti tengo io.» una sua mano si alzò e istintivamente mi voltai convinta che stesse per picchiarmi. Aspettai qualche secondo, non sentii nessun impatto. Tornai a guardare la sua mano. Era ancora lì, se la stava per passare tra i capelli.
« Clarisse, non voglio picchiarti.»
Mi sentii così confusa e stupida.
«Puoi darmi un po' di fiducia.»
«Il ragazzo che credevo mio amico ha tradito me e la mia famiglia. Tu mi hai comprata...»
«Non sono come gli altri ragazzi.»
Abbassai lo sguardo, infastidita dai suoi occhi.
«Quando nasci in una famiglia come le nostre, è nel mestiere esser da sempre preparati.» lasciò in sospeso la frase, afferrai il concetto.
Muoiano i nostri corpi ma non noi. Ma questa frase non vale, non vale in un omicidio.
Nascosi il viso sul suo petto e piansi, abbassando del tutto la guardia nonostante quei pochi neuroni sobri che continuavano a gridarmi di star attenta.
«Dovresti riposare.»
«Ti prego stai zitto.»
Lui ricambiò il mio abbraccio e questo mi fece sentire meglio.
Passò molto tempo, lui rimase lì, ad abbracciarmi e le sue mani mi accarezzavano. Non disse alcunché, gliene fui molto grata.
«Voglio tornare a casa.»
Nessuna risposta.
Dovevo andarmene, ero sua? No. Questo no. Non ero di nessuno. Sono e sarò sempre padrona di me stessa. Quel vecchio aveva ragione, io sono Clarisse Petrovich e non posso dimenticarlo ma perché una parte di me si sente protetta da questo individuo?
«Non tremare bambolina. Non avere paura.»
La sua voce era persuasiva e dominante. Il mio orecchio fu sul petto. C'era un cuore. E batteva.
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