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capitolo 52-prima parte

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Nascondendosi nelle ombre del palazzo abbattuto, Justin aspettava pazientemente il passare del tempo con la schiena premuta contro la parete stracciata. Colpendo le ceneri dal fondo della sua sigaretta, inalò un altro giro di fumo, lasciandolo riposare nel suo petto prima di soffiare fuori e farla volteggiare ancora in aria senza fine. 
Goccioline dal lavello rotto in cucina risuonarono in tutto lo spazio vuoto, aggiungendosi alla strana sensazione. Dentro era scuro, nessuna luce tranne la piccola lampada che aveva messo accanto ai suoi viveri per la notte.
Era passata mezzanotte, i grilli che si nascondono sotto i cespugli fuori, suonano al freddo, mentre piccole automobili guidano avanti e indietro per le loro aree disegnate.
"Sta arrivando" Bruce entrò dalla porta finendo la chiamata e mettendo il suo telefono nella tasca posteriore dei suoi jeans. "Sei sicuro di volerlo fare da solo?"
"Ne abbiamo già parlato" disse sgarbatamente, i suoi occhi scuri si illuminarono per la luce della luna attraverso le tende messe alle finestre sporche mentre prendeva la sigaretta dalle sue labbra. "Cole è mio"
Facendo cadere il fumo per terra, lo colpiva con la suola della sua scarpa prima di gesticolare verso l'ingresso, "ora presta attenzione"
Il tintinnare delle chiavi della macchina si sentì fino all'altra parte della porta e tutti si fermarono, aspettando il momento perfetto per colpire.
"Abbiamo due borse piene di erba qui e qualche mucchio di cocaina" borbottò uno di loro tranquillamente, "Lyndon ha detto che li voleva tutti per la spedizione di stanotte"
"Ok, bene, allora sbrigati e prendilo prima che sia troppo tardi e che lui abbia le nostre teste in un piatto d'argento" Premendo la chiave nella fessura prima di girare e spingere la porta aperta, non passò molto tempo prima che Bruce prendesse Peter per la testa e Cole venisse colpito in testa.
"Legatelo" borbottò Justin guardando Marcus che prendeva Cole sotto le braccia e lo trascinava in un'altra stanza. 
"Cosa cazzo è questo?!" ringhiò Peter con rabbia mentre cercava di combattere contro la presa su di lui. Con le sue braccia adesso attorcigliate dietro la sua schiena, strinse i denti insieme, gli occhi spalancati come un cervo catturato dai fari.
"Oh questo?" Justin stette muto per un secondo, "questo è solo un agguato, ma vedi, cosa succederà dopo?" Rise sarcasticamente con le sue labbra contratte in un sadico sorriso, "questa è una cosa chiamata karma e tu ne avrai un buon assaggio molto presto" Per quanto riguarda Bruce, la sua faccia era "portalo fuori di qui"
"Non te ne andrai via con questo" disse lui mentre loro cominciarono a buttarlo fuori dalla stanza "Ti troverà e ti ucciderà!"
"Pensi che me ne freghi un cazzo di ciò che il tuo capo pensi?" gli gridò Justin, "pensa di nuovo" Lanciando un rotolo di nastro adesivo verso di lui, annuì verso Peter, "sigilla la sua bocca così non dovrò sentirlo per tutta la strada da qui" 
Strappando un pezzo di nastro, lo misero intorno le sue labbra prima di scomparire dietro la porta.
"E' legato sul soffitto" grugnì Marcus mentre si asciugava le mani pulite sui jeans. "Dategli un'ora o giù di lì e lui dovrebbe svegliarsi, non l'ho colpito così forte da stare k.o più di un'ora"
"Bene, vai ad aiutare Bruce a prendersi cura dell'altro. Ho tutto sotto controllo" Lasciato solo, Justin camminò nell'altra stanza, pronto per mettersi a lavoro. 
Aveva aspettato questo momento da quando gli Snipers avevano messo piede a Stratford. La vendetta era ciò in cui era più bravo e questa volta non si stava fermando. Lui gli aveva dato possibilità dopo possibilità volendo essere una persona migliore per Kelsey, ma con lei fuori dal gioco, non c'era niente che lo tratteneva dall'uccidere ognuno di loro. 
Riempendo un secchio con acqua fredda, si assicurò di aspettare fino a quando non avrebbe sentito un suono prima di tirarla in testa a Cole. "Wakey, wakey" gridò, la sua voce tonante mentre ridacchiava a se stesso, "andiamo, lo so che sei sveglio"
Lamentandosi, Cole scosse la sua testa, respirando pesantemente mentre sbatteva le palpebre cercando di dare un senso a ciò che stava accadendo attorno a lui "Cosa succede?"
Battendo le mani, Justin le strofinò insieme, "questo è un segmento che mi piacerebbe chiamare "prendere due piccioni con una fava" e non crederai mai chi è il protagonista di ciò! Si, proprio io, Justin Bieber con i suoi ospiti speciali, Cole Santangelo e Peter Costentino!" Fingendo un applauso mentre sibilava come se ci fosse una folla che li circondasse, lui sorrise, lasciandoli cadere al suo fianco.
"Si inizia con qualcosa di piccolo come questo" afferrò rapidamente un coltello dal suo vassoio di utensili prima di squarciarlo sul viso. "E questo" colpendo dopo la sua gamba, guardava mentre Cole urlava dal dolore.
Eliminando qualsiasi forma di divertimento dal suo volto, andò verso il carro che avevo ruotato il giorno prima, aggrappandosi ai bordi e guardando verso di lui "questo è un assaggio di ciò che ti farò. Vedi, sono giunto alla conclusione, tu mi hai torturato abbastanza, io farò la stessa cosa a te - solo che, questa volta, tu morirai e io amerò ogni singolo secondo di ciò"
"Sei debole" sputò accanto a lui, nient altro che invidia nei suoi occhi per l'uomo che sembrava stare in altro anche dopo aver preso tutto da lui.
"Vedi, qui è dove sbagli" prese una chiave, prendendo atto di come è stato grosso mentre scrutava Cole. "So che non ti hanno insegnato a essere così ingenuo e stupido. Io ho avuto la mia reputazione quando ero bambino perché non me ne fregava un cazzo, e nel corso degli anni potrebbe essere cambiato, ma graazie a Lyndon, ho imparato che questo non aiuta affatto. Lui potrebbe aver pensato che stava facendo un favore, ma in realtà, tutto quello che ha fatto è stato assicurarsi che io non sbagliassi di nuovo."

Prendendo la chiave, Justin tornò verso di lui prima di oscillare e colpendolo nella parte posteriore del ginocchio.
Urlando come un'esplosione che echeggiava nelle loro orecchie, Cole tirò contro i suoi vincoli mentre un ghigno soddisfatto si abbinava alla soddisfazione che Justin sentiva dentro.
Colpendolo di nuovo nello stesso punto con il coltello, Justin si assicurò di tirarlo su; strappa la pelle aperta fino alla coscia prima di tirarlo fuori e fare lo stesso con il suo altro ginocchio. "Questo è per Kelsey," sussurrò minacciosamente al suo orecchio, "e tu meglio che credi che sto per farti tornare per scopare anche con mia madre."
Scambiando la chiave per un paio di arraffatori di metallo che erano stati precedentemente tenuti su una torcia per causare più danni. Prendendo il coltello, si strappò la camicia aperta prima di straparlo dal suo corpo e tagliando il suo stomaco, il sangue fuoriusciva dalla ferita mentre gocciolava e incontrò una piscina già creata sotto di lui.
Gettando la testa indietro in agonia, Cole ringhiò abbondantemente, scavando i denti nella pelle del labbro così forte che trafisse la sensibilità, assaggiando il sangue nella sua bocca.
Raccogliendo l'angolo della sua pelle, Justin strappò la pelle verso il basso senza esitazione, rivelando lo strato fresco sotto mentre grida riempivano l'aria ancora una volta.
Tirando le restrizioni, un forte ringhio aggressivo fu sentito da sopra mentre Justin tornava per iniziare l'illuminazione della fine del trimmer di acciaio. 
"Ho intenzione di ucciderti, cazzo" sputò il sangue di fianco a lui, i suoi occhi stanchi minacciavano di chiudersi mentre combatteva per tenere lo sguardo feroce di Justin. 
"Non sei niente adesso, e continuerai a essere niente a lungo dopo che sarai morto" Tagliando il suo stomaco, Justin usò i grabbers per lacerare la sua pelle aperta ancora una volta; lentamente ma certamente, lo scuoiò vivo come promemoria di tutte le minacce che gli aveva fatto prima di questo momento.
Aveva giurato su tutto quello che aveva amato che li avrebbe presi per tutto il dolore e la sofferenza che avevano causato non solo a lui, ma alla sua famiglia. Non riguardava più soltanto lui, riguardava tutti.
Un paio di anni fa, probabilmente non si sarebbe mai aspettato questo - di prendersi cura di qualcun altro oltre a sè stesso. La parola "famiglia" non era nel suo vocabolario e l'amore era solo una parola pronunciata allo scopo di ottenere qualcosa, ma ora - era tutto per lui.
"Hai tracciato una linea quella notte pensando di poter perseguitare le persone di cui mi importa e di non doverti preoccupare delle conseguenze" Facendo un passo indietro mentre Cole cominciava a indebolirsi, Justin guardava il suo corpo che lentamente cominciava a fermarsi prima di emettere il suo ultimo respiro e morire completamente.
Prendendo il telefono dalla tasca, compose un numero.
Girando intorno, Bruce sbirciò da sopra la sua spalla mente raccoglieva il telefono e lo teneva al suo orecchio, "pronto?"
"E' morto."
Silenzio.
Urlando nel nastro premuto contro le sue labbra, Peter combatteva contro le corde che legavano i suoi polsi, ma era inutile perchè loro continuamente gettavano lo sporco su di lui.
Bruce annuì, "stiamo per finire anche qui"
Erano passi tre giorni da quando Justin aveva visitato Kelsey l'ultima volta e la tensione nell'aria era più grossa che mai. Lei si rifiutava di mangiare, non essendo in grado di digerire qualsiasi cosa dopo la rottura. Questo la uccideva dentro più di quanto tutti si sarebbero immaginati e nonostante suo padre, sua madre e Carly cercassero di aiutarla a superarlo, Kelsey rimaneva distrutta.
Lei piangeva prima di addormentarsi la maggior parte delle notti, stringendosi nel tessuto delle lenzuola in cui era al posto delle braccia a cui era così abituata.
Lei non capiva come qualcuno che ha detto di amarla per così tanto tempo potesse lasciarla come se gli ultimi quattro anni non fossero significati niente per lui, come se lei non significasse nulla per lui, ma nel profondo, lei sapeva che questo era solo un atto.
Justin lo ha fatto quando le cose iniziarono a essere dure; lui avrebbe agito fuori e avrebbe perso di vista le cose che non ha mai saputo come controllare. Si incolpava per molte cose, incluso l'essersi fatto coinvolgere con lei, se solo lui sapesse, le loro discussioni anni fa erano una salvezza piuttosto che un uccisione.
Lui tuttavia era testardo e avrebbe fatto qualsiasi cosa per assicurarsi che lei stesse in salvo e lontano dai pericoli, anche se questo significasse non stare insieme. Lui ha fatto tante cose per sè stesso nella sua vita e più Justin stava nel conforto di casa sua guardando in alto il soffitto con l'odore del sangue nelle sue mani, più realizzava che non avrebbe potuto più essere egoista con lei.
"Sei pronta ad andare a casa?" Kelsey non ha neanche la briga di guardare su mentre sua madre entra nella stanza. Lei sperava che alla fine sua madre avrebbe capito, ma come tutti gli altri, pensava che questo era per il meglio.
"Quel posto non è la mia casa"
"Kelsey--"
"La mia casa è con Justin, quindi se mi stai portando lì, allora si, sono pronta. Se no, vai fuori da camera mia"
"Capisco che sei turbata, ma sei stata qui per più di una settimana Kelsey, è tempo di andare a casa"
"Tu non puoi guarire il mio cuore, quindi qual'è il punto?"
"Sei drammatica"
"Drammatica?" rise senza allegria, "stiamo parlando della mia vita! Ho il diritto di essere turbata dal fatto che nessuno, tranne me, voglia che ciò finisca.
"Non è quello che noi vogliamo, Kelsey, ma hai bisogno di relax. Se Justin crede che questo è il meglio per te, allora questo è il meglio per te adesso, questo non significa che domani le cose non torneranno al modo in cui erano. Lui è turbato e ha bisogno del tempo per sè stesso"
"No, quello di cui ha bisogno sono io mamma. Lui ha bisogno di me perchè senza di me, lui--" fermandosi, immediatamente scosse la testa. "Non è sicuro per lui"
"Tesoro--"
"No, mamma, tu non capisci, okay? Lui...sta male"
"Bene" aggrottò le sopracciglia per la nuova informazione trrovata, "ha preso la sua prescrizione medica? Cos'ha che non va?"
"Non è una cosa del genere--" scuotendo la testa, Kelsey pressò insieme le sue labbra mentre cercava di trovare una frase coerente che avesse senso. "Lui...lui ha perso sè stesso"
"Tesoro, non ti seguo"
"Ovvio che non lo fai, nessuno lo fa, questo è perche io ho bisogno che tu mi porti a casa--la mia casa"
"E' ciò che sto cercando di fare--"
"No", si affaticava nell'esasperazione, alla disperata ricerca di qualcuno che la capisse, "Non voglio tornare a casa da te e papà. Io ho bisogno che tu mi porti da Justin"
"Kelsey--"
"Perfavore" sussurò, "ho solo bisogno di parlare con lui. Ho bisogno di assicurarmi che sta bene. Ho bisogno di vederlo. E' l'unico modo per farmi venire con te"
Contemplando ciò che aveva appena detto, Maria prese un profondo respiro mentre vedeva il dolore e la disperazione negli occhi di sua figlia. Lei voleva nient altro che il meglio per lei e anche se ciò che era successo era tragico, non ha incolpato nessuno neanche una volta. A lei importava di Justin come se fosse suo figlio, e l'amore che lei provava per sua figlia era notevole, ma era spaventata. Spaventata che se avesse fatto ciò che Kelsey le aveva chiesto, sarebbe solo tornata più distrutta di quanto già non fosse.
"Sei...sei sicura? Forse potremmo aspettare ancora qualche giorno--"
"Voglio vederlo ora. Non voglio aspettare ancora"
Il silenzio riempiva l'aria mentre loro si guardava prima che, finalmente, Maria accettasse.
"Grazie, grazie, grazie" dondolando le gambe attorno al letto, Maria velocemente si precipitò al suo fianco, aiutando Kelsey ad alzarsi.
"Dieci minuti" la avvertì, "questo è tutto ciò che posso darti. Puoi a malapena stare in piedi"
"Mamma, sto be--" stando per cadere di nuovo, Maria la prese prima che lei potesse avere la possibilità di cadere.
"Okay, va bene. Tu starai qui mentre io vado a parlare con i dottori. Fai passare un'altra ora prima di andarcene, va bene? Voglio assicurarmi che sia sicuro"
Annuendo, Kelsey aspettò fino a che Maria se ne fosse andata per alzarsi di nuovo, assicurandosi che la costa fosse pulita prima di tirare il IV tubo dal suo braccio insieme ai tubi attaccati al suo naso. Proteggendo il suo camice da ospedale, camminò in punta di piedi verso la porta, nascondendosi momentaneamente mentre un'infermiera passava prima di guardare indietro e andare fuori.
Camminando attraverso il locale tecnico che aveva visto una volta quando stava camminando per il bagno, Kelsey velocemente si cambiò l'abito.
Con la testa in giù, facendo del suo meglio per non zoppicare a causa del dolore alle gambe per i numerosi calci che avevano ricevuto, Kelsey manovrò la sua strada, mescolandosi con le altre infermiere mentre scivolava in un ascensore nelle vicinanze, costringendo le porte a chiudersi prima che qualcuno potesse venire dentro con lei.
Sapendo che non sarebbe passato tanto tempo prima che sua madre tornasse e realizzasse che lei era scappata, Kelsey si agitò sui suoi piedi, la sua testa scattò al suono del bing che sentì nei suoi timpani, facendole capire che era arrivata al primo piano.
Spingendo velocemente quelli che aspettavano di entrare, camminò attraverso la porta girevole e andò fuori nella pioggia battente. Guardando in cielo, non avendo realizzato quanto era brutto fuori, non ebbe neanche la briga di ripararsi. Chiudendo gli occhi, si lasciò affondare mentre prendeva un profondo respiro con il naso prima di separare le labbra ed espirare nei venti leggeri. 
Non metteva piede fuori da più di una settimana e la doccia di madre natura fu abbastanza per avere l'apprezzamento della giovane brunetta per tutto ciò che valeva la pena.
"Mi scusi signorina" saltando e girandosi spaventata che fosse qualcuno che la stesse cercando, arrossì quando realizzò che era solo qualcuno che voleva passare. 
"Oh, mi dispiace" mettendosi i capelli dietro le orecchie, Kelsey mise le mani nelle piccole tasche dell'uniforma che aveva indossato prima di uscire in strada, immaginando di essere in grado di andare a casa a piedi. 
Conosceva la strada a memoria, anche senza guardare le direzioni. Era buio, e anche se la paura si celava nella parte posteriore della sua testa, era determinata a trovare Justin e convincerlo a farla tornare. 
Loro erano fatti per stare insieme, lei lo sapeva nel suo cuore e sapeva che lo sapeva anche lui. Tutto quello che doveva fare e prenderlo da solo e parlare con lui, o questo era quello con cui lei si era convinta.
Tutti sapevano che Kelsey poteva essere testarda il più delle volte e, qualche volta, il suo più grande difetto poteva anche essere il suo più debole, perché quando qualcuno testardo come te costruisce le loro menti, è quasi impossibile cambiarlo.
Dopo quelle che sembravano ore, lo aveva fatto, bagnata dalla testa ai piedi. Individuata l'auto di Justin, il suo cuore mancò un battito. Facendo strada verso la porta di ingresso, Kelsey premette le mani alle sue tasche, quando si rese conto che lei non aveva nemmeno chiavi di casa. Mordendosi l'interno della guancia, si raddrizzò le spalle prima di prendere un respiro profondo e premendo le nocche contro la porta di legno. 
Diversi colpi più tardi, si alzò di nuovo e aspettò. Avrebbe potuto giurare che il suo cuore sarebbe caduto dalla gabbia in cui si era nascosto. I suoi nervi turbinavano nel suo stomaco barcollante in gola, quasi soffocandola. 
Trattenendo il respiro appena la porta si aprì, Kelsey poteva sentire il suo intero mondo fermarsi in quel momento quando Justin apparve di fronte a lei, la testa china sul pavimento mentre lui sfregava il pollice sullo schermo del suo telefono.
Alzando lo sguardo, i suoi occhi si spalancarono non appena il suo sguardo si bloccò su di lei. Mettendo via il telefono, strinse le labbra, deglutendo a fatica. Era quasi surreale vederla lì, come se non fosse mai stata distrutta. 
"Io...ho dimenticato le mie chiavi" disse tranquillamente, rimproverandosi mentalmente per la scusa patetica, ma era l'unica cosa che era riuscita a pensare con breve preavviso. Anche dopo averci pensato per tutta la strada per arrivare fin lì, Kelsey non riusciva a trovare le parole giuste"
"Cosa--cosa stai facendo qui fuo--whoa" raggiungendo fuori, Justin rapidamente prese Kelsey tra le sue braccia non appena lei cadde in avanti. "Cazzo" appoggiandosi giù, avvolse il suo braccio sotto le ginocchia, mantenendo l'altro intorno alla sua vita e portandola verso il divano dopo aver chiuso la porta con il piede.
"Sto bene, Justin" sussurrò lei senza fiato, mentre pendeva su di lui fino a quando la posò. "Sono solo un po' instabile sui miei piedi. Questo è tutto"
"Vado a chiare i dottori" girandosi per afferrare il telefono di casa, lei subito lo afferrò per un braccio, impedendogli di farlo. 
"No, no, no, no, no. Non voglio che chiami un dottore, Justin" "Voglio che tu ascolti"
Guardando verso di lei, Justin scosse la testa, rifiutando di non sentire nulla, avendo spento le sue emozioni tempo dopo averla lasciata. "Andare oltre questa volta non è avere intenzione che qualcuno di noi due faccia qualsiasi cosa di buono" mormorò, il suo cuore chiedeva di dargli una possibilità, e per una frazione di secondo, lo ha ascoltato.
Sedendosi accanto a lei ancora una volta, fissava in lontananza.
"Se è così che ti senti allora è troppo brutto perché non ho intenzione di accettare passivamente mentre cammini su di me" gridò mentre lo vide cominciare a interrompere la sua metà frase.
"Tu pensi che io voglia le cose in questo modo?" scattò la testa verso di lei, "che tu non mi sia mancata ogni secondo? O che io non sia stato sveglio tutta la notte perché tu non eri nel letto con me?"
La tristezza lavò il marrone chiaro dei suoi occhi, "allora lasciami tornare" sussurrò lei.
Lui scosse la testa. "Sto cercando--"
"Di proteggermi, lo so" sospirò. "Justin, non ho bisogno della tua protezione. Non mi spavento di te. Non mi spavento della tua vita. L'ho presa come mia molto tempo fa-liberamente-senza riserve. La mia scelta, qualcosa che era solita significare qualcosa per te"
"Significhi tutto per me ed è il motivo per cui sto facendo questo!" Sapendo che stava per inveire, guardò rapidamente in basso, rannicchiando la sua testa dietro le sue mani mentre si grattava la parte posteriore del collo, cercando di trovare una via di mezzo dentro. "Non puoi farmi questo Kelsey. Devi stare lontano"
"Non è quello che voglio!"
"Perché sei così fottutamente stupida?" Ringhiò quasi colpendola mentre gettava le mani in avanti. "Gesù Cristo, è come se tu non capisci niente, cazzo!"
"Capisco che sei preoccupato, Justin. Lo capisco. Mi sentivo allo stesso modo quando mi hanno sparato. Raggiungendo fuori, lei rapidamente afferrò il suo mento con la mano, costringendolo a guardarla negli occhi. "Ero terrorizzata di averti perso. Quando Bruce è venuto a casa quel giorno, avrei giurato che ho sentito tutta la mia vita sconvolgere proprio lì senza preavviso perché non avevo avuto avvertimento, non sapevo cosa stavo facendo o cosa stava accadendo, è venuto come uno shock completo, ma non ho mai rinunciato a te o a quello che avevamo. Non stavo correndo allora e non sto correndo adesso"
"Non ti ascolti? Tutto questo mi ritorna indietro, la mia vita, gli affari di cui sono parte. Questo non c'entra nulla con te piccola perchè se non fossi stata collegata a me, nessuna di queste cose sarebbe successa. Non sarei stato sparato quella notte se stessi vivendo una vita normale, ma poi di nuovo, questo è il punto- Io non sono normale. Non lo sono mai stato e mai lo sarò ed è tempo che io e te lo realizziamo." "Tutto quello che so è che io ti amo e anche tu mi ami." Prima che avesse la possibilità di dire qualcosa, il cellulare di Justin iniziò a suonare e quasi istantaneamente raggiunse la sua tasca per rispondere. "Justin, non farlo.", lei prese il suo polso. "Non farlo, non--" guardando mentre prendeva la chiamava, Kelsey morse l'interno della sua guancia dal picaangere dalla rabbia, lacrime di frustrazione bruciavano con la pressione di cadere. "Pronto?" "Justin, sono Maria. Kelsey è sparita, è lì?" Guardando giù a lei momentaneamente prima di girare lo sguardo all'altro lato della stanza, annuì nonostante lei non potesse vederlo, "Sì, lei è qui." "Oh, grazie a Dio." Lasciò uscire un sospiro di sollievo, "Sarò lì con un ambulanza al più presto possibile--" "No, sta bene," la interruppe, "rimanga tranquilla. Porterò Kelsey all'ospedale da solo." I suoi occhi si illuminarono nella speranza che forse voleva che rimanesse, Kelsey guardò su con quiete mentre lui parlava con sua madre. Continuò anche appena terminò la chiamata e posò via il suo telefono dopo aver riassicurato Maria che tutto andava bene. Strofinandosi la mascella, ritirò le labbra dentro la bocca mentre la guardò nella sua natura spettinata, "Devi cambiarti quei vestiti prima che ti ammali. Aspetta, lascia che um..vada a prendere qualcosa dalla mia stanza." Mettendo le sue gambe sotto di lei mentre si chinò le mani sulle ginocchia, spostò una ciocca dei suoi capelli dietro l'orecchio, "Hai ancora i miei vestiti?" Fermandosi a metà scalini senza girarsi, Justin fece un respiro profondo prima di continuare la sua strada, "Ho tutto." Scomparendo sopra le scale, si fermò fuori dalla porta della sua camera da letto, non essendoci stato da tempo. Stringendo la maniglia, spinse mentre vide la sua stanza lacerata tornata alla normalità come se non avesse distrutto tutto qualche giorno prima. Trattenendosi dal bisogno di guardare alle piccole cose che lei aveva lasciato prima, andò verso l'armadio, spostando le sue cose per prendere quelle di Kelsey. Prendendo una sua felpa dalla gruccia, la portò giù con sè. Trovando il suo posto accanto a lei di nuovo, tenne la felpa dietro di lei mentre lei infilava le sue braccia dentro le maniche lentamente prima di coprirsi le spalle e lasciarla andare. "Mi ami ancora," lei sussurrò. "Certo che ti amo," mormorò scuotendo la testa, "ma non è quello il punto." "Justin, quello è l'unico punto." Coprendo le sue mani con quelle sue, lei le strinse dolcemente. "E' l'unica cosa che importa. Noi siamo una squadra, nell'amore e nella vita, non puoi decidere arbitrariamente che fra noi è finita." "Non è stato arbitrariamente," spostò via le sue mani, il suo tocco si fece elettrico. "Ti ho guardata quasi morire per causa mia." Cercando di non chinarsi in avanti per toccarlo di nuovo, Kelsey rimise le mani sulle sue. "Non ero proprio un impiegato di ufficio quando mi hai incontrato. Quando sarà il momento, morirò con o senza di te. Mi sono innamorato di te e quando questo è successo, è cambiato tutto. Non c'è una via di ritorno," stirando le sue gambe verso le sue cosce, lei si spostò verso di lui, disperata per qualche tipo di affetto. "Ho bisogno di noi, Justin. Mi manca la nostra semplicità, mi manca la nostra fiducia e la nostra fede-- quando, quando hai perso la fede?" "Quando ho ricevuto la chiamata che mi disse che eri in ospedale," alzandosi in piedi, lui dovette allontanarsi da lei il più possibile, non riuscendo a sopportare quanto fosse vicina. L'aveva sognata così tante volte, desiderando, che in qualche modo si sarebbe fatta vedere, ma i sogni non sono mai stati una realtà e dovette ricordare a sè stesso che lei non sarebbe più tornata. "Non è da te essere spaventato," lei notò con calma. Sorridendo sarcasticamente a sè stesso con le mani poggiate sui fianchi, Justin roteò la sua lingua velocemente sul labbro inferiore. "Lo sono. Ho paura di essere il motivo per cui perdi la vita. Ho paura di essere ciò che ho sempre detestato."
"Di che stai parlando?" 
"Ti sto mettendo in pericolo, se non di più, comandando le cose adesso," guardò giù ai suoi piedi prima di trovare il coraggio di guardarla, "Sono anche un mostro peggiore di quello che ero prima." "Non sei mai stato un mostro," posò lo sguardo alle sue unghie rifiutando di incontrare i suoi occhi per il momento mentre tentava il suo meglio per cercare le sue parole con attenzione. "Ci sono un sacco di difetti nella tua logica," trovò il sorriso sulle sue labbra quasi a simulare la tristezza che lei sentiva crescere nel suo petto. "Tu che comandi gli affari non è diverso da te che sei secondo in comando quando si parla dei tuoi nemici che mi chiamano un obbiettivo. Detto questo davvero no, non è cambiato nulla." Leccando le sue labbra, gli fece un occhiolino, "quindi adesso perchè non mi dici perchè ti rifiuti di stare con me?" Ingoiò pesantemente. Tutto ciò che aveva provato a trattenere, tutte le emozioni che aveva spento, iniziarono a riemergere-- aggiungendo pressione nel suo petto-- e non riusciva a sopportarlo. Non quando aveva ucciso qualcuno un paio d'ore prima. "Kelsey--" iniziò prima di sentire battere sulla porta. "Fanculo." Girando i tacchi, Justin aprì mentre James entrò dentro. "Che stai facendo qui?" Kelsey sbottò non appena ebbe la vista di suo padre che entrava liberamente "Justin non ha parlato con mamma?" 
"Le ho detto di venire qui invece," disse, con la faccia priva di ogni emozione, ma il fuoco ardente nei suoi occhi diceva il contrario- non era dell'umore per fare dei giochi. "Justin le ha detto che mi avrebbe riportata in ospedale," guardando a lui come se avesse perso la testa, Kelsey fece un respiro profondo, cercando di andare oltre l'incerta costruzione. Lei sapeva che lui odiava Justin e il fatto che fossero tutti e 3 nella stessa stanza non le andava bene. "Ero preoccupato." 
"Per favore vattene," disse tesa con disperazione, non volendo che qualcuno o qualcosa rovinasse il progresso che lei almeno sperava stessero facendo.

"Justin e io siamo in mezzo a una davvero importante, e privata conversazone." "Non riesci a comprendere nemmeno il punto saliente? Stai guarendo da un coma, Kelsey. Come hai fatto a venire qui?" "Ho cammbina." Schioccando la sua testa, lo sguardo di Justin bruciò sulla cima della sua testa mentre cercava di comprendere cosa avesse appena detto anche se aveva evitato di incontrare i suoi occhi sapendo che se suo padre non fosse stato lì, lui sarebbe stato quello che l'avrebbe rimproverata. "Dieci isolati nella pioggia battente? Cosa c'è di sbagliato in te?!" James sbottò, "non sei stata uccisa vivendo con Justin quindi morirai cercando di riaverlo--" "Lasciala sola!" Justin urlò rabbiosamente, non volendo sentire più lui che le urlava contro. Anche se sapeva nel suo cuore, che aveva ragione. Respirando dentro dal suo naso, evitò lo sguardo di Kelsey mentre cercava di rimanere più calmo possibile. Un duro silenzio conquistò l'intera casa, la tensione stava mangiando lentamente tutti mentre James e Justin cercavano di astenersi dal gettarsi l'uno al collo dell'altro. Applaudendo minimamente e strofinando i suoi palmi insieme, lei sospirò, "guarda, apprezzo la tua preoccupazione, davvero, e capisco che provieni da un posto di cura ma Justin mi porterà in ospedale quindi mi piacerebbe che tu te ne andassi adesso." "James è già qui, Kelsey." Justin ruppe la barriera imbarazzante, rifiutando di riconoscere il dolore, "può portarti via." Guardandolo, uno sguardo di rabbia e incredulità sparò attraverso i suoi occhi, "perché?" "Sarà più facile," egli garantì umile, sapendo che la sua voce si sarebbe potuta rompere da un momento all'altro se avrebbero continuato a parlare. "Più facile?" Rise con amarezza, la sua faccia era completamente pulita e contorta nel nulla se non furia mentre lo fissava, "Per chi Justin? Perchè di certo non per me!" Premette una mano sul suo petto prima di gesticolare verso suo padre, "non lasciare che mio padre ti intimidisca!" "Non sto facendo nulla per tuo padre, lo sto facendo perchè è giusto e perchè è l'unico modo che conosco per proteggerti!" Trainando una barella, i paramedici si fecero strada attraverso la porta d'ingresso alla ricerca di James che li aveva condotti lì. James li diresse subito verso Kelsey, "Eccola qui. Questa è mia figlia Kelsey Jones, è una paziente da trasportare. Improvvisamente i suoi occhi si indurirono con niente se non determinazione, "oh no. Puoi girare e andare da un'altra parte, perché io non vado da nessuna parte," indicò fuori la porta. "Se non ti farai curare dai dottori, puoi rischiare la vita," la rimproverò. "La mia vita?" Kelsey esasperò. "La mia vita è esattamente è ciò per cui sto lottando adesso!" lanciò i suoi piccoli pugni contro i cuscini del divano, i suoi occhi lacrimavano per colpa della frustrazione che stava aumentando. "Me ne vado," Justin suggerò mentre cercò di farsi strada verso loro ma non appena stava per superarla, Kelsey si alzò, pressando le sue mani sul suo petto rigido. Inalando dal suo naso, lei guardò verso di lui attraverso lo spessore delle ciglia; la dura realtà che era davvero finita la stava colpendo come una tonnellata di mattoni. "Justin, dai.. questo è così sbagliato. E' così sbagliato nel tuo cuore e tu lo sai." Guardando dentro i suoi occhi, lanciò un'occhiata alle sue labbra, combattendo improvvisamente contro il bisogno di chinarsi e baciarla. "Maledizione, Kels.", ringhiò piano prima di passare accanto a lei e camminare verso l'altro lato della stanza. Chiudendo i suoi occhi strettamente, desiderando che tutto questo fosse un sogno, Kelsey prese un respiro profondo mentre passava le sue dita fra i capelli, stringendo forte le punte prima di lasciarle cadere liberamente giù per la schiena per una volta ancora e sedersi di nuovo sul divano. Guardando, James sentì una fitta piena di senso di colpa nel petto. "Vieni, andiamo via da qui," accarezzò dolcemente la sua spalla. Tirando su col naso, coprì il lato del suo viso con il palmo della mano mentre lei si allontanò da lui, cercando di non piangere più di quanto aveva già fatto. Non poteva andarsene così, non quando aveva così tanto da discutere con lui. Poteva sentirlo nel suo cuore, Justin non voleva questo tanto quanto non lo voleva lei e ciò che la tormentava era che lui si fosse rifiutato di arrendersi ai suoi sentimenti. Kelsey era un sacco di cose, ma non era ignara. Qualcuno doveva essere entrato nella sua testa e lei era determinata a trovare chi fosse. Lui riuscì a vedere la stanchezza nel modo in cui reagiva il suo corpo. "Riprendi la tua forza, sii in salute, e poi potrai vedere come andranno le cose fra te e Justin." Dando uno sguardo a Justin sperando che le avrebbe detto di rimanere, Kelsey morse il suo labbro quando rimase lì. Braccia conserte, fissava a distanza e nonostante sembrasse che non lo colpisse affatto, gli angoli dei suoi occhi bruciavano intensamente, trattenendosi dal mostrarlo e rigare la pelle delle sue guance. Guardando in basso, lei annuì lentamente prima di prendere il suo tempo e alzarsi con l'aiuto di suo padre e del paramedico per poi farla sedere sulla barella. Una volta sicura, iniziarono a portarla via dal salotto. "Non mi arrenderò su di noi, Justin." disse mentre lo superarono per andare fuori. "Abbiamo qualcosa per cui vale la pena lottare." Seguendo sua figlia, James si fermò alla porta prima di guardare Justin un' ultima volta. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse velocemente cambiando idea. Girandosi e sbattendo la porta dietro di lui, la casa tornò fredda di nuovo. Lasciato nel silenzio, Justin riuscì a sentire la mancanza di aria nei suoi polmoni mentre lentamente veniva preso nel suo ambiente. Tutto, ogni cosa di esso, gli ricordava lei e bruciava- il pensiero della sua risata che mai riempiva il vuoto della casa, il modo il cui il suo sorriso illuminava l'intera camera, e come aveva visto del buono in loro- era come se fosse tornato di nuovo sedicenne, e lo odiava, ma soprattutto, odiava sè stesso per aver lasciato che ciò andasse così lontano. Prendendo una bottiglia di Vodka dalla dispensa, Justin si versò un bicchiere. Portando il liquido dentro di sè, lo fissò, ricordando i tempi in cui si sarebbe rovinato al punto di dimenticare tutto, e improvvisamente, volle di nuovo quella sensazione- essere in grado di dimenticare. Voleva sbarazzarsi di lei, di tutto quello che avevano condiviso- dell'amore che avevano. Lui non voleva più ricordare, non voleva dilungarsi su questo ulteriormente, e soprattutto, non voleva vedere la sua faccia. Buttando la bevanda giù per la sua gola, succhiò il suo dente alla sensazione di bruciore intorpidito che iniziò ad espandersi per la sua bocca. Versando un altro bicchiere, ripetè l'azione, i suoi occhi erano coperti da nient'altro che un velo mentre sbatteva le palpebre, cercando di vedere attraverso esse.

SPAZIO AUTRICE 

PUBBLICHERò L'ULTIMA PARTE QUANDO QUESTO CAPITOLO AVRA' 30 "MI PIACE"

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