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Cap. 4.5 E se fosse per sempre - epilogo

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Una sensazione di pesantezza, come se un masso gli stesse schiacciando l'intero corpo, gli fece destare in parte la coscienza: su di lui un'indistinguibile ombra. Cosa stava succedendo? Dove si trovava? Si era appena svegliato? Era mattina giusto? Perché quella sagoma, che non riusciva a riconoscere e che aveva tutto l'aspetto di una persona, gli si era piazzata addosso e non sembrava avere nessuna intenzione di spostarsi? Una marea di domande si facevano largo nella sua mente, accalcandosi le une sulle altre, disorientandolo.

Circondato soltanto da buio riuscì a malapena a distinguere alcuni degli oggetti che aveva intorno a sé. E non tutti gli sembrarono familiari. Era sicuro di essersi addormentato in camera sua ma quel luogo così sinistro sembrava esserne solo una minacciosa brutta copia.

-"C-cosa cazzo?! I-io non ho bevuto, non sono ubriaco. Dove mi trovo? Chi è questa persona e perché mi sta saltando addosso, bloccandomi al pavimento? -si chiese tra sé e sé perplesso e forse anche un po' spaventato.

Che fosse un incubo?

Eppure sembrava tutto così reale.

Un fascio di pallida luce, proveniente da chissà dove, illuminò per un brevissimo istante il viso di quell'oscura sagoma. Era Taka.

-"T-Taka? Su di me? Perché? C-cosa vuole fare? F-forse è soltanto un sonnambulo..." - le domande si susseguirono rapidissime, quasi non le distinse. Eseguì quella veloce analisi senza avvedersene. Sentiva di essere fuori di sé: la sua testa, la sua essenza erano da un lato, il suo corpo, la sua materia dall'altro, separati. E' davvero possibile guardarsi dall'esterno? Sapere di essere sé stessi, di appartenere ad un certo corpo ma sentire la propria coscienza come qualcosa di totalmente estraneo alla corporeità?

Mondo:" E-ei tutto ok? Sicuro di stare bene?" -gli domandò guardandolo negli occhi.

Non ebbe tempo di provare imbarazzo perché probabilmente era ancora troppo assonnato o forse confuso da quella strana situazione. -"A-aspetta... lui era ubriaco, no? Saranno ancora gli effetti dell'alcol. Forse mi ha scambiato per Makoto e a giudicare da come si comporta quando è ubriaco, ci starà provando con me pensando che io sia lui. Maledizione! Se solo- ... cazzo! Da sobrio non avrebbe il coraggio, anzi, il coraggio non gli manca. Quello che potrebbe frenarlo dal provarci con qualcuno è la morale pubblica, la vergogna. Come se poi manifestare il proprio amore fosse qualcosa di sbagliato, tch! Il suo passato lo ha reso fin troppo composto... l'alcol probabilmente lo ha liberato, annullandogli tutti i freni inibitori" -pensò lasciando che la rabbia iniziasse a scorrergli nelle vene. Avrebbe voluto spingerlo via ma si trattava di Taka. L'unica persona in grado di farlo girare in tondo senza dargli tregua, quella che poteva farlo gioire un attimo prima e distruggerlo gettandolo in un abisso di soffocante sofferenza quello dopo. L'unico che se solo avesse voluto avrebbe potuto assoggettarlo, sottometterlo al suo volere. Il ragazzo di cui era follemente innamorato.

Poteva soltanto illudersi di trovare la forza per spingerlo via ma la verità era che non ci sarebbe mai riuscito.

Non trovando il coraggio di allontanarlo si concentrò di più sulla sua figura. I loro visi erano così vicini che quasi non riuscì a riconoscerne i tratti. Era ancora troppo buio per vedere l'espressione dei suoi splendidi occhi rossi.

Il ragazzo non gli rispose ma le sue mani si muovevano abili sul suo corpo, tanto che in un momento la sua maglietta era sparita.

Mondo:" O-oi che stai facendo! Riprenditi, non sei in te!" -gli urlò in pieno volto. Ma lui non disse una parola. Si avvicinò al suo orecchio destro e glielo leccò. Mondo non potette far altro che tremare, brutalmente scosso. Non era dispiaciuto da quell'inaspettato risvolto degli eventi, solo che gli sembrava troppo strano per essere vero. Pensando di esser diventato il sostituto di Makoto però, la leggerezza e il piacere che poteva provare per quei gesti così carnali, si dissolse nel nulla, sostituendosi a cieca rabbia, a disperata tristezza. -"Ei adesso basta! Non mi importa che tu sia ubriaco o meno ma non trovi sia ingiusto quello che mi stai facendo?!" -urlò con le lacrime agli occhi e con la voce strozzata da velenoso rancore. Quando provò ad allontanarsi dal ragazzo per spiegargli che lui non era Makoto e che non poteva esser trattato come un burattino, come il giocattolo da usare per poi sostituire con uno migliore, vide il viso del ragazzo dapprima sorprendersi, poi accigliarsi e diventare nero di collera. L'unica cosa che riuscì a distinguere in quell'ombra scura fu il brillio innaturale di un sorriso sinistro.

Nonostante fosse al buio, gli sembrò che tutto ciò che lo circondava cominciasse a ruotare vorticosamente come se si trovasse su di una giostra.

Una morsa che istante dopo istante si faceva sempre più stretta, più forte, lo colse di sorpresa. In un attimo si trovò ad annaspare, cercando di spirare col naso, con la bocca, con tutta la sua essenza, quanta più aria possibile. Allungò le sue mani, che si muovevano quasi senza controllo, cercando dentro di sé un briciolo di forza: prima per spingerlo via, poi per contrastare quella violenta stretta. Stava davvero per morire? E perché proprio per mano del suo amore? Non voleva arrendersi alla vita che sentiva lentamente scivolare via. Ma non riuscendosi a liberare da quelle mani crudeli che lo bloccavano e lo stritolavano come una tenaglia, lasciò che la sua coscienza, abbracciando quel buio, lo abbandonasse.

L'oscurità lo avvolse gradualmente, adagio adagio, sempre di più.

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D'un tratto sbarrò gli occhi. Era sudato ed ansimante. Diede una rapida occhiata intorno a sé senza mai muoversi dalla sua posizione supina: era mattina. La luce cercava di farsi spazio tra le pieghe delle tende e quei pochi fasci che riuscirono a raggiungerlo gli suggerirono forme e colori rassicuranti. Era sicuro di trovarsi nella sua cameretta. Tutto era al proprio posto, esattamente come come lo aveva lasciato il giorno precedente. Perfino il disordine era lì dove ricordava di averlo lasciato. Finalmente sentiva di nuovo di far parte di sé stesso: corpo ed anima uniti, la coscienza ben desta. -" Sono nella mia stanza, stavolta non ci sono dubbi. Ho c-creduto davvero di essere m-morto. P-per fortuna e-era soltanto un s-sogno, un bruttissimo sogno" -pensò scuotendo la testa. Con quel gesto avrebbe voluto liberarsi della tensione, della paura che aveva provato, delle brutte sensazioni che il sogno gli aveva lasciato addosso. -"Forse non avrei dovuto addormentarmi per terra, non sono più abituato. Specie dopo aver passato quel brutto quarto d'ora ieri. Solo al pensiero mi sale un nervoso che spaccherei tutto. Ma non posso. È per il bene di Taka"- pensò cercando di darsi quel pizzico di coraggio per alzarsi e iniziare quella giornata, se non col piede giusto, almeno con una certa volontà di far quadrare bene le cose. 

Avrebbe pensato a soffrire e ad affliggersi in un altro momento.

-"G-già Taka... dovrei svegliarlo. Chissà che ore sono" - si disse provando a sollevarsi dalla sua posizione. Fu in quel momento che si accorse di un certo peso che gli faceva pressione sul collo e sulla bocca dello stomaco, impedendogli dei movimenti fluidi. -"Cosa diamine!-" - esclamò silenziosamente. 

Taka era su di lui. 

Raggomitolato su di lui come fosse un gatto. Fuori dalle coperte del futon, sdraiato in posizione quasi fetale, con un braccio sul suo collo, uno sulla sua pancia e le ginocchia accoccolate sulle sue gambe. Pelle contro pelle. -"Cosa cazzo ci fa qui a terra, al freddo, senza uno straccio di coperta sulle spalle e senza un fottutissimo cuscino?! Così rovinerà la sua cervicale e si prenderà un raffreddore!" - si disse irritato. Senza neppure star lì a pensarci troppo si liberò delicatamente dall'opprimente presa del ragazzo, spostandogli braccia e gambe. Poi si alzò e sollevò con dolcezza il corpo inerme di Taka, trasportandolo sul proprio letto.

Taka non aveva una bella cera: era gelato, aveva il respiro pesante e il suo volto era segnato da un'espressione contorta come se stesse soffrendo: l'alcol aveva sicuramente fatto il suo effetto e dormire sul pavimento freddo non aveva aiutato per niente. -"Spero soltanto che non si sia preso una febbre e che non stia avendo un incubo come è successo a me! Basta ad uno solo di noi, dannazione!" - disse a sé stesso mentre lo adagiava sul letto, coprendolo e abbracciandolo per riscaldarlo più in fretta. Quando si rese conto che il suo viso si era rilassato e che il suo respiro era divenuto regolare, allentò la presa, allontanandosi lentamente per prendere una sedia e potersi accomodare vicino a lui. Non voleva lasciarlo solo. Non ancora. Si sedette al suo fianco e lo osservò attentamente. Con occhi malinconici e sognanti lo guardò dormire sereno: il suo viso, prima contorto, ora era bellissimo ed imperturbabile. Gli accarezzò le guance e gli diede un timido e sofferto bacio sulla fronte. Con quel gesto si augurava di poter dire addio per sempre al suo amore non corrisposto, di mettere un punto a quella storia. Nel suo animo, però, era ben conscio dell'inutilità di quell'atto egoista. Non lo avrebbe dimenticato così in fretta, e per quanto volesse allontanarlo dai suoi pensieri gli risultava impossibile. Rinunciare a lui sembrava una tortura ancora più grande di quella di stargli accanto soffrendo giorno dopo giorno.

Il rumore della porta che improvvisamente gli si spalancò alle spalle lo fece sobbalzare e lo catapultò nella realtà. Suo fratello era entrato in camera come un terremoto.

Daya: "Oi siete svegli?" -domandò energico.

Mondo: "Aniki! Cosa cazzo ti urli a prima mattina, dannazione! Stava per prendermi un infarto!" -esclamò col cuore in affanno, seccato dall'esuberanza senza limiti del fratello.

Daya: "Certo, un infarto... lo so io perché ti stava per prendere un infarto! Cosa ci facevi così vicino alle sue labbra?" -insinuò con un sorrisetto malizioso.

Mondo: "Smettila di fare continue allusioni come se stessi parlando ad un pervertito! Mi piace, sì, ma non per questo mi devo comportare da bestia!" -ribatté irritato con una smorfia di disappunto.

Daya:" Sì certo come no! Disse la persona seduta al fianco del suo amato che dorme e che non può accorgersi di come lo fissi!" -esclamò canzonandolo bonariamente. A Mondo però quelle parole non fecero affatto piacere.

Mondo:" Ma la vuoi piantare?! Potrebbe svegliarsi da un momento all'altro!" -ringhiò digrignando i denti. Era terrorizzato al solo pensiero che Taka potesse scoprire dei suoi sentimenti, in quel modo assurdo per giunta. "E poi lui..." - si bloccò poi, prima di confessare al fratello della notifica e del comportamento di Taka della sera precedente. -"Insomma io non ho più speranze" -ammise con un'espressione che faceva leggere tutta la sua arrendevolezza, la sua tristezza.

Daya:" E adesso questa novità da dove esce? Oddio... Ma cosa diamine vai blaterando che ho parlato coi tuoi amici ieri sera! Sei tu che ti comporti da imbranato e non sai giocarti le tue carte..." -affermò esasperato portandosi una mano alla fronte.

Mondo:" C-cosa vuoi dire con questo? E poi ti ho detto di non urlare qua dentro! Non vedi che sta dormendo?! Usciamo un attimo fuori e spiegami!" -ribatté nervoso.

Daya:" Io non ti spiego un bel niente... Ti abbiamo aiutato fin troppo per i miei gusti. Ora tocca a te agire e se non capisci da solo come fare ti conviene rinunciare sul serio. L'amore è di chi lotta, non di chi si arrende e resta immobile a soffrire autoproclamandosi vittima di questo cazzo" -gli rispose con durezza e anche con una vena di rabbia. Non poteva sopportare il fatto che il suo fratellino si facesse "sconfiggere" a quel modo, senza il minimo sforzo. Voleva spronarlo e si augurava che quelle parole, non esattamente gentili e comprensive, potessero smuoverlo.

Mondo:" Cosa cazzo stai dicendo adesso?! Non dovresti incoraggiarmi? E invece sei qui a prenderti gioco di me, ad insinuare cose senza poi avere il coraggio di concludere i tuoi discorsi" -tuonò con collera. Infastidito e ferito nel profondo da un fratello che, per la prima volta, ai suoi occhi, non lo capiva, non lo sosteneva.

Daya:" Ti sto incoraggiando ed aiutando più di quanto immagini!"

Mondo:" E come?! Chiamandomi vittima? Dicendomi di rinunciare?!" -chiese sarcastico.

Ormai la loro discussione era diventata un aspro e risentito scambio di battute dove la rabbia la faceva da padrona.

Daya:" Dicendoti di agire, coglione! Il tuo amichetto lì, ieri era di sicuro più attivo di te che mi sembravi uno stoccafisso!"

Mondo:" C-cosa cazzo stai dicendo?! Ma io ti prendo a pugni!"

Daya: "Provaci se ci riesci, moccioso!"

Le loro urla fecero svegliare il povero ragazzo che ancora stava dormendo.

Taka:" Mnh, ugh... C-che succede? Dove mi trovo?" - domandò guardandosi intorno, visibilmente spaesato.

Mondo: "Complimenti! Hai visto? Lo hai svegliato, finalmente! E io che ti pregavo di allontanarci da qui per poter parlare in tranquillità..." -rimproverò il fratello con tono acido, tagliente. "Non preoccuparti, b-bro... sei nel mio letto, in camera mia. Va tutto bene. Come ti senti?" -aggiunse poi, con una tenera voce, rivolgendosi a Taka.

Daya: "Taka-chan ricordi qualcosa di ieri sera? Come stai?" -fece da eco alle parole del minore, anche lui leggermente preoccupato.

Taka:" Mi fa male la testa, ugh. E ho un saporaccio in bocca che non va via..." -spiegò ancora stordito dal sonno e da quel dolore martellante alla testa, per poi chiedere il perché stesse in camera di Mondo. Non riuscì ad aspettare la risposta dei ragazzi che si fece prendere dal panico. Non si trovava a casa sua. -"E mia madre?! Oh mio Dio, mia madre non sa dove sono! Si sarà preoccupata a morte! Ungh! " - gridò agitandosi preoccupato, per poi lanciare un sofferto gridolino. Si portò la mano alla fronte, contorcendo il viso dal dolore.

Daya:" Non preoccuparti tua madre ha acconsentito a farti restare qui con noi. Riposati un altro pochino. Sono venuto qui per dirvi che la colazione è pronta e che potete mangiare come e quando volete. Appena ti sentirai meglio puoi dire a quel maiale di mio fratello che deve accompagnarti a casa" - lo rassicurò con dolcezza.

Taka: "Eh? M-maiale? O-ok, g-grazie Owada-san, sei davvero gentile come sempre" -nonostante si trovasse ancora seduto nel letto provò a fare uno dei suoi inchini di cortesia, ma così facendo, si autoinflisse la tortura di un vorticoso capogiro.

Daya:" Per favore Taka-chan, so che ci tieni alle buone maniere, non come una certa persona, ma questo non è il momento delle cerimonie. Pensa a riposarti e a riprenderti" -gli disse con tono costernato. 

-"Senti caprone, se ha ancora mal di testa, dopo avergli fatto fare colazione dagli un antidolorifico e non fargli mangiare schifezze. Deve recuperare acqua, vitamine e sali minerali, mi raccomando!" -si rivolse poi al fratello con uno sguardo minaccioso.

Mondo: "L-lo so maledetto! Me lo hai detto ieri..." -replicò irritato. Per chi lo aveva preso? Per uno stupido forse? 

Daya:" Allora io vado a lavoro. Mi raccomando..." -disse nella speranza che il fratello avesse capito a cosa si stesse riferendo e che si desse finalmente una mossa. 

-" Taka-chan, io vado. Torna a trovarci quando vuoi, sarai sempre il benvenuto in questa casa" -si rivolse poi al ragazzo, che ignaro della discussione tra i due fratelli, se ne stava ancora a letto ad osservare la scena coi suoi occhioni rossi, incapace di cogliere il senso di tutti quei punzecchiamenti. Daya si sentì rispondere con un "G-grazie..." farfugliato nel quale lesse un immensa gratitudine e un grande imbarazzo, ai suoi occhi immotivato. Con quelle ultime parole, il maggiore dei fratelli si allontanò lasciandoli da soli. 

Mondo si occupò di Taka esattamente come Daya gli aveva suggerito di fare.

Tra i due non mancarono momenti di forte imbarazzo: come quando Mondo lo aiutò a vestirsi perché il mal di testa non lo faceva reggere in piedi; o quando si sfiorarono inavvertitamente le mani per prendere la bottiglia d'acqua. 

Nonostante tutto il tempo passò in fretta. Erano le dieci e trenta del mattino quando controllarono per la prima volta l'orologio: così tardi per gli standard a cui Taka era abituato, tanto che anche se non si era completamente ripreso, pregò Mondo di riportarlo a casa sua. Voleva essere lì almeno per pranzo.

Per quanto Mondo volesse prendere la sua moto e avere occasione di utilizzare i suoi nuovi regali, si rese subito conto che non era il caso: un viaggio in moto avrebbe potuto smuovere troppo lo stomaco provato del ragazzo. Il treno, in quella situazione, era la scelta più sicura e veloce. D'altronde se i genitori di Taka avessero visto la sua moto lo avrebbero giudicato dalle apparenze e non voleva affatto. Doveva avere un aspetto decoroso, "da bravo ragazzo" agli occhi della famiglia del tipo di cui era innamorato. Una persona come Taka, così ligia al dovere e alla morale, non poteva non avere genitori a lui simili. Era convinto di dover "appendere guanti e giacchetto al chiodo" per non sfigurare davanti a loro, farli fraintendere. 


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