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La casa della felicità

“Aspetta, cos'hai detto?!” saltò su Jake raddrizzandosi sulla poltrona indossata dell'appartamento.

“Avete sentito molto bene: la nostra Charlotte ha ancora i suoi genitori. E la stanno cercando da tanto tempo” concluse Idaho abbassando le mani lungo i fianchi, un lampo di colpevolezza attraversò il suo volto dispiaciuto.

A Charlotte parve tutto confuso. Non sapeva se fosse tutto un sogno o se stessero facendo sul serio, non sapeva nemmeno se avesse sentito bene oppure se la sua mente avesse deciso di storpiare le parole per gioco. Idaho aveva detto una cosa incredibile, sganciato una bomba che aveva sconvolto tutti. Lei aveva una famiglia, una famiglia vera e non una fittizia presa da un libro.

“Ma è fantastico! Charlotte non è orfana quindi!” disse Minù voltandosi verso la ragazza, allargando un sorriso che trasmetteva la sua felicità nei suoi confronti.

Il fatto era che la diretta interessata non sapeva come comportarsi, né come prendere la notizia. Indubbiamente era felice per la confessione, un po' confusa forse sul motivo per cui Idaho avesse aspettato a dirglielo, ma più di tutto era incerta sul futuro. Voleva dire che lei non era mai stata senza una madre e un padre, e che loro avevano sofferto tantissimo per la sua scomparsa. Ma perché non l'avevano mai cercata davvero? Perché nessuno l'aveva mai riportata da loro?

“Charlotte è stata rapita quando era ancora in fasce. Il rapitore fu investito da una carrozza la stessa notte, e loro avevano creduto se la fosse portata con sé. Invece finì sotto la protezione di Grave e poi da noi” raccontò il ragazzo dai ricci dorati, mostrando poi il giornale che ancora teneva nella giacca. Diede la foto alla ragazza perché potesse vedere il volto di mamma e papà, e a Charlotte parve ancora più assurdo che fosse la realtà.

“Il libro che leggi sempre, lo ha scritto tua madre. Lo ha fatto per vivere, anche se in modo fittizio, degli anni felici insieme a te”.

“Allora la bambina protagonista… sono io davvero…”

Nella saletta cadde un silenzio difficile da interpretare. Idaho aveva compiuto uno sforzo titanico, senza dubbio e guadagnandosi l'approvazione sia di Logan che di Lisette, però ora bisognava capire come comportarsi e cosa fare, anche se le soluzioni non erano così tante.

Belle alzò la mano: “Quindi non ci resta che una sola cosa da fare: andiamo dai suoi genitori, ci tengono a rivederla!”

“Vero! Perché farli aspettare? Hanno sofferto abbastanza” l'appoggiò Jessie sentendo anche un leggero brusio di approvazione. Tutti erano d'accordo sul da farsi.

Tutti eccetto una persona: “No, aspettate… io non…” Charlotte non riusciva a similare quello che aveva sentito. Le sembrava un quadro troppo surreale, una realtà lontana dalla sua vita attuale. Era come sentire una canzone in una lingua sconosciuta, dove capirla significava studiarla e riascoltarla attentamente,  ma ogni volta pareva di sentire parole incomprensibili e senza un significato preciso. E lo stesso effetto lo avevano fatto le parole di Idaho, e non era uno scherzo: non sarebbe mai andato così avanti, essendo un argomento molto delicato.

Allora era per quel motivo che si era allontanato, era per lei che aveva intrapreso quel viaggio improvviso e senza dare notizie di sé. Ma perché non glielo aveva detto subito? E soprattutto perché non l'aveva portata con sé? Non aveva senso quel gesto altrimenti.

“Ma Charlotte! Dovresti essere contenta, almeno non hai il terribile Grave come unico riferimento familiare!” mormorò Jessie, senza nascondere una nota indignata per la reazione dell'amica, “Ammesso che lui possa definirsi un riferimento familiare”.

“Non è questo” si difese subito la giovane, “É ovvio che sono contenta! Solo… mi sembra surreale. Insomma, non ho nemmeno mai avuto notizie su di loro” guardò Idaho, cercando i suoi occhi. Non capiva perché fosse così dispiaciuto, perché il suo volto trasmettesse tristezza invece di rassicurarla. Quella in fondo non era una brutta notizia, anzi: una confessione più bella di questa non poteva desiderarla. Eppure il conduttore circense sembrava più sul punto di pentirsi di aver aperto bocca, sembrava deluso dalla confessione e impaurito per quello che sarebbe accaduto dopo. Non dimostrava la stessa gioia di tutti gli altri.

“Questo perché nessuno sapeva chi fossi. Come ha detto Idaho: credevano fossi morta” disse Logan avvicinandosi alla ragazza.

Lisette sospirò affiancandolo: “E certamente quell'uomo non si sarebbe mai interessato ad una cronaca del genere”.

“Lui aveva solo pensato che fossi una dei soliti orfani abbandonati. Non si è mai posto domande”.

“Certo però… non si smentisce mica. Nemmeno una domanda si è fatto. Potrebbero arrestarlo?” chiese Jake, con una nota perfettamente udibile di speranza.

“Ne dubito. Il caso di chiuso per decesso. Il resto non è affare della polizia”.

Nonostante tutti stessero festeggiando modicamente per la notizia ricevuta, Charlotte non era ancora pronta ad urlare di gioia. Aveva bisogno di alcuni pezzi che potessero darle la certezza di quello che stava succedendo, aveva bisogno di altre risposte che non avevano a che fare con la sua vita. Idaho se ne stava in disparte, e considerando che aveva deciso di confessare propriocettiva dopo la riappacificazione con suo padre, che era stata opera della ragazza, adesso voleva una spiegazione. Non si sarebbe arrabbiata, lo promise a sé stessa, avrebbe accettato qualsiasi motivo purché lui risultasse sincero. Ogni ipotesi che le veniva in testa era plausibile e giustificabile.

“Idaho” lo chiamò dolcemente, cercando di trasmettergli tranquillità, e lo prese da parte perché non si sentisse sotto esame, “Voglio solo sapere perché non me lo hai detto subito. Non mi arrabbierò, promesso”.

Idaho per un secondo si ritrovò spalle al muro, sembrava un animale in gabbia in attesa della sentenza del proprietario. Lo vide rotare gli occhi con un movimento quasi impercettibile, per vedere se poteva fidarsi o se gli conveniva stare in silenzio. Charlotte non sopportava quella vista, non era sotto tortura e non voleva credesse di poter finire in qualche guaio: “Idaho” gli disse con voce più bassa e dolce, “Ti assicuro che non mi arrabbierò. In realtà sono felicissima che tu me lo abbia detto”.

“Charlotte… mi dispiace, davvero…” nello stesso istante in cui pronunciò quelle parole, Idaho vomitò tutti i suoi pensieri e le sue paure: non aveva mai avuto intenzione di farle del male, ma temeva che sapendo una cosa del genere lei avrebbe voluto tornare subito alla sua vera casa dimenticandosi di tutto quello che avevano passato; quando aveva preso la decisione di partire, lo aveva fatto con l'intenzione di farle una sorpresa, di ringraziarla per tutto l'impegno che aveva dato e per pe belle giornate passate, ma all'ultimo aveva temuto che la cosa potesse ritorcersi contro.

“Io non volevo fare del male a nessuno, nemmeno ai tuoi genitori ma…”

“Volevi farmi una sorpresa? Sei un angelo!” la ragazza non ascoltò l'ultima frase, gli si lanciò al collo baciandolo appassionatamente. Avrebbe dovuto arrabbiarsi, era vero, ma il pensiero che lo scopo primario fosse proprio regalarle la bella notizia di non essere stata uno dei tanti bambini scartati ribaltava totalmente la situazione.

“Non dovresti odiarmi per avertelo tenuto nascosto?”

“Dovrei, però hai rischiato le pene dell'inferno in strade sconosciute per me, come potrei essere arrabbiata? Non so nemmeno come ringraziarti”.

“Lo hai già fatto” mormorò Idaho sorridendo timidamente, e alludendo all'incontro con i Parsefall, che considerava un gesto anche troppo grande per uno come lui.

La mattina dopo, pur non avendo dormito per l'eccitazione e la paura, Charlotte era perfettamente sveglia e attiva mentre le macchine percorrevano quella strada che l'avrebbe condotta, finalmente, alla sua vera vita. Gl alberi che correvano veloci dalla parte opposta parevano avere una forma diversa, un tipo sconosciuto di vegetazione che ancora doveva essere scoperta; il cielo le sorrideva pur non avendo una bocca, pur non svendo un volto preciso che potesse puntare sui poveri terrestri che facevano sempre di tutto per sopravvivere. Adesso era lei quella che aveva ottenuto finalmente il privilegio di potersi definire felice e fortunata, adesso che finalmente sapeva di avere un'origine. Era davvero curiosa di sapere se la villa di cui le aveva parlato Idaho quella sera fosse identica a quella descritta nel suo libro: una grandissima casa color panna circondata da un immenso prato pieno di fiori e di piantine colorate, con una recinzione avvolta da fiori delicati ed edera rigogliosa. Era anche curiosa di sapere se Rosina esistesse davvero, se anche tutte le domestiche nominate fossero persone reali, le sembrava ancora impossibile che quel mondo che si era creata solo attraverso la lettura potesse toccarla da vicino.

“Charlotte! Tira dentro la testa o mi ritirano la patente! E già farebbero storie per poco” la rimproverò Logan, cercando di non finire fuori strada per aver guardato indietro.

“Scusami, è che non riesco a stare ferma. Oh cielo… e se non mi volessero più?”

“Che stai dicendo? Con tutto il tempo che hanno aspettato, ti accetterebbero pure se fossi come i barboni delle grandi città!”

Logan parlava proprio con saggezza, ma Charlotte aveva paura lo stesso. Poteva anche essere che non la riconoscessero che potessero pensare ad uno scherzo o ad un modo per approfittare della loro debolezza e derubarli. Sperava davvero non potessero pensarlo o il suo sogno si sarebbe sgretolato davanti a lei in pochi secondi.

Ad ogni chilometro, le sembrava che il mondo stesso stesse mutando poco a poco, regalandole solo le visioni più belle.

Ed eccola lì: la villa colore panna che lei aveva sempre immaginato. Deglutì la saliva che le era rimasta in bocca, e paradossalmente essa le sembrava davvero asciutta. Fece fatica a scendere, le gambe le tremavano e la testa le pulsava leggermente per la tensione. Aveva un milione di domande da fare ma nessuna voglia di sentire le risposte, e allo stesso tempo una grandissima impazienza di poter udire la voce di sua madre infilarsi dentro le sue orecchie per memorizzare le note e i diversi toni. Il viale di ghiaia era esattamente come se lo era immaginato, colmo di piccoli sassolini luminosi, leggermente ingialliti che dava al tutto un aspetto dorato, e più avanti c'era la recinzione con i fiori e l'edera avvolti intorno alle sbarre per abbellirla.

Idaho le tenne la mano, cercando di sostenerla in quel passo forse troppo grande per tutto quello che aveva passato, e tutti insieme si avviarono fino alla porta in legno curata con davanti la fontana ancora in funzione.

Era come se davanti a lei non vi fosse niente di certo, come nei momenti in cui si sta per compiere uno dei più grandi eventi del destino e non si ha nessuna certezza di come andrà avanti la giornata, quando l'ansia ti avvolge fino a soffocarti. Ma la sua ansia non la stava soffocando, una piccola parte diede improvvisamente forza nelle gambe per raggiungere più velocemente la destinazione, trascinando il suo ragazzo quasi come se fosse stato un peluche.

“Pronta per questo passo? Non si torna indietro dopo” disse Lisette mettendole una mano sulla spalla. Era anche un modo per comunicarle che, qualora le cose non fossero come sperava, ci sarebbero stati loro a sostenerla e a darle la forza necessaria per superare la delusione.

“Voi credete che mi… insomma, che mi accoglieranno? Sapranno chi sono?”

“Vedranno me e potranno solo collegare le cose” disse Idaho sicuro, ricordando che era stato con lui che avevano raccontato la storia della loro perdita. Potevano effettivamente pensare ad un piano per derubarli o per provocargli altro dolore, ma si erano fidati di un ragazzo che all'apparenza non aveva nulla di cattivo, e il giovane dai ricci dorati era deciso a ridargli la felicità che gli era stata portata via. Con un colpo deciso superò Charlotte e suonò il campanello, in realtà non lo stava facendo a cuore leggero, il pensiero di non rivederla più lo attanagliava così tanto da farlo soffrire di dolore, peggio in due effettivo malessere fisico.

Dei passi si fecero sentire, la maniglia scattò e una domestica, la stessa con il profumo di rose che aveva accolto Idaho quel giorno, si fece trovare davanti allo stipite. Avrebbe voluto chiedere se avessero bisogno di qualcosa, anche se trovarsi davanti tutto quello squadrone di persone vestite in maniera bizzarra poteva rendere chiunque perplesso e confuso, ma appena i suoi occhi si spostarono su Charlotte, non ebbe nemmeno la forza di pronunciare una sillaba, correndo subito dalla parte opposta chiamando i padroni.

“Lo sapevo, non andrà bene per niente”.

“Come fai a dirlo? Non li hai nemmeno visti”.

“Ma non ti sei accorto di come è scappata via?”

La domestica tornò dopo poco, con i padroni al seguito, e alla ragazza parve di trovarsi davanti a un dejavu: era come se stesse vedendo la stessa scena tra Idaho e suo padre, solo che adesso la protagonista era lei e non il ragazzo, e davanti a lei non vi era Christian Parsefall ma i suoi genitori: Aaron e Delia Nolan. Erano proprio come li descriveva il libro, erano proprio come in foto, erano come lei. Si rivedeva nella madre: stessi boccoli neri e occhi limpidi, e stesso naso del padre. Forse persino loro avevano subito capito di chi si trattasse, erano fermi in piedi, impietriti dalla sorpresa.

“Evelyn…” sussurrò la donna, e Charlotte annuì pur sentendo un nome diverso, qualcosa le diceva che quello doveva essere il suo effettivo nome di battesimo.

“Lei risponde al nome Charlotte, signori” si intromise lievemente Idaho, per evitare che potessero insorgere equivoci inutili.

Ma non fu necessario dare alcuna spiegazione, entrambi i coniugi si buttarono tra le braccia della loro figlia, e lei li imitò nello stesso istante stringendoli così forte da cercare di recuperare troppi anni di lontananza. Era incredibile la piega che aveva preso la sua vita nel giro di un anno: si era ritrovata bestia da circo e dopo una delle migliori danzatrici della compagnia, fino a diventare la figlia di persone importanti. Non avrebbe mai creduto di poter vivere un'esperienza simile. E doveva tutto quanto al Circo delle Speranze, che le avevano permesso di poter vivere un'esistenza migliore sotto ogni aspetto, di poter viaggiare più di quanto avrebbe creduto, e le avevano insegnato a credere nelle proprie capacità, che erano tante e lei nemmeno sapeva di avere.

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