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Riappacificazione

Il dito gli tremava mentre si avvicinava al campanello. Quel bottone di ottone avrebbe sfondato tutte quelle mura che si era creato nel tempo, viaggiando e allontanandosi chilometri e chilometri da quella villetta che aveva segnato troppi momenti tristi della sua vita.

È come trovarsi davanti a un mucchio di punti dove le scelte segnano per sempre il proprio cammino: ci si può trovare davanti a un bivio, due strade all'apparenza perfettamente uguali e ritrovarsi in due posti completamente diversi; si può arrivare ad un precipizio ed avere l'impulso di buttarsi per vedere in quanto tempo si raggiunge il mare in picchiata. È come aspettare delle notizie importanti e non sapere se saranno belle o meno, come affrontare dei momenti di cui c'è solo l'ignoto ad abbracciarti. Quel bottone di ottone aveva proprio lo stesso aspetto di un precipizio alto chilometri e chilometri, dove si poteva solo scrutare a grandi linee gli spuntoni affilati e rocciosi degli scogli pronti ad accogliere il corpo inerme che per mancanza di ossigeno è spirato durante la caduta, rendendo il letto duro e pericoloso una tomba unica dove il proprio animo sarebbe volato all'altro mondo.

“Dai, puoi farcela Idaho” sussurrò Charlotte, accarezzando una spalla per far sentire la propria presenza.

Il ragazzo però ebbe l'impulso di tirarsi indietro, mosso improvvisamente da un moto di vergogna che lo avrebbe schiacciato per il troppo peso, bloccato dalle sue gambe di piombo che non avrebbero mai varcato quella soglia, consapevoli che quella che avrebbe visto sarebbe una faccia delusa e arrabbiata, con il solo scopo di cacciarlo via una volta per sempre. Tutta la rabbia che aveva provato era mutata in una paura che gli impediva di restare calmo, il dito aveva preso a tremare di più e il fiato si fece più corto. Eppure era una persona che conosceva molto bene, se avesse avuto davanti uno di quei pezzi grossi dell'economia imprenditoriale si sarebbe sentito più tranquillo; ma evidentemente l'idea di poter rivedere i suoi genitori dopo mesi e mesi di silenzio - la bellezza di tre anni - lo aveva reso molto più insicuro nei loro confronti.

“Non mi aprirà mai la porta. Lasciamo perdere”.

“Per favore, Sei arrivato fino a qui. Hai scalato monti e percorso così tante strade, e ti blocchi per una porta che conosci benissimo?”

In quel momento avrebbe voluto cacciarla via. La presenza di Charlotte stava iniziando a risultare scomoda e molto più pesante di quando non lo sarebbe stato lo sguardo imperioso di Logan o quello ammonitore di Lisette. Ma non poteva improvvisare una protesta, in fondo era vero che arrivato a quel punto, tanto valeva finire la corsa e accettare le conseguenze. Fece un respiro profondo e premette quel campanello con fin troppa forza, il suono cantilenante dei piccoli cilindri risuonò fino a fuori. Poi un silenzio logorante.

In quell'attesa infilò nella mente tormentata del giovane dai ricci dorati una serie di pensieri negativi, disturbanti, demoralizzarti, su quello che avrebbe visto di lì a poco. Si immaginava suo padre che gli urlava dietro in preda a un'ira incontrollabile, che gli sbatteva la porta in faccia o sua madre che tirava su una scenata in mezzo alla strada allarmando tutti i presenti. Alla famiglia Parsefall, paradossalmente, non era mai piaciuto attirare l'attenzione con inutili teatrini volti solo ad umiliare chi non era degno di possedere più un minimo di rispetto, ma quando si trattava di torti contro il proprio onore, erano capaci di fare anche di peggio. La sua famiglia aveva sempre dato la precedenza agli affari rivolti al loro nome e alla loro dignità piuttosto che ad altre questioni che si potevano risolvere molto più facilmente.

Christian si sarebbe vergognato a morte per quello che avrebbe visto davanti: lui, un medico chirurgo che tutti rispettavano e chiamavano anche per le operazioni che parevano non avere alcun esito positivo; e suo figlio… era praticamente un nomade.

“Stai straparlando. È l'ansia a fare questo lavoro” lo rassicurò la ragazza affiancandolo. Non le piaceva vedere colui che aveva sempre avuto come riferimento di sicurezza, vacillare peggio di un bambino in mezzo ad una piazza sconosciuta.

“Andiamo… quale ansia, è la verità. Lui ha una fila infinita di clienti che lo raccomandano ed io… non ho nemmeno una dimora fissa. Non ho un lavoro che possa permettere di comprare terreni non ho abiti di qualità decente… sono un…”

“Un angelo che ha regalato a tantissime persone la speranza e la voglia di sorridere. Ma non ti rendi conto che grazie a te anche chi non pensava di farcela, è riuscito a vivere?”

“Ti amo anche io Charlotte… ma questa non è una fiaba” ed effettivamente le circostanze davano tutti i riferimenti meno quello che potesse volgere nel solito finale del per sempre felici e contenti; dava più l'impressione che si potessero spalancare le porte fumanti dell'inferno con Caronte pronto ad accoglierlo, tenendo occupata una porzione di barca solo per lui.

Poi finalmente si avvertirono dei passi, in un lasso di tempo che era parso nterminabile, ma oggettivamente parlando poteva aver preso non più di tre minuti. Idaho riconobbe subito quel suono, quella modo di camminare e strisciare i piedi: all'improvviso tutte le visioni infantili che la sua mente aveva chiuso in una cassaforte con tanto di lucchetto schizzarono via veloci come cavalli al galoppo; il suono delle scarpe laccate a dovere, ma con le suole più consumate della carne essiccata, di Christian Parsefall si fecero sempre più vicini. Poté quasi vederlo attraverso la porta, con il suo camice bianco e lo stetoscopio al collo come per evidenziare che fosse sempre al lavoro anche a turno finito.

Quando la porta si spalancò con calma. A Charlotte parve di vedere doppio, Idaho trattenne il fiato senza rendersene conto, per qualche secondo. Padre e figlio erano uguali in tutto e per tutto: gli stessi capelli ricci dal colore del sole, stessi occhi profondi e in grado di percepire e scavare dentro le persone, stesso sguardo sicuro e disinvolto. Solo i lineamenti esterni avevano qualche differenza: Idaho aveva il viso più tondo, più giovane e molto più morbido di quello squadrato e pieno di barba corta e curata di Christian. Una differenza abissale, però, era esattamente quello che aveva detto il conduttore circense: se li avessero visti per pochissimi secondi, tutti avrebbero potuto scambiare Idaho per un senzatetto in confronto al padre, che portava un abbigliamento sotto il camice aperto degno di una serata di gala.

Quel momento fu surreale: entrambi spalancarono leggermente gli occhi, ma non dissero niente, e la ragazza si sentì fuori luogo. Tutti e due erano dritti nella loro postura, braccia lungo i fianchi e volto leggermente abbassato, quasi come se stessero cercando di capire se la persona che avevano davanti fosse reale o meno.

“Idaho…” sussurrò poi l'uomo, nella sua voce si poteva percepire incredulità, sorpresa e certamente una nota di gioia che cercava di sovrastare tutte le altre emozioni. Se avesse avuto l'impulso giusto, Charlotte pensò che sarebbe anche stato disposto ad abbracciarlo.

“Ciao papà…” Idaho era teso, teneva un tono monotono senza aumentare o diminuire di intensità, mascherando quello che stava provando e che voleva trasparissero senza il bisogno di avidenziarlo.

“Sei proprio tu… quanto tempo…” non ebbe il tempo di terminare la domanda, non ebbe il tempo di chiedere al figlio come stesse, da dietro la figura della moglie apparve incuriosita: “Che succede Christian?” quando vide davanti a sé il figlio, ebbe un sussulto.

“Mamma…”

“Idaho… oh Santo Cielo, sei tu” fu lei a fare il passo per tutti: si avvicinò al ragazzo, gli toccò il volto delicatamente con le mani, prendendolo tra i palmi per vederlo, quasi volesse riconoscere i lineamenti anche se erano inconfondibili, come la sua postura leggermente pendente verso la gamba più corta.

“E tu che stai a fare?” disse poi rivolgendosi al marito, mossa da una nuova forza di dubbia natura, “Nostro figlio torna e tu lo lasci sulla porta? Venite, entrate, entrate pure!”

Charlotte ebbe un piccolo sussulto, in tutta quella fregola di persone riunite, si era convinta di essere invisibile fino a che la madre del ragazzo non la guardò intensamente come se avesse avuto davanti un angelo proveniente dal paradiso: “Hai anche una compagna! Devi raccontarci tutto. Dai Christian non restare lì impalato!”

Il salotto principale che si parò davanti agli occhi della giovane era incredibile: foto di famiglia, di un piccolo Idaho sopra un cavallino a dondolo, lui più grandicello con un pianoforte; attestati e ritagli di giornale raffiguranti il medico intento ad eseguire difficili operazioni, la madre vestita a tema in feste dove cantava. Erano presenti due divani dall'aspetto comodo e più moderno rispetto a tutti quelli che Charlotte era abituata a vedere, dal colore sbiadito ma molto elegante, e statue di busti e cavalli impegnati decoravano la ringhiera il legno di mogano della scala. C'era un piccolo tavolino basso e circolare davanti ai due divani, mentre ne era presente un molto più grande vicino ad un angolo, con un carrellino colmo di bottiglie di alcolici e liquori costosi. E solo vedendo quella sola stanza, Charlotte iniziò a pensare come avesse fatto il ragazzo ad abbandonare tutto quel ben di Dio per una discussione.

“Ne è passato di tempo” Christian si sedette e invitò i ragazzi a imitarlo, nella sua voce non vi era l'ombra di un'arrabbiatura, “Avrai visto tantissimi posti”.

“Ho viaggiato molto, è vero…” Idaho in confronto al padre, sembrava ancora più piccolo, improvvisamente la sua età si era dimezzata come il suo atteggiamento sicuro.

“Avrei voluto l'avere tue notizie… ho scritto molte lettere” confessò il medico, indicò una piccola cassettiera in legno cerato con una pila di fogli e buste, “Ma non sapevo come fartele avere”.

“Mi hai… scritto? E così tante volte?” ora era Idaho quello incredulo, nella sua permanenza ed esistenza come conduttore circense era sempre stato convinto che a Christian non interessava cosa stesse facendo dopo il loro litigio. Invece adesso aveva davanti un quadro del tutto inaspettato.

“Volevo farti sapere quanto fossi felice e fiero di te” dal tavolino basso davanti a tutti, si poté notare un giornale con in prima pagina una foto in bianco e nero ma decisamente singolare: era Idaho che alzava le braccia sorridente, dopo uno spettacolo, acclamato dal pubblico che lanciava fiori e petali; e dietro il resto della compagnia che si inchinava fiero della propria performance. Quella visione lasciò sorpreso il ragazzo e senza parole.

“Tu lo sapevi?” chiese con un filo di voce, incapace di metabolizzare davvero quello che aveva davanti, “Ma come?”

“Idaho, se ricordi bene io ho molti pazienti in giro per il continente. Mi hanno parlato di te, o almeno: avevano detto di aver visto un giovane conduttore circense che potevi essere tu. Uno degli ultimi pazienti mi ha portato questo giornale quando avevi iniziato la tua carriera, e da allora non ho fatto altro che cercare i giorni in cui ti esibivi per vedere come andava”.

Charlotte mise una mano sulla gamba di Idaho sorridenti, istintivamente gli trasmise una gioia che faticava a contenere.

“Io non credevo lo avresti accettato…”

“Ragazzo… hai fatto grandi cose! Hai dato tanto a tantissime persone! Alcuni erano miei pazienti e tu li hai guariti solo facendoli ridere!”

Quella era una situazione del tutto inaspettata per il giovane dai ricci dorati: era stato fermo e convinto per tutto quel tempo che avrebbe dovuto difendere il suo ruolo di conduttore, che Christian avrebbe urlato tutte le bestemmie che poteva conoscere pur di cacciarlo via… e invece eccolo a congratularsi con il figlio per la splendida carriera. Per un attimo Idaho si rese conto che forse non conosceva così bene suo padre come aveva sempre pensato.

“Non voglio rovinare il momento ma…” Charlotte a un certo punto prese la parola, timidamente per non sembrare maleducata, “Suo figlio è tornato anche per… sapere una cosa”. Non voleva che le cose precipitassero, era così felice di poter vedere la famiglia Parsefall riunita, però quella questione doveva essere risolta fino in fondo, soprattutto adesso che le acque sembravano essersi calmate.

“Ecco…” riprese il ragazzo, facendosi coraggio una parola dietro l'altra, “Perché non mi hai mai operato? Tutti gli altri pazienti che avevi in lista… tutti i bambini della mia stessa età… perché non mi hai mai operato?”

Christian si raddrizzò sulla schiena, sospirando: “Perché, Idaho? Ho curato tante persone, è vero, e molti interventi sono andati bene. Ma con te non avevo il coraggio” abbassò lo sguardo, ma non era necessario indagare per sapere che fosse sincero: “Se fosse andata male un'operazione a un qualsiasi paziente, mi sarebbe dispiaciuto però… con te era diverso. Non avrei mai accettato di poterti rovinare del tutto la vita. Non me lo sarei mai perdonato”.

Idaho non seppe cosa dire: si sarebbe aspettato di tutto tranne che quella spiegazione. Aveva sempre pensato che a suo padre non interessasse la felicità del figlio, che per lui arrivavano sempre i pazienti prima della famiglia, ora invece aveva davanti una storia del tutto diversa da quella che aveva sempre raccontato a tutti e a sé stesso. Iniziò a sentire gli occhi pungere per colpa delle lacrime che avevano già deciso di scendere.

“Perché non me lo hai mai detto?” chiese con voce tremolante, rotta da un pianto che stava salendo lungo la gola.

“Avevo paura che se te lo avessi detto, avresti voluto insistere comunque. Io non volevo assolutamente rischiare di farti più male di quanto già non stessi provando. Ma guarda quello che hai fatto: non hai bisogno di un'operazione, sei perfetto così come sei. E sei il migliore conduttore circense che tutti abbiano mai visto”.

Idaho guardò Charlotte, benedicendola con gli occhi per avergli imposto di tentare, di risolvere quel conto in sospeso e poter finalmente mettere una fine stabile a tutta quella situazione. Dentro di sé aveva sempre sperato che suo padre lo vedesse esibirsi, lo vedesse in azione nel luogo che ormai era casa sua, nel suo mondo colorato e fatto di speranza. Adesso avrebbe voluto alzarsi e abbracciare i suoi genitori dopo tre anni di lontananza.

“Un giorno ti abbiamo visto” intervenne la madre, porgendogli un altro giornale con la sua foto sopra, “Avevamo deciso di vederti dal vivo. È stata la tua prima esibizione con questa splendida ragazza” indicò Charlotte con la mano, in un gesto accogliente.

“Perché non vi siete fatti vedere?”

“Pensavamo non ci volessi vedere, dopo la nostra ultima discussione, quando te ne sei andato. Ma ti abbiamo visto e ci siamo vantati del fatto che fossi nostro figlio”.

Non aveva più motivo di trattenersi: il giovane dai ricci dorati si alzò dal divano e andò incontro ai suoi genitori, stringendoli in un abbraccio che sapeva di solitudine, di mancanza e di voglia di rivederlo anche se lo aveva sempre negato. In quel gesto sprigionò tutta la gioia e i sensi di colpa che stava provando per aver dato a suo padre dell'egoista quando aveva solo cercato di proteggerlo, quando non si era sentito di rovinare la vita al figlio. Adesso che lo sapeva non voleva più lasciarli, però non era possibile: lui aveva un circo da mandare avanti, aveva una carriera da difendere, e un'ultima missione da compiere.

Quando uscirono dalla villetta, rinvigoriti da quell'incontro che aveva portato nuove emozioni negli anni dei due ragazzi, Idaho prese da parte Charlotte, ormai certo di dover agire secondo ciò che era giusto: “Charlotte” disse con una nota dispiaciuta, “Io sento di doverti dire una cosa, ed è molto importante”.

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