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Di nuovo in viaggio
Non lo avrebbero mai detto davanti a chi gli aveva affittato l'appartamento, ma lasciare la grande città fuori un sollievo per tutti. Un pensiero comune era che quel posto non lo avrebbero mai dovuto scoprire, per quanto il pubblico si fosse dimostrato oltre le aspettative dei circensi, non erano fatti per le grandi città.
Le macchine furono caricate in fretta, in modo ordinato seppur sempre piene di cose che aumentavano ad ogni sosta. Infatti si era aggiunta una borsa di asciugamani e due tazze in più, vestiti un po' più ordinati e nuovi, uno zaino con dentro dei quaderni, i bambini avevano cominciato a chiedere di essere istruiti.
L'astio che si era creato giorni prima tra Idaho e Logan si stava pian piano dissolvendo, ad ogni passo e ad ogni ora del giorno pareva sgretolarsi e lasciarsi indietro un frammento per volta. La questione prigione era rimasta sospesa nell'aria e mai ripresa, forse perché entrambi sapevano che non servivano parole in più per capirsi.
“Non riuscirai a tenerglielo nascosto, Idaho” disse con voce sommessa il grande uomo muscoloso, piazzando l'ultima valigia in un buco che rese la visione quasi scolpita su pietra.
“Lo so” Idaho chiuse la portiera una volta accomodatosi sul sedile, “Ma ho bisogno di tempo per decidere”.
“Cerca di non farne passare troppo. Altrimenti sarà peggio”.
Quella condizione lo tormentava, da quando era tornato non facevano che ripetergli quale fosse la via migliore, avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa o inventarsi una scusa, quando mai aveva scelto di dire la verità…
“Tu vedi di tenere buone quelle mani piuttosto. Un'altra volta ti lascio al fresco e ti paghi la cauzione con i servizi socialmente utili”.
“Chiedo umilmente perdono!” Logan sospirò la risposta con un tono che tendeva verso l'ironico. Ma anche se ci stava scherzando su, sapeva benissimo che una seconda volta non gliel'avrebbe perdonata nessuno, nemmeno Lisette anche se gli aveva regalato uno di quei baci che facevano girare la testa. Lo aveva perdonato per il suo scatto selvaggio, volto solo a proteggerla da un uomo che non aveva mai accettato per davvero una separazione solo perché la donna che aveva abbandonato era stata in grado di rifarsi una vita; però gli aveva fatto promettere che non sarebbe più successo in quanto non era una persona che amava sfruttare la violenza fisica per indicare la propria superiorità. Non voleva che Colin prendesse dei cattivi esempi o che il suo nuovo compagno potesse in qualche modo rovinarsi del tutto.
“Almeno…” sussurrò Logan sporgendosi verso il ragazzo, assicurandosi che chi stava dietro la macchina non potesse sentire oppure origliare, “Quelle persone… sono gentili? O lo tieni per te perché pensi che potrebbero renderla infelice?”
“Logan… loro sono meravigliosi, e mi dispiace davvero fare una cosa del genere. Ma se le dicessi la verità, se la portassi dalla sua famiglia… non mi vorrebbe più. Non accetteranno mai l'unione con un artista ambulante”.
“Quindi tu hai paura che te la portino via per sempre. Temi di non rivederla mai più”.
“Esattamente. Pensi davvero che a delle persone di un certo ceto sociale possa andare bene l'idea che la loro figlia perfetta si metta insieme ad uno che slitta da una città all'altra per vivere?” Idaho non nascose la sua preoccupazione nemmeno per una sillaba, il pensiero che davvero Charlotte potesse dimenticarsi di lui lo dilaniava, lo rendeva inerme e impotente sapendo che sarebbe stata una condizione a cui lui non avrebbe potuto porre rimedio. In fondo a quel genere di persone interessava solo la facciata superficiale, una visone del tutto apparente rispetto a quello che realmente aleggiava nelle loro vite. Preferivano sempre mostrare quanto fossero perfetti invece che infelici, sfoggiando la prole e i parenti vari come fossero stati trofei.
“Tu però non puoi sapere se anche loro farebbero così. Ti ricordo che hanno pubblicato un libro nella speranza di ritrovare lei. Credo che una famiglia avrebbe rimediato in un altro modo”.
“Tipo cosa? Un'adozione? Figurati se cedono al primo che passa la loro preziosa eredità” il tono del ragazzo si fece acido pian piano, ma non alzò la voce per non farsi sentire. Erano discorsi che altre persone non dovevano ascoltare, non avrebbero capito e in momenti come quelli Idaho odiava che qualcuno potesse impiccarsi senza sapere il quadro completo.
“Tu sei convinto che l'aristocrazia sia solo soldi e vanti. Lo sento dal tuo modo di cercare le parole. Sei convinto che quelli dei piani alti altro non vedano che il loro benessere primario”.
“E mi sbaglio?”
“Io credo di sì” Logan controllò che tutto, nei pochi comandi della macchina, fossero a posto e in regola, “Credo che tu, nonostante tutto, ti sia fatto un'idea troppo generica del mondo”.
“La mia non è un'idea troppo generica. È la verità, la realtà nella sua forma più pura e grezza. Ammettiamolo: quanti nobili hai visto nei nostri spettacoli, a parte in questo posto?”
Logan fece per riflettere sulla risposta, anche se sapeva benissimo che Idaho non glielo avrebbe permesso. Era fatto così: su certi argomenti non passava per niente sopra, preferiva tenersi la propria visione, indipendentemente dal fatto che fosse ragionevole, giusta o tutto il contrario. Era comunque un ragazzo che aveva appena aperto gli occhi al mondo adulto, aveva ventiquattro anni e tendeva ancora ad arretrare nella sua condizione di ragazzino.
“Hai mai pensato, però, che non in tutte le città potessero esistere energumeni in grado solo di sfogliare le proprie mazzette?”
“Certo. E sai che risposta ho ottenuto? Che non esistono”.
Non era vero, Idaho aveva mentito spudoratamente, quei pochi giorni di viaggio lo avevano inasprito e doveva assolutamente tornare com'era prima, altrimenti sarebbe stato lui la causa primaria di un improvviso allontanamento da parte di Charlotte, prima o poi. Ma era inutile ricordarglielo o semplicemente farglielo notare, qualora avessero voluto parlare con lui di tutt'altro, Idaho doveva fare i conti con i suoi desideri, doveva vincere una battaglia interiore che vedeva l'egoismo come principale nemico da buttare a terra, e nessuno avrebbe potuto aiutarlo se non sé stesso in quanto doveva iniziare a mettere dei paletti dentro la sua mente, dentro le sue voglie e riconoscere quando l'amore veniva meno.
Il cielo si era aperto, quella mattina avevano rischiato di andare in contro a un brutto temporale, al loro risveglio dei nuvoloni avevano seriamente minacciato di fare esondare i fiumi. La strada che stavano percorrendo si trovava proprio accanto, lo seguiva in una direzione parallela con qualche metro di prato che li separava, si ergeva dopo una leggera pendenza. In alcuni punti, con distanze regolari, si poterono notare delle piccole dighe artigianali per fermare il corso d'acqua, in modo che i contadini avessero abbastanza volume per poter irrigare i campi. Erano coltivati proprio accanto, enormi quadrati marroni e verdi che salutavano i circensi con un aspetto rigoglioso e carico di frutti futuri. Charlotte si chiese se fossero piante di grano o di mais, o se da qualche parte sarebbe cresciuto un albero da frutto. Era curiosa di sapere dove si sarebbero fermati questa volta, sperava in una città un po' più piccola e allegra di quella che avevano appena lasciato, per quanto potesse essere ricca di negozi e attività, non aveva catturato la sua meraviglia.
“Ma abbiamo superato il confine? Quel cartello…”
“Sì Charlotte. Hai appena attraversato il punto esatto dove tutti dicono di avere il capolinea del loro paese. Come ti senti?”
“Ad essere onesta… non mi sento diversa da prima” si mise a ridere e contagiò gli altri. Quella era un'esperienza che si poteva definire insulsa, e pensare che chiunque parlava di oltrepassare il confine come se fosse stato un evento unico al mondo, un'azione leggendaria che solo pochi potevano raccontare. Probabilmente la cosa avrebbe avuto un senso se fossero stati dei soldati, la divisa militare in confronto agli abiti circensi aveva tutto un altro ruolo e un altro peso. Un soldato si riconosceva anche a grandi distanze, i chilometri non sbiadivano affatto la figura e la strada mimetica della divisa, e anche se poteva essere un puntino in mezzo ad un campo, chiunque lo intravedesse provvedeva subito a nascondersi o, peggio, attaccare. Un artista di strada, un acrobata senza denaro, non faceva paura, poteva invece rappresentare un'occasione per accaparrarsi le poche ricchezze che si portava gelosamente dentro le tasche, in fondo i poliziotti non avrebbero mai perso tempo a difendere qualcuno che non aveva nemmeno una dimora fissa o un lavoro stabile. Già dai primi giorni Charlotte si era resa conto che quello stile di vita fosse un po' ambiguo, di dubbia e ufficiale importanza. Alcuni adoravano vedere piccoli acrobati ambulanti e lasciavano cascate generose di monete, ma altri li guardavano con disprezzo e disgusto e li definivano zingari, paragonandoli ai nomadi effettivi che si spostavano per pura sopravvivenza.
“Quelle sono pecore?”
“Penso di sì. Guarda: il cane del pastore le sta tenendo tutte unite”.
“Nostro padre ne aveva un paio, di pecore” disse Jessie sporgendosi dal finestrino, “Erano state un regalo per nostra madre. Lei amava filare la lana e creare delle bellissime sciarpe. Quante ne chiedevano in paese…” sospirò cercando di non incrinare la voce. Il ricordo della loro madre era sempre una brutta spina da digerire, specie sapendo che da quel momento il loro padre aveva perso totalmente la voglia di badare alla famiglia, risposandosi e dimenticandosi di avere due figli.
“Quelle invece cosa sono?” chiese Charlotte per cambiare argomento. Ma qualcosa lo aveva visto davvero: delle tende, dei piccoli accampamenti dove fuoriusciva una colonnina di fumo profumato. Non era di un falò: era il profumo di cibo, di un pranzo caldo che stava cuocendo per sfamare i proprietari di quella piccola tendopoli.
“Quelle, mia cara Wendy, sono tende di veri e propri zingari, come direbbero in alcuni posti”.
Charlotte abbassò le spalle, coke se quella spiegazione l'avesse intristita. Erano persone come loro, niente di più e niente di meno, solo non avevano seriamente una fissa dimora dove potersi stabilire definitivamente. Eppure solo il fatto che avessero una tenda al posto di quattro mura solide sembrava rappresentare una sudicia e inutile condizione di esistenza precaria, indegna di poter ottenere un minimo di rispetto.
“E se ci fermassimo da loro? Per qualche minuto”.
“Che vorresti fare?”
“Io voglio farli divertire. Guardateli: sono soli in mezzo a dei campi, non verrebbe mai nessuno a visitarli”.
Se Charlotte avesse avuto in mano le sorti del circo, sarebbe stata una conduttrice molto più capace di quello effettivo. Aveva subito intuito che quei poveri nomadi avevano bisogno di compagnia, che fosse amichevole e non che avesse intenzione di cacciarli via. Non davano affatto fastidio, erano tranquilli in un fazzoletto di terra che non avrebbe mai coltivato nessuno e il giorno dopo lo avrebbero lasciato proprio come lo avevano trovato.
Logan sorrise e fece una leggera inversione, sterzando in una viuzza che collegava quel campo alla strada principale. Si fermarono a qualche metro di distanza e si prepararono velocemente, non servivano grandi e sfarzosi costumi, bastava essere sé stessi e raggiungere con fare allegro quella povera gente. Fu una sorpresa vedere che non si ritrassero o che li avessero voluti cacciare via: i bambini li accolsero correndogli incontro, le signore aiutavano le madri e guardavano prima diffidenti, poi rilassate le acrobazie e le ruote dei gemelli e dei bambini; Lisette e Belle avevano anche preso in braccio due bambine e le avevano fatte volteggiare in aria, Logan si era posto vicino a un carro e lo aveva sollevato facendo accomodare chi se la sentiva dentro. Era una cosa meravigliosa, non servivano soldi o compensi di nessun genere.
Charlotte non poté fare a meno di sorridere davanti a tanta bellezza, quella sola e genuina che contribuiva a rendere migliore il mondo. Non era necessario spendere soldi senza motivo, farsi così belli da sembrare di porcellana, quella non era bellezza, ma la gioia negli occhi di chi era meno fortunato sì: quella lo era eccome.
“Saresti una perfetta conduttrice di un circo, lo sai Charlotte?”
“Ci credo, ho imparato dal migliore. L'unico che abbia avuto voglia di portarsi via una zavorra e farne una stella”.
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