38
La villa color panna
La visione che si parò davanti al giovane dai ricci dorati fu paragonabile ad uno di quei quadri ad olio unici al mondo. La villa che i suoi occhi individuarono era immensa e fiabesca, avvolta da una siepe rigogliosa e curata come solo i giardinieri più esperti erano in grado di fare. Un lungo e stretto viale di sassolini e beole ocra componeva un percorso lineare che terminava in una piazzola ghiaiosa con una fontana situata proprio al centro, non molto grande ma dalle statuine di angelo e delfini che rilasciavano uno zampillo d'acqua cristallina. Idaho non aveva dubbi, era impossibile sbagliarsi o pensare che fosse solo una coincidenza: quella via era identica anche nella storia che Charlotte leggeva, una somiglianza simile avrebbe mandato fuori di testa anche il migliore degli intellettuali qualora fosse stato un caso. Ma era davvero possibile che quella fosse la casa originaria di Charlotte, che lei in principio dovesse abitare lì? Che avesse avuto un portamento galante era ormai chiaro e appurato, lo aveva sempre dichiarato senza troppi problemi, ma addirittura scoprire una cosa del genere gli sembrava assurdo. Non era solo un'impressione, la sua Wendy era una principessa nel vero senso della parola.
Quindi è qui che sei nata, veramente… Idaho sentì la gola secca, e uno strano senso di esitazione salirgli lungo lo stomaco e bloccargli le gambe. Se prima aveva lo scopo assoluto di voler scoprire tutta la verità e tornare dai suoi circensi con la vittoria in pugno, ora il pensiero che questa verità potesse comportare l'allontanamento di Charlotte iniziò a farsi strada nelle sue paure, e non voleva accadesse.
Non dopo averla salvata da quell'inferno che il proprietario si ostinava a definire circo, non dopo averle regalato una vita decente, come Dio comanda a, e averle dato una casa, tre pasti al giorno e una felicità che non avrebbe trovato da nessun'altra parte, non dopo tutto quello che avevano passato insieme.
Ma era anche vero che non aveva fatto tutta quella strada per tornare indietro ad un passo dal traguardo, e a quel punto se doveva scoprire la verità a tutto tondo, tanto valeva compiere anche quell'ultimo passo. Aveva anche la remota possibilità che fosse tutta una fantasia e che alla fine quei coniugi non avevano nessun legame con la sua Wendy, avrebbe comportato un'interpretazione del tutto diversa dalla sua idea iniziale ma l'avrebbe affrontata con un altro spirito. Quindi non aveva scelta: doveva rischiare e accettare che gli si parlasse davanti la possibilità che rivolgessero la loro figlia.
“Spero solo che abbia la dolcezza di non volersi separare da noi” disse dando una carezza al cavallo che lo aveva condotto fino a lì. Jared aveva compiuto un viaggio più lungo del solito, non era abituato e il suo fiatone, le narici che si ingrandivano affamate d'aria ne erano la prova. I cavalli si meritavano proprio l'appellativo di creature nobili con tutti sé stessi, capaci di percorrere strade tanto lunghe senza riposarsi e in grado di portare sempre al traguardo il loro cavaliere nel migliore dei modi. Avrebbero dovuto guadagnarsi un posto nell'Altro Mondo tutto riservato alle creature più fedeli.
Tirò leggermente le redini e lo convinse a seguirlo lungo il viale curato, circondato da due file ordinate di alberi perfettamente potati e rigogliosi. La villa non era provvista di cancelletto per confinare il territorio, ma Idaho lo notò poso distante con una recinzione in ferro da cui si potevano vedere delle piante fiorite arrampicate e avvinghiate lungo le sbarre. Più si avvicinava e più quella villa sembrava surreale e allo stesso tempo vera in ogni suo centimetro, il colore della panna sui muri le dava un aspetto luminoso, sembrava una struttura di accoglienza prima di raggiungere le porte del paradiso.
“Posso aiutarla?” chiese una voce poco distante, appena il ragazzo si voltò notò una donna con un completo da domestica. Era interna a sbattere con uno sbatti-panni un tappeto dai temi floreali, con colori non troppo accesi e in disegni sottili e regolari. Aveva un aspetto esotico e pregiato, di sicuro acquistato in qualche viaggio in Asia oppure ottenuto in qualche ricevimento di gala.
Idaho fermò Jared poco distante dalla piazzola, per non rovinare l'ambiente curato: “Penso di sì, signorina”.
“Signorina… sono lontani quegli anni ormai, in cui ero signorina” la domestica rise tristemente, ma non con un tono acido. Si sentiva solo una bella dose di nostalgia nel ricordare degli anni ormai passati per sempre. Il ragazzo cercò di non darlo a vedere, ma percepì le sue guance scaldarsi per l'imbarazzo.
“Quindi: in cosa posso essere utile?” riprese la donna posando il legno che aveva in mano e avvicinandosi.
“Cercavo i padroni di questa villa. Mi hanno detto che abitavano qui” Idaho prese il ritaglio di giornale dalla giacca, per mostrare le foto dei coniugi. Lasciò che la domestica lo prendesse in mano per osservarlo meglio, la foto in bianco e nero risaltava poco in mezzo ai raggi solari che la colpivano quasi avidamente. Vide il volto di quella donna farsi triste, farsi rassegnato come se stesse guardando dei tempi ormai persi nel passato.
“Sì” disse poi restituendoli giornale, “Abitano qui. Ma non credo siano in vena di ricevere visite”.
“Posso immaginare…” Idaho lasciò intendere che aveva letto le notizie, “Però dovevo parlare con loro”. Non sapeva bene come annunciarsi, come cominciare un discorso o anche solo quale scusa inventare per non sembrare un ladro intento a studiare la proprietà e potersi accaparrare ogni bene da poter vendere a buon prezzo. Non era quella la sua intenzione.
“Devi sapere, ragazzo, che è molto tempo che non vogliono ricevere visite. Dentro questa villa sembra essersi fermato tutto dopo il loro lutto. Posso fare un tentativo, ma non ti prometto niente” la domestica si voltò e raggiunse piano la porta d'ingresso. Idaho studiò in silenzio i lineamenti che aveva avuto davanti, il leggero profumo di rose che emanava il vestito e i capelli, e gli ricordò subito Rosina, la domestica dentro la storia. Un altro elemento che lo stava convincendo sempre di più di essere nel posto giusto. Non fu in grado di capire quelle che si stavano dicendo dentro la villa, le voci erano ovattate e senza un suono nitido che potesse permettere di percepire le diverse sillabe, ma avvertì una voce maschile, di un uomo ormai consumato da lunghi anni di attesa senza speranze.
Quel pensiero gli creò un nodo alla gola, in effetti, pur non essendo padre, poté immaginare il dolore nel perdere una persona cara quale era un figlio o una figlia. Stando a quello che aveva detto Grave, il loro unico figlio gli era stato portato via da un destino troppo crudele. Per una frazione di secondo gli tornò in mente il suo di padre, quando dopo una discussione lui gli aveva urlato addosso di non essere degno del suo affetto, e subito dopo aveva raccolto le sue cose ed era scappato senza voltarsi. Forse, da quel giorno in avanti, Christian Parsefall doveva aver sofferto molto.
La domestica tornò fuori, fece un segno al ragazzo di avvicinarsi. Gli disse che il padrone era disposto a riceverlo, ammesso che non fosse per una pura perdita di tempo o per un divertimento personale. Idaho non capì subito cosa intendesse, non era certo venuto lì per prendersi gioco di due persone come loro, come minimo si sarebbe beccato un arresto e un processo identico a quello di un assassino. Forse avrebbero creduto potesse essere lui il famoso assassino che aveva portato via e ucciso il loro figlio.
Idaho entrò piano, con rispetto, nella villa. Attraversò la porta e gli arrivò al naso un odore forte ma piacevole di lavanda e agrumi. Poco distante dall'entrata, una cassettiera con uno specchio lucidato rifletté la sua immagine, e per la prima volta si vide parecchio trasandato. Alla sua destra trovò una scala dalle ringhiere a ghirigori e con le sbarre di legno attorcigliate, come se stessero eseguendo una danza ordinata. Il pavimento doveva esser stato appena lavato, ai pochi raggi solari che penetravano tra le tende bianche e tirate, le piastrelle ambrate luccicavano come avvolte dalla rugiada.
Ma paradossalmente, al conduttore circense, tutto quell'ambiente diede un terribile senso di chiuso e di soffocamento, una strana avversione per l'esterno e un'irrefrenabile bisogno di nascondersi. Il tempo pareva essersi fermato dentro quelle mura, Idaho percepiva un brutto senso di dolore pesargli sulle spalle pur non avendo nulla che glielo stesse alimentando.
“Sei tu che hai chiesto di vederci?” una voce gentile ma sommessa attirò la sua attenzione. Oltre il corridoio, appena dentro un enorme salone, una figura scura di un uomo lo stava osservando, dritto con la postura ma dalla muscolatura rilassata e spenta, come il suo sguardo. Se la poca luce non avesse permesso di mettere a fuoco le immagini, qualcuno avrebbe potuto scambiarlo per un fantasma.
“Buongiorno signore…” voleva essere educato, ma qualcosa dentro di sé parve suggerirgli di pesare bene le parole, il padrone di casa non sembrava affatto in vena di voler avere compagnia.
“Beato te, che puoi definirlo tale…” il signore si fece da parte, per potergli permettere di terminare il corridoio, “Forza. Se devi fare qualcosa, muoviamoci”.
“Lei… per cosa crede che sia venuto, esattamente?”
“Non saprei… beffe? Qualche annuncio di vendita? Non so… ultimamente non ho interesse per quello che succede nel mondo” notò poco dopo l'abbigliamento del giovane, constatando subito che non so trattasse di un garzone che era stato mandato da qualche artigiano per propinargli lo scomodo lavoro di vendere porta a porta. Idaho quindi decise di non perdere tempo per fargli indovinare: si presentò come conduttore circense e come ragazzo mosso da buoni propositi; gli confessò che non era sua intenzione prenderlo in giro e che lo aveva cercato per un motivo serio. Mentre parlava cercava di raggruppare altre parole credibili per le frasi successive, e gli venne in mente il libro di Charlotte. Poteva funzionare: gli raccontò di come era venuto a sapere di loro, di quante copie del libro avesse trovato in giro e del fatto che volesse documentarsi sui fatti narrati. Sperò che il tono trasmettesse fiducia e che l'uomo non lo cacciassero via subito dopo.
Il padrone di casa, alla spiegazione della storia, fece un sorriso tristissimo, quasi stesse trattenendo le lacrime. Forse sapere che l'opera di sua moglie aveva fatto un giro così lungo gli aveva scaldato quell'animo congelato.
“È bello sapere che quella storia piaccia. Speravamo solo potesse avere un altro risultato…” mormorò con la voce incrinata, “Ma non ha portato a niente”.
“Non voglio essere indiscreto, signore. Ma che cosa è successo?” Idaho porse il ritaglio di giornale, lasciando che il suo interlocutore potesse guardarlo.
“Quella notte abbiamo ricevuto il nostro dono più grande, e subito dopo ci è stato strappato via. Io sono un avvocato molto richiesto, ma come tutti i lavori ho finito per farmi dei nemici. Quella sera mia Moglia ha partorito la nostra bambina, avrei avuto una figlia meravigliosa. Non vedevo l'ora di vederla…” fece una pausa, non doveva essere facile ripercorrere quelle ore che avevano segnato in un colpo solo il momento più bello e poi più brutto della propria vita. Idaho per un attimo di tentato di bloccarlo, di dirgli che non era obbligato a continuare se non se la sentiva, poteva solo immaginare cosa il dolore provocasse nel suo stomaco e nella sua mente. E mentre il padrone di casa compiva uno sforzo titanico per poter raccontare tutto quello che era successo per non creare inutili equivoci, Idaho stava già collegando tutto. Poteva benissimo prevedere tutto quello che avrebbe sentito: la bambina rapita dall'ospedale forse, portata via nella notte di quel tredici Marzo e poi il corpo di un uomo investito da una carrozza che lo aveva ucciso, e un fagotto davanti al circo di Grave. Non aveva dubbi arrivato a quel punto: la figlia scomparsa era Charlotte, quella povera bambina che loro ancora piangeva era viva e vegeta nel suo circo e lui avrebbe dovuto lasciarla andare. Ebbe un brutto moto di emozioni dentro, contrastanti tra loro.
“Mia moglie voleva chiamarla Evelyn. Diceva sempre che aveva un suono dolce in grado di rendere l'atmosfera leggera. Ma quando abbiamo ricevuto la notizia della sua scomparsa, ha pensato che nella storia non fosse il caso di mettere quel nome”.
“La bambina protagonista era vostra figlia?”
“Era stato un modo per sentirla ancora vicina a noi. Sai era il nome della matrona di quell'ospedale. Abbiamo pensato che potesse essere ancora viva e che così facendo l'avremmo rivista. Ma non è mai successo…”
Idaho avrebbe voluto dire E le vostre preghiere hanno avuto i loro risultati! Vostra figlia è viva ed è bellissima! È con me, nel mio circo. Ma la sua Charlotte… la sua Wendy… non l'avrebbe mai lasciata andare così, non poteva, non si sentiva pronto, immaginava che se fosse stata lontana non sarebbe sopravvissuto. Era innamorato, lo era follemente e questo purtroppo comportava un effetto collaterale chiamato egoismo, leggera possessione verso una persona, un moto di gelosia anche ingiustificata che portava la persona amante a fare di tutto per la persona amata, anche cose che non avrebbe perdonato nessuno. Non voleva fare del male a quelle persone, da un angolo intravide la moglie che aveva sbirciato l'ospite inaspettato. Non voleva deludere le aspettative di quel povero uomo, qualora ne avesse avute, ma sapere che non avrebbe mai più rivisto la sua amata donna, il suo Usignolo, era impensabile. Gli toglieva l'aria, ma aveva deciso di compiere quel viaggio quasi a vuoto per capire da dove venisse, ed ecco la risposta.
“Che cosa crede sia successo? Se non sono inopportuno”.
“Il rapitore è morto investito, e con lui di sicuro la mia piccola. Nessuno ha mai denunciato un ritrovamento, nessuno mi ha mai informato di aver visto una bambina che potesse essere mia figlia… abbiamo anche deciso di dare la descrizione precisa alla protagonista, sperando potesse saltare all'occhio”.
E ci erano riusciti, adesso che il sole aveva deciso di illuminare di più l'uomo, il padrone di casa, Idaho notò una somiglianza del tutto identica alla sua Charlotte: stesso colore dei capelli, stessi occhi della madre che si nascondeva, stesso portamento gentile e dolce… non aveva più dubbi, non aveva più strade per poter tentare una scusa: quelli erano i genitori di Charlotte.
Ma non ci riuscì: non disse nulla, non rivelò l'esistenza della ragazza. Qualcosa in lui si era incrinato nel momento esatto in cui aveva pensato di fare un favore a tutti; ma una vocina, come un piccolo diavoletto posatosi sulla sua spalla, gli disse di tacere, di fargli credere in quello che si era mostrato per il reale aspetto dei fatti. Non se lo aspettava, era sorpreso da sé stesso, mai avrebbe immaginato di poter compiere un atto di quel peso. Lui che si era sempre impegnato per rendere felici le persone, adesso stava pensando di venire meno al suo credo.
Eppure lo fece. Per una volta diede la precedenza alla SUA di felicità. Decise, inaspettatamente a quello che si era ripromesso, di non dire nulla al suo ritorno.
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