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Convalescenza

“Sta' attento Jake! Così mi fai male!” protestò Jessie ritraendosi dalla presa del fratello.

Si era ripresa velocemente, in modo sorprendente, dall'incidente, ma la spalla e il braccio erano stati ingessati e fasciati insieme per evitare più movimenti possibili che potessero compromettere la situazione attuale.

Jake da quel giorno si era offerto di fare tutto per la sorella, essendo l'unico che potesse davvero armeggiare con le sue cose essendo parte della stessa famiglia e avendola vista nuda sin da neonato. Conosceva tutto di Jessie, anche quale sapone potesse andare meglio per la pelle. Il problema era che vederla in quello stato lo metteva sempre a disagio, lo rendeva goffo e tremolante. Cercava di non farle male ma finiva per fare di peggio: a volte per metterle le magliette o per allacciare i vestiti completi, costringeva la spalla a muoversi troppo e gli scatti bruschi la facevano sobbalzare dal dolore.

“Non lo sto facendo apposta!” cercò di giustificarsi, “Ma come posso lavarti se hai tutto questo coso addosso?”

In effetti le fasce, le vende e il gesso rigido non rendevano il compito semplice. Il dottore era stato chiarissimo: non dovevano bagnarsi o danneggiarsi, almeno non finché non avessero dovuto cambiare il bendaggio superficiale per pulire. Se tenute per troppo tempo potevano anche irritare la pelle e creare reazioni allergiche.

Jessie si guardò il tutto, e non poté fare a meno di abbassare lo sguardo in segno di scuse. Suo fratello alla fine non aveva torto, era difficile poter fare le cose con il massimo della delicatezza con il braccio piantato in quel modo. Ma lei non poteva farci niente, le avevano bloccato il tutto così per poter favorire la guarigione dell'osso. Questo però comportava limitazioni nei movimenti e ovviamente niente trapezio.

“Finito. Adesso pensiamo a metterti a letto. Ti porto la cena più tardi”.

“Voglio mangiare con voi Jake. Non mi piace restare confinata qui nella mia stanza e non avere nessuno intorno”.

“Hai me” Jake provò a sdrammatizzare, ma sapeva benissimo cosa intendeva la sorella. Non era molto bello essere trattati come i malati peggiori solo per una spalla danneggiata, e Jessie non era il tipo che amava la convalescenza in solitudine. Restare in una stanza per lei era una tortura, specie se non poteva avere nessuno tipo di contatto in quanto la frattura fresca avrebbe potuto peggiorare. Era una precauzione esagerata, lo pensavano tutti, ma pur di farla guarire erano tutti disposti a tutto.

“Non lo trovi buffo? Idaho si va a fare un viaggio ed io quasi mi ammazzo allenandomi. Una vera fortuna per dove siamo arrivati”.

“E non sai nemmeno tutta la storia di Charlotte che si autoflagella per i sensi di colpa”.

“Me la immagino. Quella ragazza si fa troppi problemi”.

Risero tutti e due, tenendo la voce bassa per non farsi sentire. Non ridevano di lei, era solo una reazione tenera al fatto che pareva interessarsi di più Charlotte a ciò che succedeva nel circo piuttosto che il conduttore effettivo. Aveva preso talmente sul personale la sua entrata nella compagnia, trovando una casa diversa e molto più leggera di quella che aveva all'inizio, che si sentiva in dovere di tenere tutto a posto ad ogni costo, non importava il modo per poter arrivare al risultato. se pensavano che all'inizio della sua convivenza, si era messa a pulire ogni centimetro dell'appartamento che avevano affittato pur di non stare con le mani in mano, oppure che aveva cercato tutti i modi per potersi sentire parte dello spettacolo, le si doveva riconoscere un impegno eccezionale.

“Idaho ha fatto proprio un grande affare, a mettersi con lei. E anche tu lo avresti fatto, se ne avessi avuto le possibilità”.

“Ma io AVEVO le possibilità” ribatté il fratello picchiandosi un pugno sul petto, “Solo non era ricambiato. Alla fine abbiamo una differenza di età che ancora si fa sentire troppo”.

“Lo dici per convincere te stesso” Jessie percepiva subito quando Jake cercava di autoconvincersi che le delusioni fossero mosse da fattori esterni e incontrollabili. Conosceva il suo modo di elaborare i fatti e di superarli. Non era morto nessuno, non era successo nulla di irreparabile, ma era pur sempre una porta sbattuta gli in faccia e solo perché non era stato considerato all'altezza. Ma era maturato molto dai primi momenti: aveva imparato a gestire le cose a seconda del grado di importanza, e che un evento poteva evolvere in modi diversi. Ma ci era rimasto male, la sorella lo aveva capito subito quando aveva tentato di sviare la confessione dei due innamorati; non aveva voluto ammettere che certe scelte erano dettate dal tempo e dalla volontà. E lui aveva perso tutte e due le cose.

Sentirono bussare alla porta, e dal varco di legno spuntò la figura timida di Minù e di Charlotte, come se avesse sentito il suo richiamo da miglia di distanza. La bambina reggeva una brocca d'acqua, avvolta in un panno morbido per non scottarsi, e ai gemelli arrivò il profumo del the alle rose che Lisette preparava sempre come digestivo. La ragazza invece aveva in mano un vassoio da cui si intravedeva il piatto colmo di stufato e verdure, il piatto preferito della ragazzina. C'era in effetti un enorme vantaggio nell'essere convalescente: in qualche modo tutti si sarebbero impegnati ad esaudire tutti i desideri che lei avrebbe espresso, avrebbero percorso mari e monti pur di vederla guarire. ma non voleva essere avida fino a quel punto, non doveva dimenticare che, come aveva giustamente precisato Logan, lei era in quelle condizioni per colpa sua, perché aveva deciso di sfidare il vento forte sapendo benissimo che avrebbe potuto cadere. Il Karma: nulla di più. Aveva voluto fare la splendida, si era decretata superiore e il cosmo aveva provveduto a rimettere i pezzi nel posto giusto.

Minù adagiò a fatica la brocca sul comodino, facendosi aiutare dal ragazzino che le prese dalle mani anche la tazzina che reggeva in un dito, poi prese il tavolino pieghevole perché Charlotte potesse appoggiare il vassoio, e la vista del piatto pieno e fumante fece brontolare lo stomaco a Jessie, che per poco non mosse in modo brusco il braccio malato per fiondarsi sul cibo. Non le importava se avrebbe ottenuto delle ustioni alla lingue, non importava quanto avrebbe dovuto boccheggiare per poter mandare giù un boccone, quel piatto era talmente buono che avrebbe voluto possedere uno stomaco infinito pur di finire un barile intero. Charlotte era davvero brava a riprodurre quel piatto, oltre a lei solo Lisette era in grado di dare lo stesso sapore alla carne come lo faceva la loro povera madre prima di scomparire. Il loro padre ci aveva provato i primi momenti, ma senza successo e avevano sempre dovuto accontentarsi di mangiare carne insipida e verdure crude.

“La prossima volta che ti viene in mente una pazzia come questa, ti trascino giù dalla struttura per le orecchie” la rimproverò la ragazza ma con un tono tenero, senza una rabbia effettiva dentro.

“Mi dispiace, non era mia intenzione farvi preoccupare tutti. Pensavo davvero che…”

“Tu, solo, non farlo più” Charlotte non voleva scuse, non voleva spiegazioni, le bastava sapere che Jessie era ancora con loro e che avrebbe potuto cavarsela in qualche modo. Ma questo non voleva dire che potevano sfidare il destino tutte le volte che volevano, quell'episodio doveva essere un chiaro avvertimento che gli avrebbe ammoniti negli anni avvenire.

“Secondo me ci sta provando gusto” disse Jake, beccandosi un'occhiataccia dalla gemella, “Poter stare a letto tutto il giorno e vedersi servita e riverita deve essere un sogno”.

“Forse per te, caro fratellino, ma per me è una vera sofferenza. Specie perché non posso neppure piazzarmi sulla mia poltrona preferita, avendo i braccioli troppo alti!” protestò Jessie piazzando un finto broncio, pensando che in questo modo avrebbe ricevuto delle scuse. Peccato che possedeva un gemello del tutto immune ai sensi di colpa verso di lei, e si mise a ridere come un bambino divertito. Charlotte scosse la testa sorridendo, una parte di sé finalmente si era rilassata dopo aver visto la sua piccola compagna sana - quasi del tutto - e salva, ma l'altra parte temeva ancora la reazione del ragazzo dai ricci dorati quando sarebbe tornato dal suo viaggio. A dire il vero stava iniziando a pensare che ciò non sarebbe più accaduto: nessuno sapeva dirle dove fosse andato né quanto tempo ci avrebbe messo. E se avesse invece deciso di dare forfè e di mollare tutto? Non poteva pensarlo davvero, si disse dentro, ma la realtà cercava sempre di più di volgere in quella risposta. Logan aveva tentato, nelle sere precedenti, di rassicurarla, come aveva poi fatto Belle insieme a Lisette, eppure più i giorni passavano e più lei sentiva che le sue paure si stessero avverando.

Idaho le aveva sempre detto che le sarebbe rimasto affianco. Le aveva promesso che dovunque fosse andato, l'avrebbe portata con sé. Con le sue parole era stato in grado di costruire un enorme impero di carta e di sogni che lei aveva fatto suoi un centimetro per volta, una sillaba dietro l'altra. E adesso che tutte quelle fantasie erano sfumate nella mattina esatta in cui aveva sentito la notizia della sua improvvisa partenza, tutte quelle promesse erano diventate bugie, oppure solo parole inventate da qualche sciamano considerato folle. Ma Charlotte non voleva credere che fossero tutte menzogne inventate per prenderla in giro, Idaho non lo avrebbe mai fatto, non con tutto quel circo, quella compagnia, quella famiglia improvvisata da perdere in un battito di ciglia. Piuttosto che ammettere di essersi fatta ammaliare da un ciarlatano, si sarebbe buttata da un ponte, sarebbe anche stata disposta a dire di volersi svegliare nella sua gabbia per animali in quel terribile circo di Grave, ma non avrebbe mai dubitato del suo amato angelo dai ricci dorati.

Girava e rigirava il libro che le era stato regalato tra le mani, come se in qualche modo potesse essere connessa al suo amato attraverso un elemento che portava entrambe le loro impronte digitali. E ogni secondo la tratteneva alla finestra per vedere la sua sagoma apparire in strada e salutarla con foga. Avrebbe voluto che quella visione potesse essere reale anche solo un paio di secondi, solo per darle la sicurezza che lo avrebbe rivisto realmente e che non se ne sarebbe più andato. Aveva pensato tante volte di chiedere spiegazioni a Logan una buona volta, con tutto quel tempo che era trascorso glielo doveva, aveva un estremo bisogno di una certezza, anche solo sapere che quel fantomatico viaggio avrebbe avuto una fine.

“Te lo chiedo per favore, Logan” disse uscendo in cortile, senza nemmeno annunciarsi al grande uomo muscoloso. Logan era seduto sull'erba ad aiutare Minù con una ghirlanda di fiori da regalare alle donne della compagnia circense, mentre Belle e Lisette stavano cucendo i vestiti bucati. Non erano molte le faccende da sbrigare, e spesso si ritrovavano a inventarsi qualcosa pur di passare il tempo.

“Credo di sapere che cosa vuoi chiedermi” mormorò il forzuto senza voltarsi, “Ma ho fatto una promessa”.

“Non ti sto chiedendo di dirmi tutto nei minimi dettagli” lei si avvicinò puntando le mani sui fianchi, ma le rilassò subito dopo con un tono più rassegnato, “Voglio solo sapere che tornerà”.

Finalmente Logan si voltò a guardarla, nel suo volto non vi erano emozioni o espressioni dalle sfumature negative, non la stava né giudicando né prendendo in giro: “Charlotte, ascoltami: lui ha promesso che sarebbe tornato. Solo non puoi sapere quanto lungo possa essere il tuo obiettivo, né quanto tempo dovrai impiegare per raggiungerlo. Ma tornerà, non ti lascia da sola”.

“Grazie…” lo disse con un soffio, un filo di voce che dava più l'impressione di essere rimasta delusa che soddisfatta. In effetti non aveva ricavato molto, ma almeno qualcosa aveva saputo ottenere: la certezza che lo avrebbe rivisto. Ma così facendo l'attesa divenne solo più pesante, colma di punte affilate pronte a trafiggerla ad ogni sera che il cilindro nero del giovane non apparve dietro l'angolo. E a nulla servirono le rassicurazioni degli altri, Charlotte iniziò seriamente a preoccuparsi e a dormire male, se dormiva. Iniziò a rigirarsi nel letto e ad avere brutti sogni, come se fossero state voci di un cattivo presagio. Non faceva altro che sognare il suo amato angelo in balia dei pericoli che le strade sconosciute celavano, non riusciva a svegliarsi con le forze necessarie, sempre in pensiero per quello che avrebbe dovuto affrontare il giorno dopo.

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