35
Al circo di Grave
Non avrebbe mai creduto di dover rivedere quel cancello triste, quella massa informe di persone ravvivate solo dall'avidità che quella giornata avrebbe portato nelle loro tasche, quei clienti spenti e capricciosi. Non gli piaceva, c'era un'atmosfera che avrebbe voluto cacciare via, ma doveva compiere quel passo per poter tornare indietro con leggerezza. Ancora era presente la gabbia che aveva dato inizio a tutto, nemmeno si era preoccupato di smantellarla o di nasconderla da qualche parte, come se stesse cercando un sostituto. Idaho sentì qualcosa muoversi nello stomaco, e in modo sgradevole. Il pensiero di dover varcare per la seconda volta quella soglia che gli avrebbe attaccato addosso una sensazione orribile di disgusto lo bloccava, ma il pensiero di poter essere d'aiuto a Charlotte lo spingeva a muovere quei pochi passi che servivano per ottenere anche solo una risposta.
In realtà sentiva che non avrebbe combinato niente, che le sue erano solo insulse convinzioni dentro un castello di carte troppo fragile. Era impossibile riporre le speranze in un soggetto come David Grave, la cui vita sembrava aver riservato solo le peggiori emozioni che un essere umano poteva contenere. Lo vide lì, in mezzo al suo regno, a ciò che aveva costruito con disinteresse. Passeggiava tra le bancarelle e le poche e tristi giostre chiedendo qualcosa ai clienti ma senza aspettarsi di fatto una risposta, solo per ricordarsi di avere persone vive intorno. Vive per non rendersi conto del mortorio che aveva creato con le sue mani, solo per il gusto di guadagnare soldi facili attraverso il dispiacere altrui e le poche speranze che convincevano la gente a farsi avanti.
Se pensava a tutti quei volti che avevano sempre tormentato Charlotte, quegli occhi famelici che ancora si sognava di notte, muovendo il suo corpo come un animale in gabbia, sentiva il reflusso salirgli lungo la gola, ma lo buttò giù con convinzione, non aveva tempo per disprezzare chi già si auto disprezzava gratuitamente.
Si avvicinò al cancello tirando leggermente il cavallo. Grave era un uomo triste, spento, non aveva espressioni positive in quello che faceva. Era confinato lui stesso nella noia delle sue giornate, e aveva solo imparato a conviverci, senza pretendere che andasse tutto bene, senza aspettarsi un premio, il prezzo fisso del biglietto era abbastanza. E anche i suoi dipendenti avevano dipinta la stessa annoiata espressione di chi vuole solo che la giornata finisca, senza troppi giri di danza.
“Facciamolo Jared” sussurrò al cavallo con voce piatta, ma convinta nello stesso momento, “Facciamolo per Charlotte”. Varcò quella soglia, oltrepassò quel cancello che parve buttargli addosso un moto crudele di solitudine e disinteresse, un'indifferenza per il genere umano come non l'aveva mai sentita. Nemmeno i bambini gli davano un senso di tenerezza, troppo impegnati a strillare e a correre dietro ad ogni acrobata che tentava disperatamente di sfuggire al loro controllo. Qualcuno ancora si avvicinava alla gabbia di Charlotte, Idaho istintivamente fece lo stesso ricordandola sola e spaventata alla vista di tutto il gruppo, pronta a ricevere come sempre i suoi insulti e sue botte quotidiane.
“Devi essere proprio disperato per farti vedere qui, ragazzo” la voce di David Grave lo accolse con svogliatezza, niente di cordiale alle sue orecchie. E Idaho non reagì diversamente.
“Ho bisogno di chiederle delle cose”.
“Quella cosa ti crea problemi? Non mi stupirebbe” soffiò l'uomo buttando via un mozzicone di sigaretta, ma prendendone subito un'altra.
“Non è una cosa, è una ragazza, e per sua informazione: si è perso una creatura rara per i suoi guadagni. È una ragazza meravigliosa” Idaho dovette fare appello ad ogni suo briciolo di buon senso per non sputargli addosso le frasi peggiori, una scenata in quel momento non era proprio necessaria.
“Se lo dici tu… io sono solo contento di essermene liberato” la cosa che più lasciava di stucco era la calma piatta con cui parlava di Charlotte, come se fosse stato un oggetto e nemmeno delle migliori origini; come se fosse stata da sempre qualcosa di vecchio di cui sbarazzarsi, ma non si trovava mai il momento giusto. Era una condizione che mandava il ragazzo dai ricci dorati in bestia, una condizione che risvegliava il lato sfacciato e maleducato che aveva addormentato da anni, un odio che fino a quel momento aveva riservato solo ad una cerchia ristretta di persone. E come poteva davvero riferirsi ad un essere umano con quelle frasi, con quelle parole? Come poteva definire un suo simile spazzatura?
“Lei… non ha… il diritto di dire delle cose del genere!” la voce di Idaho tradì rancore, “Non ha il diritto di definirla un oggetto da buttare!”
Grave di tutta risposta si mise a ridergli in faccia, scacciando via anche la più piccola speranza di un atteggiamento rispettoso. Rideva contro Idaho, ma in realtà contro Charlotte, contro gli anni che aveva passato lì, contro tutto quello che lei aveva subito.
“Senti giovanotto” si passò una mano sulla barba non molto folta, ma non curata, “Io sarò chiaro con te, come lo sono sempre: non mi è mai importato di quella ragazza. Non me ne importava allora, e non sarà mai diverso. Volevo solo che sparisse, speravo che sparisse. Ma ahimé lei era sempre qui, arrivava al giorno dopo! Mi chiedo cosa la tenesse davvero in vita…”
Non avrebbe retto ancora per molto. Il ragazzo biondo strinse coì tanto i pugni e i denti da sentire degli schiocchi, e non sentiva altro che il bisogno irrefrenabile di prenderlo a pugni. Ma non poteva lasciarsi andare così, aveva un obiettivo e doveva arrivarci in modo pulito.
“Senta lei adesso” cercò di addolcire il tono, “Sono venuto qui per farle delle domande”.
“Non vedo come io possa esserti di aiuto. Se ho in mente a cosa si riferiranno tali domande”.
“Voglio solo sapere se Charlotte sia sempre vissuta qui, lei mi dice sempre che da che ha memoria, ha sempre vissuto qui”.
David mugugnò qualcosa di incomprensibile, forse per riflettere o per mandarlo a quel paese, ma finalmente Idaho notò un minimo di vitalità in lui: “Sì. Non ha mentito. Quando l'abbiamo trovata era in fasce. Davanti al mio cancello” il ragazzo guardò nella direzione che il dito dell'uomo indicava. Guardava il cancello da cui era entrato, leggermente più spostato verso un angolo nascosto. Non era molto visibile da quella prospettiva, in effetti a meno che non ci si trovasse proprio davanti, il cancello non risultava del tutto visibile.
“Come si è accorto di lei? Da qui non è molto visibile”.
“No, infatti. Era buio, era notte fonda. Strillava come una matta”.
“E non ha pensato di chiamare qualcuno? Di affidarla ad un orfanotrofio? Qualsiasi cosa!”
“Assolutamente no! Non avevo nessuna intenzione di pagare le spese dell'affidamento a quelle suore che pensano di prendersi cura dei bambini in modo amorevole! Non era compito mio!” ma davvero aveva davanti a lui un essere così indifferente e spregevole nei confronti di un povero fagottino? Almeno per una bambina, non poteva provare un minimo di pietà? “La gente avrebbe fatto troppe domande, non volevo problemi. Quindi una mia dipendente se l'è presa e ha insistito perché la tenessimo. Come se avesse avuto la stoffa di una madre…”
Quindi era come diceva Logan? Un abbandono? Una famiglia che non poteva prendersi cura di lei o che semplicemente non la voleva? Non ci avrebbe mai creduto, ed era vero che le parole che usava Grave erano anche parole troppo pesanti per la situazione come realmente era. E comunque il fatto che l'avesse trovata in fasce ancora non significava nulla.
“Insomma: lei si è trovato davanti al cancello una bambina… e non si è chiesto il perché?”
“Tu ti fai domande se trovi un cane randagio in giro per le strade? Non mi sembra” disse David con fare disinteressato. Sì: ma lì non si stava parlando di un cane randagio trovato per strada, aveva trovato una pargolina indifesa e aveva solo pensato di salvarsi la faccia, togliersi tutti i problemi che poteva avere addosso. Ma questo non toglieva che aveva preferito maltrattare una persona indifesa piuttosto che fare davvero la cosa giusta.
“Lei non è un cane, è una persona. E lei deve avere più rispetto per Charlotte” ammonì l'uomo con un tono duro, inflessibile, cercava di fare trasparire il fatto che s avesse potuto, lo avrebbe denunciato alla polizia. David non avrebbe rischiato di finire in prigione, a quella minaccia lo vide sbiancare leggermente e addolcire del tutto il portamento. Se lo avessero arrestato avrebbe perso tutto, ogni centesimo guadagnato e tutto il circo che aveva condotto fino a quel momento. No: aveva troppo da perdere.
“… vuoi sapere altro?” chiese alzando le mani, chiaramente a disagio e scocciato della scomoda presenza.
“Quando ha trovato la bambina…” Idaho non sapeva esattamente cosa chiedere, c'erano troppe cose che ancora non gli permettevano di avere un quadro chiaro. Per ora sembrava solo una comune tradizione delle famiglie più povere: non potevano prendersi cura di un bambino e la soluzione più brutta ma semplice era quella di abbandonarlo a sé stesso e sperare che qualcuno di più fortunato lo crescesse con amore. Non era stato il caso di Charlotte, ma non poteva comunque definirsi la verità nuda e cruda. “Quando ha trovato la bambina… ha visto qualcosa di particolare? Magari per ricostruire il periodo”.
“Ma per chi mi hai preso? Per uno di quei giornalisti che vanno in giro ad appuntarsi tutto nel loro bel taccuino? Non mi importava della neonata, figuriamoci se mi ricordo le circostanze!”
Quel soggetto era incredibile, Idaho stava iniziando seriamente a riflettere sull'alternativa di prenderlo a pugni. Non ci avrebbe guadagnato nulla, vero; ma sarebbe stato lo stesso soddisfacente, e sicuramente molto più efficace che usando la gentilezza. Ma qualcosa comunque avrebbe dovuto dirgli, anche una cavolata, una bugia, una cosa insignificante, ma gliel'avrebbe dovuta dire.
“Però… a proposito di giornalisti…”
“Sì è ricordato qualcosa? Mi va bene tutto, davvero. E quando saprò quello di cui ho bisogno sparirò per sempre dalla sua vista. Promesso”.
“Ricordo che in quell'anno era esploso un fatto un po' particolare. Uno scandalo, una cronaca… non so di preciso. Ma i giornali volavano peggio dei piccioni” mosse le mani come per mostrare tutto il perimetro del suo territorio, come se i giornali si fossero liberati in aria spiegando le ali come tante colombe. Quella notizia cambiava tutto, o almeno cambiava una buona parte. Nel periodo della sua nascita era successo qualcosa che Grave ancora ricordava, qualcosa che evidentemente aveva scosso e non poco quella piccola zona.
“Che cosa era successo?”
“Un lutto familiare. E di quelle belle ricche. Qualcuno di quei nobili doveva aver fatto arrabbiare qualche giro losco”.
“E lei ha… ancora quei giornali?” vide David Grave pensarci, poi borbottare qualcosa come Dovrei avere ancora qualche pezzo. Lo condusse verso quello che doveva essere il suo ufficio, l'unica piccola costruzione che dimostrava un minimo di ordine. Ecco il suo piccolo e intoccabile regno: una sedia con una scrivania che celava un ammasso di fogli stropicciati, avanzi di cibo e contenitori con dentro di tutto. Una discarica in miniatura che il padrone di casa aveva tenuto per pura pigrizia. Più osservava quell'essere, più il ragazzo dai ricci dorati era contento di non averci mai avuto a che fare. Grave raccontò che teneva da parte i giornali per tenere puliti i pavimenti degli alloggi dei suoi dipendenti, a loro piaceva insozzare gli angoli con le loro secrezioni e i loro disturbi di purificazione. Non voleva spendere troppo in saponi che non avrebbero portato a niente.
Lo vide rovistare in un angolo, e poco dopo tirare fuori una pagina di giornale. Idaho la riconobbe subito: era una prima pagina, il titolo scritto in grande e dai caratteri sgargianti, di un nero così perfetto da risultare mistico; un titolo ulteriore appena sotto, poco più piccolo e poi… una foto, di una coppia. Il ragazzo vide la data, e anche se fu solo di sfuggita, le sembrò subito familiare. L'aveva già vista o sentita, quindi poteva confermare senza spiegazioni o ipotesi che fosse il materiale giusto.
“Chi sono le persone in foto?” chiese prendendo un angolo e sollevandolo, per vedere meglio i volti puliti e sorridenti dei due che parevano essere marito e moglie.
“Lui un avvocato molto richiesto. Lei una scrittrice amata e cercata” David mosse con fare brusco la pagina, mettendo a fuoco la foto e guardandola aggrottando la fronte, “Non mi stupisce gli abbiano ucciso il figlio, con tutte le persone che lui ha spedito in prigione, si sarà fatto una lunga lista di nemici”.
Idaho guardò di nuovo la foto, una cosa in particolare attirò la sua attenzione. Quel volto, quello della donna, gli era fin troppo conosciuto. E anche quello dell'uomo non gli sembrò estraneo. Non poteva essere una coincidenza, non poteva essere un abbaglio. Nulla di quello che stava apprendendo era un caso isolato. Che avesse trovato il punto focale che stava cercando?
“Ha detto che gli hanno ucciso il figlio?”
“Sì” Grave si schiarì la voce, “L'assassino non ebbe vita lunga. Lo trovarono morto poco distante da qui. Investito da una carrozza, che fine ridicola per il gesto che ha compiuto”.
“Eh, ma… qualcosa non mi convince” Idaho ravvivò la voce, “Un cadavere vicino al suo stabile, che hanno investito per sbaglio. Lei trova una bambina qui… non ha fatto un collegamento? Non può essere che fosse…”
“Genio! Qui da queste parti i bambini muoiono e scompaiono tutti i giorni! E quella mocciosetta aveva una copertina anonima! Ai nobili piace riconoscersi e lo sai anche tu. Non posso pensare che ogni nanerottolo sia il figlio del re”.
“Ma… va bene” non poteva certo discutere di quello che ormai era stato fatto, “Almeno… questa coppia dove abita?”
“Sono molto conosciuti. Abitano in una città non molto lontana da quei. Anche se ci sono due piccole province, ci si arriva a piedi”.
Se questa cosa lo avesse portato da qualche parte o meno, non poteva ancora saperlo. Però quei volti e quella storiella… dovevano pur portare da qualche parte.
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