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Vita nuova al circo ambulante

“Puoi dormire qui. Questa era la mia stanza, ma te la cedo volentieri. In fondo mio fratello mi adora anche se non lo ammette”

Jessie raccolse le sue cose in modo tanto veloce che parve voler preparare la stanza per una regina, altro che per una nuova arrivata. Sistemò il lenzuolo del letto tirandolo per bene; gonfiò il cuscino togliendo i pochi capelli che erano rimasti impigliati; raccolse alcuni vestiti per terra e spazzò velocemente, quel tanto che bastava per avere una stanza decente. Butto tutto appena fuori dalla porta, avrebbe sistemato dopo, e mostrò a Charlotte tutto l'occorrente per orientarsi: una piccola porta dava a un bagno privato, non molto grande ma con tutto il necessario; l'armadio era a scomparsa vicino al letto e uno scrittoio completava il quadretto. Un piccolo comodino affiancava il letto e due cassetti per lo stretto necessario.

“Se dovessi finire la carta igienica, chiedila pure a Logan. La tiene lui nel suo sgabuzzino”

“Io... davvero non serve che...” farfugliò la ragazza cercando di fermare la ragazzina dal suo andirivieni. Non voleva stravolgere il consueto ordine di quella stanza solo per colpa della sua presenza, avrebbe preferito cento volte di più essere ignorata sotto quell'aspetto.

Jessie le rivolse uno sguardo scandalizzato: “Scherzi? Non esiste che io ti lasci dormire nella stessa stanza di quel gigante! Russa come un treno a vapore, se non peggio! Prendi la mia stanza, io posso dividerla con Jake” lo disse con un tono che non ammetteva alcun tipo di replica. Lei avrebbe condiviso la stanza con il gemello, non era certo un problema.

Charlotte non seppe come ribattere, non voleva rubarle spazio, ma la ragazzina sembrava fermamente convinta della sua decisione, e non l'avrebbe ritrattata facilmente. Balbettò un timido grazie, senza sapere bene come comportarsi e osservò Jessie trotterellare fuori dalla stanza con un enorme fagotto in spalla. A quel punto rimase totalmente sola in uno spazio a lei sconosciuto, ma decisamente più accogliente della gabbia dove era sempre stata confinata. Mosse qualche passo sul pavimento pulito guardando le finestre che davano sulla strada. Erano ben tenute e prive di macchie, e i cornicioni lucidati a dovere, la c'era del legno emanava un odore acre ma non fastidioso.

Il materasso era morbido e candido, come una nuvola soffice, tutto il contrario del suo giaciglio di paglia dove per scaldarsi era anche costretta a scavare dentro come un tasso nei boschi. Sentì poi delle grida provenire dall'esterno, ma non dalla strada. Si sentivano fino a lì ma provenivano da un punto lontano lungo il corridoio. Tenendosi vicina alla parete, Charlotte chiuse la porta dietro di sé e barcollò cercando di mantenere il più possibile l'equilibrio. Camminare con quei tutori era davvero scomodo, ma senza di essi sarebbe dovuta strisciare per tutto il piano. Doveva ammettere che quel ragazzo era stata una manna dal cielo: aveva capito subito cosa avesse e aveva prontamente provveduto a curarla. E non aveva chiesto nulla in cambio. Nessuno lo aveva fatto, penso muovendo un passo per volta, nonostante la stampella le permettesse di restare in piedi.

Il grande salotto fu il punto più difficile, non aveva pareti vicine avrebbe altrimenti dovuto percorrere tutto il perimetro destreggiandosi tra mobili e scatole buttate in giro. Individuò la colonna dove si era aggrappata al suo arrivo, doveva solo muovere pochi passi, non era molto distante. Ma il pavimento riprese la forma di un fiume in piena, un mare invaso dalle onde scuro come la notte. Lei si sentì di nuovo quella piccola barchetta in balia del vento e della tempesta.

“Bisogno di aiuto?” mormorò una voce vicina a lei. Idaho le mise le mani sui fianchi aiutandola a stare dritta. Ora la visuale si presentare più dritta e ferma.

“Mi devo... ancora abituare a questa nuova postura” cercò di giustificarsi lei, sentendo le guance andare in fiamme.

Essere salvati da una difficoltà tanto stupida risulta molto più umiliante. Ma Idaho le rivolse un sorriso cristallino, privo di scherno, quasi comprensivo. Percorrendo cautamente il salotto, Charlotte si accorse che il ragazzo dai ricci dorati zoppicava: una gamba si muoveva in modo lineare, per poi piegarsi di scatto al movimento della seconda gamba. Sembrava fare fatica, eppure camminava a passo svelto senza battere ciglio o fiatare.

arrivarono davanti ad una finestra che dava in un piccolo e quadrato giardino. Era circondato da una vecchia staccionata bassa e consumata; il prato era metà secco, nei punti più assolati, e metà verde e umido negli angoli in ombra. Vi era una stalla piccolissima, composta solo da una cabina che ricordava il box di un cavallo; una bizzarra costruzione composte da dei pali e delle altalene molto alte si ergeva in mezzo al quadrato come un'incredibile e importante attrazione. Charlotte vide i gemelli Jake e Jessie coi piedi di uno dei due pali con Lisette accanto. Colin giocava con una bicicletta di legno. I ragazzini sembravano litigare, ma da quella posizione era impossibile capire di cosa stessero discutendo.

“Credo che dovrò cimentarmi nel ruolo di mediatore” scherzò Idaho picchiettando le dita della mano sul vetro, “Vieni con me Charlotte?”

“Che sta... succedendo?”

“Nulla di ché, litigi tra fratelli. Succede sempre quando si avvicina il giorno designato”

Scesero le scale strette con cautela. I gradini irregolari rischiarono di far cadere la ragazza, ancora vacillante sulle proprie gambe, e Idaho dovette correggerla molto saldamente. Avrebbe dovuto assolutamente avvisare il proprietario dell'edificio prima che le anziane inquiline si decidessero a prendere una brutta posizione. Dovettero incespicare per diversi gradi i ma finalmente trovarono una porta di legno scura e consumata che diede sul giardino. Da quella prospettiva parve molto più grande, erano davvero così in alto? Dalla finestra era parso un quadretto abbastanza piccolo.

Lo spazio che si parò davanti agli occhi di Charlotte presentava una luce accecante e calda, il sole le accarezzò la pelle e parve di sentire quel calore per la prima volta. Attraversarono il prato rigoglioso avvicinandosi alla struttura in legno che avevano notato dalla stanza. Jake e Jessie erano uno di fronte all'altra e visibilmente arrabbiati, probabilmente il loro battibecco riguardava la struttura. Lisette era in mezzo e cercava di mantenerli calmi, ma due ragazzi i di quattordici anni non erano un bambino di cinque come Colin.

“Ti ho detto che un salto così corto non è per nulla interessante! Ti ci vuole così tanto ad afferrare l'altalena più lontana?!” sbuffò Jake indicando le tre altalene sopra alla struttura.

Jessie ringhio adirata: “Eccome se mi ci vuole tanto! Ma hai idea di quanti metri ci sono di differenza?!”

“Senti: lo spettacolo si tiene tra tre giorni e il numero precedente non va più bene! Quindi o dai retta a me o lasci il posto!”

Idaho si mise in mezzo accanto a Lisette e i due ragazzi si ammutolirono in un secondo. Nonostante il sorriso sempre in volto, Charlotte immagino che avesse una certa autorità. Ora però al posto di un viso raggiante, Idaho aveva un volto molto serio e per nulla rassicurante.

“Idaho! Mio fratello insiste sul voler allungare il salto, ma non ci riesco!” piagnucolò la ragazzina muovendo una mano accusatoria verso il fratello. Jake di tutta risposta cercò di giustificarsi con un tono mortificato.

Charlotte osservò la struttura. L'aveva già vista da qualche parte, in una locandina forse. Sapeva a cosa servivano quelle altalene formate da un pollo, le usavano delle persone volteggiando in aria e afferrandole in caduta. Quindi quei ragazzini dovevano essere dei trapezisti, lavoravano in un circo. E Idaho ne era il direttore? Così giovane?

“Ok sentite: non potete bisticciare sempre per lo stesso motivo. Il numero che avete sempre fatto va benissimo, o rischierete di farvi male” sentenziò il giovane biondo guardandoli alternativamente ad ogni parola.

Idaho non aveva mai gradito che il gruppo decidesse da solo alcuni cambiamenti dei numeri, se questo portava a ferire qualcuno. Se fosse successo un qualsiasi tipo di infortunio non avrebbe mai potuto pagare le spese di un ospedale, per quanto proficue le entrate non lo permettevano. E in realtà quello non era il primo episodio in cui i due fratelli bisticciavano, Jake da sempre cercava di modificare il proprio numero non riuscendo mai ad attenere consensi. Questo perché sua sorella era una fifona e perché il suo direttore quando voleva sapeva diventare davvero noioso.

Lisette avrebbe voluto intervenire in sua difesa, in molti nel gruppo avevano notato il suo velato attaccamento affettivo nei confronti dei gemelli, una sapeva che con Idaho così serio non avrebbe cavato un ragno dal buco. Nonostante i suoi trentadue anni, le indicazioni del biondo su di lei avevano sempre una certa potenza.

“Ma Idaho!” Jake ripartì all'attacco, “Quel numero è vecchio! Almeno modifichiamo la parte in mezzo, solo quel salto! Dai!”

Idaho non si scompose dalla sua posizione, lasciando intendere che Jake avrebbe fatto meglio ad arrendersi. Il ragazzino sbuffò imbronciato e con un cenno troncò il discorso ignorando lo sguardo trionfante della sorella. Lisette lanciò uno sguardo affettivo al ragazzo dai ricci dorati, e Idaho di tutta risposta distolse il suo tornando sorridente e teatrale come prima. Charlotte preferì restare in disparte e solo dopo che le acque si furono calmate si avvicinò lentamente, un po' di più.

Vista da vicino, quella costruzione era davvero impotente. I gemelli alla fine si posizionarono alle due estremità,  vederli salire le scale a pioli le fece venire le vertigini all'altezza dello stomaco; mai avrebbe pensato che due bambini in confronto a lei fossero tanto coraggiosi da sfilare simili quote. Jessie prese un'altalena imitata dal fratello, e dopo una piccola manciata di secondi a Charlotte venne un sussulto: i ragazzini si lanciarono nel vuoto lasciando ondeggiare la propria altalena, e quando raggiunsero il punto più alto si staccarono. Eseguirono una capriola in aria incrociandosi e afferrarono l'altalena opposta. Charlotte non potè trattenere un'espressione ammirata.

Idaho le si avvicinò: “Affascinante vero? Si sono allenati per tanto tempo”

“Voi dirigete un circo dunque?”

“Oh no” fece il ragazzo con un inchino, “lo guido solo i sogni di chi desidera volare”.

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