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Charlotte della prateria
Il sole accarezzava i suoi lunghi boccoli neri come il carbone, illuminando i suoi occhi furbi e curiosi che guardavano lungo l'orizzonte verde del grande campo su cui le sue piccole ginocchia erano adagiate. Raccolse un fiore per sentirne il profumo, lo mise dentro la ghirlanda variopinta che avrebbe regalato alla sua domestica preferita, quella che era solita leggerle la sua storia preferita prima di dormire e che le preparava il bagno con le bolle che sapevano di lavanda. Tra tutte era la serva più giovane, e quindi quella con la mente più vicina alla piccola governante. Charlotte l'aveva sempre chiamata Rosina, data la giovane età e il suo profumo che sapeva di rose. Le domestiche più grandi spesso la rimproveravano per la sua confidenza con la signorina, ma ai signori ma aveva mai dato fastidio. Il panino che la loro bambina potesse avere una compagna di giochi era la cosa che aveva più importanza.
Dietro la grande villa color panna, Charlotte amava correre lungo i prati lucenti, tinti di un verde acceso e rigoglioso; adorava ascoltare il canto degli uccelli e cercare di parlare con loro; si divertiva ad adagiare un pezzo di corteccia sull'acqua cristallina del fiume e seguirla cantando, fingendosi il vento portatore di speranze. Adorava quella prateria più di qualsiasi altro posto al mondo. Le piaceva immaginare che ogni pecora e mucca avesse pascolato intorno a quei fili verdi delicati per poter il latte migliore. I suoi genitori non erano pastori o contadini, ma spesso li avevano assunti per poter ottenere i prodotti migliori.
Era stata fortunata: i suoi genitori avevano sempre pensato che crescerla con la consapevolezza e il rispetto per la natura fosse un attimo modo per farla diventare una donna forte e onesta, capace di vedere in ogni essere vivente una risorsa e non un peso. Non erano mai stati ligi e rigidi sulle leggi e le regole che l'aristocrazia aveva sempre imposto, dato che il miglior modo per farsi rispettare era proprio quello di dare il buon esempio.
“Signorina! E pronto il pranzo!” la voce della governante più anziana la riportò alla realtà, e la bambina si rese conto di avere delle consistenti zolle di terra sulla gonnellina pulita. Sua madre si sarebbe certamente arrabbiata, detestava le macchie di terra ed erba sui vestiti, essendo stoffe delicate che avrebbero potuto rovinarsi facilmente.
“Arrivo!” disse voltandosi, mentre con l'altra mano cercava di togliere il più possibile la sporcizia. Corse verso l'entrata sul retro stando attenta a non disfare la ghirlanda che aveva fatto per Rosina.
“In Nome di tutti gli Angeli, ma che cosa è successo al vostro vestitino?!”
“Mi dispiace…” mormorò la piccola, “Stavo giocando e non mi sono accorta”.
“Be', non potete certo presentarvi a tavola così… forza: andiamo a cambiarci e a mangiare. E lavatevi bene le mani, che quei fiori chissà cosa non hanno sopra”.
Charlotte guardò la ghirlanda con fare perplesso, cercando di capire effettivamente cosa stesse intendendo la vecchia domestica, ma bastò un secondo in più per riflettere se fosse stato il caso di dare quel regalo alla sua amica oppure se avesse fatto meglio a buttarla via.
“Voi non riuscirete mai a stare lontana da quei campi, vero signorina?” chiese la donna anziana, aprendo il grande armadio e tirando fuori un completino pulito.
“Ma Bernarda! Sarebbe come impedire ad una farfalla di volare sui fiori. Non puoi pretendere che una cosa del genere, è parte della sua vita!”
“Capisco” disse Bernarda soffocando una risata divertita, “Quindi è parte della vostra vita correre come una capretta per i prati?” sapeva che a quel paragone la piccola non si sarebbe offesa, era uno dei suoi animaletti preferiti e da sempre aveva desiderato accarezzarne una. Uno dei tanti desideri che purtroppo non avrebbe potuto esaudire: la bambina non era nata con una salute di ferro, e spesso e volentieri, nei suoi primi mesi di convivenza, i suoi genitori si erano rivolti a un sacco di dottori pur di vederla crescere forte e migliorare. Molte malattie per poco non avevano rischiato di ucciderla, aveva detto la governante dell'orfanotrofio da cui era stata adottata; così ad ogni tacca in più di febbre sua madre era sempre rimasta accanto al lettino tenendole la mano e pregando il Signore che non gliela portasse via. I fiori erano il massimo che poteva toccare, poiché avrebbero avuto certamente meno germi di un animale.
“In ogni caso, dovete essere pulite e ordinate. Oggi i vostri genitori hanno ospiti, Ve lo ricordate?”
“Sì…” a Charlotte il signor Ducky non era mai piaciuto. Duck di nome e di fatto, “Non lo sopporto, ogni volta che viene qui, parla e cammina come se fosse una papera! Ha una voce inudibile!”
“Signorina! Non si dicono queste cose!” la rimproverò prontamente Bernarda. Di tutti i difetti che la piccola governante poteva avere, quello lo odiava molto di più: il suo vizio di non riuscire a tenere a freno la lingua quando qualcosa le dava fastidio. Eppure sua madre si era sempre premurata di educarla evitando il più possibile i commenti acidi. Questa sua svista doveva essere stata opera del padre.
“Ma è vero! Nemmeno alla mamma piace! Parla sempre di politica con papà e ci lascia indietro, così noi non possiamo prendere parte alla loro conversazione”.
“Non importa, voi non siete nessuno per dire una cosa del genere. E adesso svelta, lavatevi le mani che il pranzo rischia di raffreddarsi”.
L'interno della villa si riempì del suono dei suoi piccoli piedi che battevano contro gli scalini a ritmi regolari, echeggiando in ogni stanza nelle vicinanze. Si poté sentire, nella sala da pranzo, il sospiro rassegnato e divertito del papà. Avrebbe tanto voluto avere un figlio composto e silenzioso, specie quando erano presenti ospiti, ma non avrebbe cambiato bulla della sua piccolina per nulla al mondo. In fondo, per quanto potesse essere vivace, era una bambina splendida e che più di ogni altra persona era in grado di vedere il buono in ogni viso. E questo rendeva i suoi difetti dovuti alla giovane età un po' meno pesanti, e molto più gestibili.
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