22
Un metro più alto
Jake e Jessie erano sempre stati portati per acrobazie che vedesse una certa abilità con il corpo, bisognava essere molto flessibili e molto veloci in certi movimenti; il rischio era di sbagliare il tempismo ottenendo serie conseguenze per sé stessi e per gli altri.
Un metro in più questa volta, che pur essendo solo una manciata di centimetri, per dove erano soliti esibirsi faceva una grossa differenza. Le altalene sembravano ancora più alte e pericolose, parevano oscillare in modo minaccioso, quasi avvertendo i due ragazzi che avrebbero potuto sbagliare. Ma le parole di Charlotte ancora rimbombavano nella testa dei gemelli, e se lei credeva in loro, come tutti, allora avrebbero dovuto esibirsi con più sicurezza. Alla fine avevano superato di peggio, affrontato momenti più imbarazzanti e assistito ai numeri più spaventosi; se Belle, Logan e Colin erano stati in grado di sopravvivere e scrivere un frammento in più della loro storia, anche i fratelli trapezisti n sarebbero stati in grado.
“Be', se ci pensi…” se ne uscì a un certo punto Jake, osservando con fare mezzo disinteressato i trapezi sopra le loro teste, “Alla fine non sarà poi tanto difficile”.
“Ti ricordo che abbiamo una bella serie di passi improponibili da eseguire alla perfezione, credi davvero che sarà una passeggiata?” chiese la sorella con un tono incredulo. A volte suo fratello era in grado di partorire pensieri che nemmeno un ubriaco si sarebbe sognato di estraniare, ormai ne aveva la conferma.
“D'accordo, ma se la devi vedere in modo tanto negativo, non sali più. Dai Jessie, alla fine è solo un metro rispetto alla norma, abbiamo provato di peggio”.
Vero: nella loro carriera circense avevano dovuto affrontare numeri peggiori, dato che l'interesse del pubblico variava in base alla zona dove si trovassero. C'erano stati spettatori che avevano già assistito ai numeri più strambi, e alcuni che non avevano mai messo piede in un circo, ma solo osservato semplici feste di paese. E lì, come potevano vedere entrambi i ragazzi, si stava parlando di damerini rigidi e vestiti bicolore come fossero stati tanti pinguini in una scatola, il ché implicava che il loro tasso di stupore era molto basso.
“Sappi che, se dovesse andare anche solo una cosa storta, questi metri saranno gli stessi sotto cui saremo sepolti, in una bara”.
“Quanto sei tragica… non è mai successo, e secondo te può succedere oggi?”
“Tu non esserne troppo convinto, Jake…”
Quegli occhi annoiati puntati addosso, sul corpo della trapezista facevano un brutto effetto: si sentiva giudicata ancora prima che potessero capire cosa avessero intenzione di fare, e lei di tutta risposta avrebbe voluto di gran lunga invitarne uno in scena e ridere mentre si spiaccicava al suolo per non aver preso bene il legno del trapezio. Era cattivo come pensiero? Forse un pochino, ma alla fine davvero lecito. Evitò però di darci troppo peso mentre saliva la scaletta a pioli che l'avrebbe condotta sul trampolino per raggiungere la giusta altezza, nel lato opposto del fratello per partire sincronizzati come sempre; fissò la traiettoria con gli occhi, mantenendo la schiena ben dritta e rigida per dare il peso necessario a tutto il corpo per poter dondolare in modo omogeneo. Avrebbe poi dovuto aumentare la velocità una volta eseguite tre oscillazioni, lo stesso lo avrebbe fatto Jake, in questo modo si sarebbero incrociati per cambiarsi posizione.
Fino a qui nulla di nuovo, era un meccanismo che sapevano a memoria, ma lo ripassarono lo stesso mentre prendevano in mano quel piccolo e sottile cilindro di legno e stringendolo tra le mani. Pochi passi e si sarebbero trovati sospesi a mezz'aria senza più possibilità di un sostegno saldo. Nella propria testa, dopo uno sguardo d'intesa, contarono fino a tre. Uno… un respiro per calmare la mente. Due… sciolsero le spalle ed eseguirono un ultimo passo, quello decisivo che avrebbe tolto loro il terreno da sotto i piedi. Tre! I due corpi si lasciarono andare disegnando un arco ampio e lineare tra i due sostegni su cui saltarono. Tutto il pubblico emise un sussulto all'unisono, parve una piccola scossa di terremoto che colpì ogni panchina allestita negli spalti.
La prima parte dello spettacolo non fu diversa dal solito, perfino i compagni nel retroscena li osservarono anche abbastanza tranquilli: la mossa dello scambio di altalena era quasi una prassi in un numero sul trapezio, senza quello non esisteva nemmeno lo show effettivo.
“E loro che si preoccupavano tanto” mormorò ingenuamente Charlotte puntando lo sguardo sui ragazzini, alternandolo da uno all'altra, “In questo mestiere sono più maestri loro di chi lo ha inventato”.
“Non guardarli in modo troppo tranquillo, mio splendido Usignolo. Non sono ancora arrivati al momento più bello” la risposta di Idaho fece scivolare via ogni goccia di sicurezza e calma da parte della ragazza, mentre i due acrobati eseguirono il primo passo con estrema facilità.
Che cosa voleva dire non sono ancora arrivati al momento più bello? Voleva forse dire che anche loro avevano escogitato dei passi pericolosi che le avrebbero fatto saltare il cuore in gola dalla paura? Charlotte iniziò a pensare che quella compagnia se le stesse inventando tutte per ucciderla dal terrore.
Jake si girò di centottanta gradi verso la sorella, una volta stretto di nuovo il trapezio ta le mani, ma invece di ondeggiare normalmente, ad ogni oscillazione si tirò su per mettersi seduto, come un bambino su un'altalena comune. La sua intenzione era quella di mettersi in piedi e passare attraverso le corde dell'altra altalena dove si trovava Jessie, e lei sarebbe dovuta tornare al suo posto originale lasciandogli il primo trapezio libero. Era una mossa he richiedeva molto tempismo e intesa, durante gli allenamenti si erano scontrati almeno una decina di volte, in un paio di occasioni cadendo anche rovinosamente per terra. Le loro ginocchia ne stavano ancora risentendo, ma quel giorno avrebbero ignorato ogni segno di dolore.
Ancora una serie di numeri: uno… Jake prese la mira, e fissò la traiettoria calcolando a mente dove avrebbe dovuto trovarsi la sorella al momento del salto; due… passò le mani sulle corde per capire le distanze effettive, il suo busto entrava in maniera quasi perfetta, a pennello avrebbero detto in giro; tre! Il ragazzino saltò buttando il busto in avanti, le mani a guidare il tutto, e nello stesso momento la sorella fece lo stesso ma più in basso. Da sotto, dove si trovavano gli spettatori intenti a trattenere il fiato, parvero due delfini sulla cresta delle onde marine. Di numeri con il trapezio ne avevano visti, in quei piccoli circhi allestiti alla bell'e meglio nelle festicciole di paese, ma mai ad un livello tale da far trattenere così tanto il fiato sospeso e a corto di parole. Era una bella vittoria, un modo tutto loro di decretare la loro superiorità al di fuori del lato economico. Se avessero dovuto stringere la mano ad uno di quegli spettatori in quel preciso momento, sarebbero addirittura stati autorizzati ad ordinare di allacciargli le scarpe prima di prendere la mano, che non avrebbero mai stretto se fosse stata sporca di terra, come avrebbero fatto alcuni borghesi in condizioni normali.
“Siamo sicuri che non vogliano tentare di essere ricoverati d'urgenza in ospedale? Perché ho la netta sensazione che ci stiano riuscendo” mormorò Charlotte, a metà tra il nascondere il viso tra le mani e il voler osservare ogni singola scena.
“I ragazzi sono dei maestri anche nel farti rischiare un infarto. Questo te lo posso confermare”.
“Allora saprò a chi rivolgermi se volessi avere una morte veloce e indolore” lasciò che Idaho la guardasse in modo divertito, con una nota di ragione sqpendo che da quell'altezza sarebbe stato impossibile uscirne indenni in caso di un passo falso.
Adesso era il momento di uno dei passi più pericolosi: quando Jessie lo aveva pensato, la prima volta che ci avevano provato era stata sfiorata la possibilità di rimanere sdentata, il muro su cui stavano provando si era rivelato più vicino di quello che si erano aspettati. Il passo prevedeva lo stesso salto di prima, ma il fratello non sarebbe passato sul secondo trapezio, perché avrebbe dovuto prenderla al volo per le braccia, diventando un'altalena vivente. Dovevano averlo visto da qualche parte, un po' di tempo prima, con la differenza che il numero in questione non era stato particolarmente elaborato.
“Sappi una cosa sorellina: non abbiamo una seconda possibilità. DEVE venire bene” le disse Jake dall'altro lato del palco scenico. E aveva ragione: il margine di errore in questo caso era davvero alto, e senza possibilità di tornare indietro; se avessero sbagliato quel passo avrebbero stabilito la parola fine, e senza una possibile ripresa.
“Jake, noi LO FAREMO andare bene. Preparati” Jessie si mise in piedi sul piccolo cilindro di legno, mantenendosi in equilibrio stringendo le due corde tra le mani. Aspettò che Jake si mettesse penzoloni con le gambe come unico perno d'appoggio. Le sue braccia ora si trovavano a penzoloni, mentre la sua altalena ancora oscillava a gran velocità.
“Io vorrei sapere perché nelle loro teste si formino sempre le idee peggiori. Quel passo lo avevano già provato altri circensi e non era affatto finito bene” contestò Logan portandosi una mano sulla fronte.
“Avranno pensato che, essendo più piccoli e leggeri, potessero avere maggior successo” commentò Belle avvicinandosi di più e portando la testa un po' più in fuori rispetto allo spazio del retroscena.
“Non è questione di peso, devono indovinare letteralmente il momento giusto! In caso contrario si spiaccicheranno al suolo”.
“Ma siete qui per sostenerli o per mandargliela male, voi due?” Lisette li guardò con uno sguardo di rimprovero, trovando stupide quelle parole che potevano solo rivelare una mancanza di fiducia verso i gemelli.
Nel frattempo, Jessie eseguì il salto. Nella sua testa si pararono una miriade di scenari possibili, uno più inquietante dell'altro. Le era venuto spontaneo, un secondo dopo aver staccato i piedi dal trapezio; quelli più prossimi potevano essere riassunti in un letto dalle lenzuola bianche e un bel gruppo di suore che passeggiavano intorno portando medicinali, garze e ferri di ogni forma e dimensione, ma quello peggiore in assoluto aveva un brutto e allo stesso tempo elegante colore di un legno usato per le bare. E se alla fine Jake non l'avesse presa? Se avessero sbagliato ugualmente? Avrebbero avuto anche loro un Idaho pronto a pararsi sotto per fare da cuscino che attutisse la caduta? Le domande erano tante ma le risposte erano pochissime se non nessuna.
Ma nessuno di quegli scenari divenne reale: Jake la prese con una precisione che avrebbe fatto invidia anche al migliore dei matematici, afferrando i polsi e stringendoli in modo che lei non cadesse per terra. Il pubblico si lasciò scappare un forte gemito di paura, vedendo già quella povera ragazza esamine per terra.
“Incredibile! Chi avrebbe mai detto che questo spettacolo potesse presentare un simile livello?” chiese un uomo tra il pubblico, alzandosi in piedi e indicando i due acrobati come se fossero stati degli alieni.
“Adesso che sono qui, rivoglio tutti i soldi che ho speso per gli scorsi spettacoli a cui ho assistito. Non valgono nemmeno lontanamente come questo!” commentò una donna che stava tenendo sulle ginocchia un bambino, rimasto imbambolato a fissare i numeri. Qualche altro spettatore si agitò invocando la bravura dei ragazzi, sostenendo che suo figlio avrebbe dovuto imparare da loro invece che restare seduto in un bar tutto il giorno a parlare di sciocchezze con i suoi amici. Un'altra donna decretò i due ragazzi talmente bravi che molto probabilmente era la gravità a piegarsi al loro volere.
E tutte quelle urla positive erano un ottimo colpo sia per Idaho che per tutta la compagnia: sapere che anche agli occhi di un gruppo di persone ricche e rispettabili loro erano una visione straordinaria dava una spinta notevole la loro autostima e per le aspettative future, un passo in più per la notorietà e la carriera del circo.
“Li senti Idaho?” Lisette gli prese un braccio, “Quelle parole sono tutte per te, sei tu il nostro conduttore”.
“Ma… hanno fatto tutto loro. Si sono inventati il numero da zero e… io non c'entro nulla!”
“Sei talmente stupito che non hai le parole per descrivere il tutto” disse Charlotte accarezzandogli le spalle. Per la prima volta lo vedeva impacciato, perplesso e sorpreso delle creature che lui stesso aveva tirato su. A quel punto la domanda le sorse spontanea: sarebbe riuscito ad esibirsi dopo gli altri? Sembrava altamente incerto e confuso, incapace di collegare quello che stava succedendo.
“Sei pronto ora? Tra poco il conduttore di questo circo dovrà esibirsi” mormorò poi la ragazza, avvicinando di più il viso all'orecchio del giovane per farsi sentire. Idaho però non si dimostrò affatto entusiasta, anzi: sbiancò all'istante. Non gli era mai capitato, di solito durante uno spettacolo era sempre euforico e pronto a farsi vedere, ma questa volta il solo pensiero di doversi misurare sia con il talento dei suoi compagni che con la critica degli spettatori lo mise a dura prova. non si sentiva pronto, non si sentiva a suo agio, ave il sudore e i brividi allo steso tempo.
Non riuscì nemmeno a rispondere alla domanda di Charlotte, si staccò da quel contatto e si rifugiò leggermente più lontan degli altri, sotto i loro sguardi perplessi e preoccupati.
La ragazza gli venne vicino: “Idaho… ma che ti succede?”
“Non ce la faccio…non so se ce la faccio…”
“Stai scherzando?” Charlotte parve incredula nel sentire quella frase, “Tu, colui che ha tirato su quest’attività, che ha raccolto dalla miseria queste persone che adesso stanno ricevendo complimenti su complimenti… non ce la fai?”
“Charlotte, non è sempre così semplice come pensano tutti. Anche se hanno avuto successo… hanno rischiato… se andasse qualcosa storto? se io, o peggio, tu…”
“Idaho, adesso calmati” lei gli prese le mani sulle sue, sentendole fredde e tremanti. Era preda di un attacco di panico alquanto insensato sapendo che era andato tutto bene fino a quel momento, ma poteva essere che si fosse reso conto di aver quasi tirato troppo la corda; dopotutto i ragazzi prima non avevano certo avuto a che fare con passi emplici e per nulla pericolosi. Ma ce l'avevano fatta e questo doveva farlo stare meglio.
“Non hai motivo di preoccuparti, ce la faremo come ci sono riusciti gli altri. Dai in fondo di cosa ti preoccupi? Sei colui che li ha aiutati tutti, uno dopo l'altro! Hai dato loro una strada in cui non credevano più, una via da seguire dove la loro precedente si era interrotta”.
“Ma adesso è diverso, Charlotte. Io non… mi sento pronto”.
Quella non era una frase degna del ragazzo che l'aveva appena pronunciata. Charlotte se lo sentiva che quella non era una frase che avrebbe pronunciato davvero Idaho. Era solo in ansia, poteva succedere, alla fine non si è mai troppo esperti per lanciarsi ad occhi chiusi in spettacoli del genere. Ma lui non aveva motivo di essere preoccupato, e lei glielo avrebbe fatto capire.
“Ascoltami, sarà anche diverso, ma non ti devi sentire così. Possiamo farcela, come loro, a piccoli passi. Devi essere più sicuro Idaho, e se dovesse risultare difficile… cambieremo. Improvviseremo come abbiamo fatto, rendendolo più semplice”.
“… sei certa che andrà tutto bene?”
“Ne sono sicurissima” lei gli rivolse un largo e incoraggiante sorriso, alleggerendo il tremore che aveva posseduto il suo corpo fino a quel momento. Non sarebbe mai stato in grado di spiegarsi cosa gli fosse preo, ma per un momento si era sentito totalmente impotenete, per quando la gente là fuori stesse definendo di suoi acrobati come delle creature straordinarie. Forse si era sentito inferiore, impotente davanti a loro, lui che li aveva dato un ruolo e loro che adesso lo superavano di chilometri da lasciarlo indietro. Un altro conduttore avrebbe reputato quell'atteggiamento come stupido e ridicolo, in fondo alla loro cerchia bastava il guadagno e il profitto che la compagnia era in grado di ottenere. Si vedeva che Idaho era di specie molto diversa dagli altri.
I suoi pensieri vennero interrotti dal fragoroso applauso che scoppiò nel tendone, acclamano i gemelli come gli acrobati precedenti. Jake e Jessie avevano finito in bellezza e lui, troppo preso dai suoi interessi personali della situazione, si era perso il finale e non era rimasto ad acclamarli con gli altri.
“Dovrei essere lì a congratularmi, invece di farmi tanti problemi per una cosa del genere…”
“Non hai motivo di rimproverarti. Sei umano Idaho, e i pensieri non te li può togliere nessuno” Charlotte era forse troppo limpida e ingenua per capire che per lui quella era una brutta mancanza di rispetto, non era mai mancato ad un finale e non avrebbe voluto che i ragazzi potessero sentirsi inferiori alle sue aspettative.
“Siete stati favolosi! Quando avete pensato una cosa del genere?”
Jessie assunse una smorfia furba: “Un circo, qualche tempo fa… abbiamo colto l'occasione”.
“La prossima volta che vi viene in mente un altro numero del genere, assicuratevi di contattare un'impresa di onoranze funebri, che non avremo i costi per sostenere un ricovero in ospedale” bofonchiò scherzosamente il grande uomo muscoloso, dando una sonora pacca sulla spalla del gemello rischiando di farlo cadere a terra con la faccia contro il terreno.
“Non… c'è bisogno di dare il tuo contributo! Dovresti invece essere felice di non esserti liberato di noi”.
“Adesso tocca a voi, Charlotte e Idaho. Manca il gran finale”.
Charlotte si girò verso il ragazzo dai ricci dorati, che ancora aveva in volto delle note di incertezza. Gli prese la mano per dargli forza, come lui aveva fatto quando lei si sentiva inferiore e indegna di poter godere delle loro stesse comodità, o quando non si sentiva pronta ad affrontare certe situazioni. Idaho c'era sempre stato per lei, per darle forza, ed era arrivato il momento di ricambiare il favore mostrandogli che non aveva motivo di tirarsi indietro. Un passo alla volta, insieme, la base di un rapporto solido come quello che adesso volevano costruire insieme, e lei aveva il modo perfetto per stipularlo.
“Coraggio, Peter Pan. L'Isola Che Non C'è ha bisogno del suo padrone per poter splendere”.
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