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Una grande forza

Idaho aveva passato tutta la notte a pensare a quello che Charlotte gli aveva confessato qualche giorno fa, al loro arrivo nella grande città. Tirò fuori la targhetta con il nome della ragazza dalla tasca del suo cappotto rosso appoggiato accanto al letto, e aiutandosi con la fioca luce lunare osservò quelle lettere tanto brillanti che parevano descrivere alla perfezione la lucentezza dei suoi occhi profondi e limpidi.

In quei mesi non si era mai sognato di farle domande scomode sulla sua vita precedente, non era stato molto complicato capire quale fosse stata la sua routine quotidiana guardandola solo per due minuti e comunque le parole taglienti di David Grave lasciavano intendere anche senza cercare i significati nascosti. Ma era stato da subito chiaro anche un elemento importante: Charlotte non c'entrava proprio nulla, quel posto e pe persone che lo abitavano erano lontani anni luce dal suo canone.

Era logico: aveva una leggiadria troppo accurata, come se chi l'avesse concepita fosse stata una creatura leggera e dal portamento innato; aveva dei lineamenti delicati e del tutto estranei ai volto asti e asciutti che si erano presentati in quel postaccio; e poi il suo sorriso... oh, quello era il pezzo forte del suo viso limpido e liscio. Era la parte migliore, il premio più ambito da parte di chi stava accanto alla ragazza.

Spegnerlo sarebbe stato un grave reato, il tribunale lo avrebbero condannato con la peggiore della pena, se non addirittura con risultato una pena di morte.

Eppure, in quel posto non si era presentata una sola anima che potesse dire di averla trattata bene; era come se tutti l'avessero decretata lo scarto per eccellenza, e ad Idaho era stato subito palese il fatto che lei non aveva nemmeno un legame tra i presenti, né si sangue né di affetto. Ma allora perché tenerla con loro, se il loro scopo non era mai stato quello di accudirla? Avrebbe potuto lasciarla alla prima donna che passava per strada, le avrebbe dato certamente una vita migliore.

Invece aveva pensato che tenerla segregata in una gabbia per animali, riservandole le peggiori torture psicologiche e mollandola a sé stessa fosse un'idea migliore, un gran bell'esempio se si pensava che quel circo era prevalentemente frequentato da bambini borghesi che non sapevano come occupare il tempo; questo gli diede ancora più merito l'averla portata via. Ora però, un dubbio più importante lo attanagliava dentro: Charlotte da dove arrivava? Quali erano le sue vere origini? Non sapeva nulla di quella poverina, eccetto il minimo indispensabile e oltretutto perfettamente intuibile.

"Logan?" disse sottovoce, allungando una mano verso il letto del suo braccio destro. Gli diede due colpetti con il pugno, ma Logan era talmente muscoloso che non avrebbe sentito nulla nemmeno con un bastone bello grande.

"Logan!" mormorò con più tono, cercando comunque di non urlare al punto di svegliare gli altri. Se lo avessero sentito, con la strana musicalità che assumeva la sua voce, avrebbero creduto che fosse successa una tragedia.

L'uomo fece un leggero sobbalzo, tossendo e guardandosi intorno confuso: "Che... succede? Idaho è ancora presto... perché mi hai svegliato?"

"Mi chiedevo... secondo te Charlotte ha ancora una famiglia?"

"Mi hai svegliato davvero per una domanda tanto stupida?" Logan si girò della parte del ragazzo con un'espressione stropicciata in volto. Davvero il suo collega non stava dormendo nelle ore più belle per colpa di un dubbio che non avrebbe nemmeno avere in testa? Era una domanda dalla risposta assolutamente scontata: certo che no, quella ragazza non aveva più una famiglia, altrimenti non si sarebbe ritrovata in un circo che aveva solo contribuito a renderla una bestia spaventosa.

"Se fossero stati presenti una madre e un padre... di sicuro non avremmo dovuto portarla con noi. Non ti pare? Se avesse avuto dei genitori, non l'avrebbero mai, e dico MAI, lasciata in quel circo dove la sua mansione principale era spaventare i clienti".

"Però da qualcuno è venuta, voglio dire... come tutti i bambini".

"Idaho..." Logan si alzò in modo goffo, sedendosi sul materasso e appoggiando la schiena alla testiera del letto, più confuso di prima, "Il sonno arretrato ti fa delirare? Non ricordi più quanti bambini abbiamo visto, orfani, senza nessuno con cui stare, magari dentro degli istituti... sembra la prima volta che ne vedi una. Eppure negli spettacoli ne entrano a iosa. Che razza di domande mi stai facendo?"

Idaho si voltò con uno sguardo più sveglio e vigile di un'aquila, mostrando la targhetta che ancora stringeva in mano e puntandola proprio davanti agli occhi dell'uomo muscoloso, come se da lì avesse dovuto trarne qualche illuminazione: "Questo è un pezzo di un libro, un libro ben curato per giunta. Dentro quel postaccio nessuno avrebbe potuto permetterselo, eppure lei lo aveva e ha imparato a parlare e a leggere da qui. Non so te, ma io credo che con questo libro lei abbia uno strano... legame. Voglio capire di più su di lei".

"E cosa vorresti trarne? Lei stessa non sa nulla. Ricorda solo di essere finita in quel circo e di esservi cresciuta. Probabilmente è lì dalla nascita. Ascoltami: sono tanti i bambini che vengono abbandonati per diversi motivi, Charlotte non è né la prima né l'ultima; si è pure data da sola un nome, vuol dire che non si sono nemmeno premurati di fornirle un'identità. Dammi retta, non ti scervellare in misteri che non ci competono".

Logan tornò ad assopirsi, ma Idaho non volle lasciar perdere. Quello che diceva il suo braccio destro indubbiamente aveva un senso, e anche il più logico, però il ragazzo dai ricci dorati era sicuro al cento per cento che Charlotte potesse avere un passato nascosto non indifferente. Alla fine a tutti sarebbe piaciuto scoprire almeno da dove fossero arrivati, lei compresa, e lui voleva avere la soddisfazione di scoprire che il suo posto non era mai stato il circo di Grave. Se lo sentiva, Charlotte aveva tutti i lineamenti e i requisiti adatti per avere un futuro più roseo davanti. E se i suoi genitori non fossero morti? Forse erano da qualche parte in giro per il mondo, aspettando solo una qualsiasi pista che potesse portarli dalla loro bambina perduta anni fa, e che loro avevano cercato senza sosta... ok, erano pensieri troppo fiabeschi e a dire il vero era chiaro come il sole che Charlotte non avesse più delle fondamenta solide di famiglia da diversi anni.

Eppure... quel sorriso, quegli occhi vivi e colmi di speranza... era incredibile come una ragazza cresciuta in quel modo potesse nascondere dentro tanta vitalità e altruismo a dispetto delle vessazioni che aveva subito negli anni passati. Per banalità, avrebbe dovuto addirittura scansare e allontanare Colin con cattiveria, essendo un bambino come quelli che l'avevano sempre presa a sassate nella gabbia. Avrebbe dovuto avere anche paura di Lisette, essendo una madre come quelle che trasportavano i suddetti bambini solo per non averli intorno a infastidirle; e dei gemelli, di Belle... di lui. Quella compagnia era piena zeppa di elementi che lei avrebbe dovuto evitare come la peste se si fosse basata sul suo vissuto, invece no: aveva abbracciato i loro modi e atteggiamenti per includerla giorno dopo giorno, non si era tirata indietro nel volere un posto nei loro spettacoli superando a pieni voti gli allenamenti nel giro di poco. Quella ragazza racchiudeva una grande forza dentro, tale da schiacciare tutti coloro che l'avevano solo esclusa.

E quella forza aveva contribuito a conquistarlo, dall'aspetto fisico sotto quell'ammasso di terra e fango, all'aspetto interiore fatto di dolcezza e disponibilità verso il prossimo. Ormai la vedeva ogni sera, mentre danzavano tra nuvole e stelle avvolti da un leggero vento che li cullava e li accarezzava, proteggendoli dalle intemperie e da tutto ciò che avrebbe potuto ferirli. E lui per primo la proteggeva da quegli sguardi che avevano iniziato a scrutarla con una nota tagliente, e che ad Idaho non piaceva affatto. Nessuno avrebbe dovuto porsi in malo modo verso Charlotte, non lo meritava e non lo aveva mai meritato.

Si svegliò il mattino dopo ancora con il suo viso radioso stampato nella sua mente, sfoggiando un sorriso quasi ridicolo. Ma quel viso se lo ritrovò davanti varcando la soglia della cucina.

"Buongiorno Usignolo! Già sveglia prima che spunti il sole?" disse senza nascondere la sua gioia.

"Vedo anche che non sono l'unica, ad essere sveglia prima del sole" replicò la ragazza voltandosi con un sorriso ammaliante, mentre con una mano mescolava delicatamente del latte in un pentolino. Sembrava intenta a preparare una colazione particolare, Idaho riuscì anche a scorgere, prima attraverso il profumo e poi attraverso la vista, una padellina con dentro della pancetta e quella che sembrava un'omelette.

"Non hai perso tempo a cucinare. Lo hai mai fatto prima?"

"A dire il vero è la prima volta, ma ho visto diverse volte qualcuno ai fornelli e ho voluto fidarmi della mia memoria. Spero solo... di non avvelenare nessuno" il tono imbarazzato di quell'ultima frase lo fece intenerire, era ammirevole anche solo il pensiero che Charlotte l'aveva avuto, qualunque fosse stato il risultato.

"Se vuoi, sarò la cavia che assaggerà per prima".

Charlotte lo guardò con un'espressione a metà sorpresa e a metà impaurita, non aveva affatto voglia di fare una brutta figura davanti ad Idaho con le sue pessime doti in cucina, sempre che si fossero dimostrate tali. Alla fine lei non aveva mai avuto un'effettiva occasione di provare a cucinare, di solito era Jake l'addetto al rifocillamento. Ma questa volta ci teneva, per dare anche a lui una piccola soddisfazione di fare da ricevente, al posto che mangiare sempre per ultimo. Aveva solo paura che il cibo fosse cattivo, ma Idaho le rivolse un sorriso rassicurante e incoraggiante, trasmettendole tutta la fiducia che poteva fare trasparire.

Si assicuro che la frittella fosse ben cotta e non bruciata, la posizionò delicatamente sul piatto e adagiò le fettine di pancetta accanto, versando poi in una tazza il latte scaldato e avvicinando tre fettine di pane tostate poco prima nella padellina. Idaho commentò con lo sguardo la presentazione del piatto, muovendo gli angoli della bocca in un sorriso compiaciuto e aspettò che lei si sedesse di fronte per non gustare da solo la sua colazione.

"Non guardarmi così, mi rendi nervosa..."

"Sto solo aspettando che la chef si accomodi, non mi piace criticare in solitudine".

"Cattivo... criticare non è una bella parola..."

"Dipende dal significato che le vuoi dare. Le parole sono parole alla fine, senza un fine logico. Siamo noi a dare loro un peso diverso per ogni situazione" Idaho inforcò un pezzetto di omelette tagliandola delicatamente, il profumo dei funghi e del prezzemolo gli inebriò le narici e non ci pensò molto a metterlo in bocca. Charlotte aveva detto di non aver mai cucinato prima, non ci credeva nemmeno un po' a giudicare dal sapore: era davvero buonissima, cotta benissimo e per nulla insipida. Finì il piatto in poco tempo, dimenticandosi per un istante che doveva darle un voto.

"Sembra... che io non ti abbia avvelenato" disse incerta Charlotte, con un timido sorriso.

"Se dovesse succedere, avrò comunque mangiato un ultimo pasto davvero favoloso. Ma secondo me tu hai già cucinato in passato".

Charlotte lo guardò senza capire, e lui si sentì in dovere di continuare: "Charlotte, è davvero buono! Se questa è la tua prima volta, pensa la seconda, la terza, la quarta... ma c'è qualcosa in cui non sei brava?"

"Io..." la ragazza abbassò lo sguardo imbarazzata, giocherellando con il cibo spostandolo con la forchetta. Non si era ancora abituata ai complimenti, soprattutto credeva che quelli di Idaho fossero solo volti a farle un piacere più che essere sinceri. Lei non aveva mai imparato a fare niente di utile, tantomeno preparare dei piatti che fossero commestibili, e volle vedere se in quella situazione il ragazzo fosse del tutto, sicuro di quello che aveva detto. Nello sguardo di Idaho non trasparì alcuna emozione nascosta, anzi: si prese ancora un po' di latte avanzato.

"Ti è piaciuta davvero, quindi? Non mi prendi in giro?" chiese con uno sguardo incredulo, e per certi versi carico di speranza.

"Posso assicurarti che questa colazione è una delle migliori che abbia mai provato. Devo solo confessare che Jake si conferma migliore, ma tu vieni subito dopo".

Essere paragonati a Jake in fatto di doti culinarie, era come scalare senza fatica il monte più alto del mondo; la ragazza si sentì onorata di quel complimento, per lei era un traguardo anche troppo grande da conquistare. Ma forse quelle parole che continuava a decantare Idaho non erano affatto sbagliate, forse Charlotte aveva davvero delle doti che aspettavano solo di fuoriuscire e di ruggire come grandi animali fieri e feroci.

Ad un tratto, in quel frangente di solitudine con il ragazzo, a Charlotte venne in mente un pensiero un po' pericoloso: "Idaho, io volevo... chiederti una cosa..." era consapevole che fosse una possibile arma letale, non aveva idea della reazione possibile che avrebbe avuto il ragazzo, e non ci teneva proprio pe niente a volerla sperimentare.

Bloccò la richiesta a metà, non era pronta per affrontare di nuovo gli atteggiamenti aggressivi che aveva subito in diciotto anni, non era pronta a vedere un possibile lato oscuro di un ragazzo tanto bello e giocoso; alla fine era un momento tanto piacevole, perché doveva rovinarlo con una domanda tanto scomoda?

"Sì Charlotte?" gli occhi profondi di Idaho la fissarono in attesa, aumentando ancora di più il panico interiore della ragazza.

No, non era assolutamente il caso di rovinare quel momento: "Io... no, niente..."

Lo sguardo del ragazzo tramutò da una nota di attesa ad uno sguardo perplesso, ma decise di non entrare in fondo alla questione.

"D'accordo... allora, ti va di fare un po' di esercizio prima che si sveglino gli altri?"

"Adesso...?" Charlotte si alzò senza capire, ma il ragazzo dai ricci dorati le fece un cenno teatrale per rassicurarla e invogliarla a seguirlo. Quegli occhi profondi quando la fissavano, le abbassavano drasticamente ogni tipo di difesa, quasi ipnotizzandola e facendole perdere la volontà. Uscì dalla porta sul retro del palazzo dove avevano l'appartamento, trovandosi davanti ancora una volta il grande e caotico paesaggio della grande città. Individuò Idaho poco distante, vicino alla trave dove erano soliti allenarsi da qualche giorno.

"Avevi detto che eravamo perfetti per lo spettacolo, che ci meritavamo una pausa" osservò la ragazza, cercando di capire se il suo fosse solo un altro modo per trascinarla in qualche punto strambo della zona e passare del tempo da soli. Non le avrebbe fatto dato fastidio, se fosse davvero stato così, ma avrebbe preferito saperlo subito.

"Vero" disse il giovane avvicinandosi, "Infatti... ho una richiesta anche io per te, e intendo completarla".

Charlotte lo guardò allargando gli occhi, aspettando, come lui aveva fatto prima, la richiesta che Idaho voleva pronunciare.

"Io ti ho insegnato a vivere fuori da una gabbia, ti ho insegnato ad esibirti in uno spettacolo. Tu hai tirato fuori la tua grinta, la tua volontà. Hai danzato per altre persone, ti sei alzata in piedi e hai camminato quando ti ho aiutato ad ergerti. Ora sono io che ho bisogno di te" Idaho la fissò negli occhi, comunicandole una gran quantità di piacere nel trovarsi davanti a lei da solo, senza nessun altro, "Insegnami a cantare, Charlotte".

"Cantare...?"

"Esatto. Tu sei bravissima, riesci a comunicare cantando ciò che non si può fare parlando. Trasmetti emozioni e calma, rilassi, aiuti, motivi... perché non farlo per gli altri?"

Una richiesta volta solo ed esclusivamente a Charlotte, si capiva. Nessuno avrebbe potuto sostenere lo stesso ruolo al di fuori di lei. Lei che non la sua voce aveva ammaliato il conduttore di un circo dove tutti traevano speranza, definendo lui stesso il suo canto una fonte di speranza.

"... non so se posso insegnarti davvero, se io sia la persona più indicata. Ma..."

"Non importa, Charlotte, davvero. Ma solo imparare quattro intonazioni sarebbe perfetto. E non solo... per il pubblico".

Non solo per il pubblico. Era chiaro che Idaho le stesse inviando tantissimi segnali che le comunicavano una sola parola dominante, ma che lei sentiva di non poter ancora soddisfare. Eppure lui non aveva intenzione bei demordere ma voleva scavare sempre di più fino a farle entrare in testa che voleva solo la sua presenza e nessun altro.

"Non solo per il pubblico" ripeté la ragazza, sorridendo ed espandendo quell'espressione sempre di più. A questo punto, dopo tutto quei giorni insieme, perché ritrarsi ancora?

"Va bene" disse prendendo le mani del ragazzo, "Da dove vuoi cominciare?"

"Da dove vuoi, maestra. Sono a rua completa disposizione".

Non poterono fare a meno di ridere tutti e due, sentendo l'atmosfera farsi sempre più leggera e comica; erano solo loro, complici dei loro sguardi e dei loro sorrisi, delle note che le loro voci intonavano o stonavano e del volume crescente e decrescente che le loro bocche emanavano. Si sedettero sul prato, Charlotte guardò Idaho negli occhi intonando una melodia senza parole, solo il suono soave della sua voce. Piccole e semplici note, una ninna nanna, una melodia per dare suoni nuovi al mondo. E lui le emulava, impegnandosi e mantenendo il contatto visivo come se avesse potuto collegare le due voci l'una all'altra. E ad ogni nota aumentavamo la difficoltà, fino a cantare in concomitanza, insieme, due voci che si sovrapponevano e si intrecciavano come fili di lana; due ali che sbattevano all'unisono.

E poi chiusero gli occhi, lasciando che quelle due melodie li guidassero in luoghi immaginari mai esplorati con gli occhi umani, e lasciando che la brezza li accarezzasse delicatamente.

Il vento pareva essersi preso quelle melodie trasportandole per tutta la grande città, un vortice piacevole in cui tutto avrebbero voluto tuffarcisi dentro. E dove il silenzio faceva da padrone, quel piccolo intreccio do suoni lo sfrattava con prepotenza, arroganza, una forza perfetta e senza punti deboli.

"Te lo ha mai detto nessuno, Charlotte..." mormorò Idaho accarezzando il viso della ragazza, avvicinandosi e osservando quello sguardo incerto che avrebbe voluto riempire di baci, "... che sei molto brava ad insegnare?"

Lei sorrise, avvicinandosi a sua volta ed emulando i gesti del ragazzo: "E a te, non ha mai detto nessuno che sei un eccellente allievo, Idaho?"

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