15
Bancarelle di Natale
Si erano ormai avvicinati i mesi invernali. Nelle grandi città e in quelle più storiche aleggiava una tradizione che nessuno avrebbe mai profanato né dimenticato: il periodo invernale era sinonimo di rinascita, di purezza, del Natale e dell'anno nuovo che avrebbe permesso di ricominciare da zero. Il tutto veniva annunciato con lavori d'artigianato e bancarelle di tutti i tipi, forme e dimensioni.
Quella mattina Charlotte si svegliò sentendo la fredda aria che annunciava neve contro il volto, una volta che ebbe voglia di aprire la finestra per vedere il paesaggio mattutino. Com'era bello tutto quel movimento già alle prime ore e le prime luci del giorno: i pescatori rientravano dopo una fruttuosa battuta pronti per vendere tutto il pesce finito nelle loro reti; alcuni chioschi esponevano all'esterno vasi variopinti di fiori per permettergli di prendere aria e sole, in modo che riacquistassero i loro colori sgargianti e i loro profumi inebrianti; i pacifici e le pasticcerie avevano già acceso i forni per attirare più clienti possibili.
Dalla gabbia dove era cresciuta e dove era sempre rimasta reclusa al circo di Grave, non le era mai capitato di assistere a una tale fiumana, a parte gli orari di piena quando i cancelli si aprivano e gruppi ordinati e disgustati di aristocratici occupavano terreno osservando distratti e disinteressati l'ambiente intorno a loro. Qui però era molto diverso: più libero e spazioso.
Avrebbe voluto uscire e godersi quel fresco, ma passarono pochi istanti e si sentì rabbrividire tutta la pelle e si decise a chiudere la finestra osservando il paesaggio solo attraverso il vetro.
Dentro di lei si accese un'emozione calda e nostalgica: finalmente avrebbe visto la neve e le feste fuori da quelle sbarre che non le avevano mai permesso di scoprire il mondo e di muoversi se non in un paio di metri. Non vedeva l'ora di toccare quella massa morbida e candida, di giocare come facevano tanti bambini e di poter assistere ai canti e alle feste di Natale, soprattutto ora che poteva definirsi in famiglia, anche se un po' diversa dal solito.
"Toc, toc" fece Idaho picchiettando la mano sulla porta, aspettando che Charlotte gli desse il consenso con una leggera risata, "Spero che tu abbia dormito bene. Ho una sorpresa per te".
"Non è ancora iniziato il periodò natalizio e già mi fai una sorpresa?"
"Per te allungherei le feste tutto l'anno" Idaho le si avvicinò con uno sguardo furbo, "Ecco a te!" le mostrò un cappotto caldo, morbido e lungo, della sua misura, "So che non hai ancora degli abiti adatti a tutte pe stagioni, quindi pensavo di... di fare un giro io e te e rifornire il guardaroba".
"Idaho..." mormorò lei, incerta se ringraziare in modo festoso e contenersi dicendogli che una era necessario. Non era particolarmente entusiasta di essere servita e riverita al pari degli altri, personalmente non trovava corretto venir viziata e coccolata sapendo che, se in quella compagnia fosse esistita un'ultima ruote del carro, quel ruolo sarebbe toccato a lei.
Idaho però parve leggerle nel pensiero: "Non provare a dirmi che non è necessario, Charlotte. Sappiamo entrambi che hai un estremo bisogno di beni di prima necessità. E sei parte integrante della compagnia, non esiste che ti lasciamo indietro".
"Ma ci sono gli altri che hanno la priorità. Colin cresce, i gemelli devono allenarsi... io non sono nessuno in confronto".
"Pensi che ti avremmo portata con noi se fosse stato così? Non prendermi in giro, lo sai che mi arrabbio. Dai, piccola" non ammise ulteriori obiezioni e le prese una mano, trascinandola fuori dalla stanza quasi senza salutare gli altri intenti a consumare la loro colazione.
"Non perdi tempo quando si tratta di stare da solo con lei, vero Idaho?" lo canzonò Jessie guardandoli con sguardo malizioso.
"Vorresti darmi torto?" rispose lui accogliendo la provocazione, avvertendo con la coda dell'occhio un rossore meraviglioso nelle guance di Charlotte. Adorava quando si imbarazzava leggermente: quegli occhi da cerbiatto indifeso che doveva ancora abituarsi al fatto di avere delle qualità che potevano interessare a qualcuno; solo con quella visione, le avrebbe circondato il volto con le mani baciandola fino a non riuscire più a respirare.
Lo sognava ogni motte, si addormentava pensando al tempo portato insieme: i balli per lo spettacolo in luoghi magici che nessuno avrebbe mai profanato, con solo il loro passaggio come prova di presenze umane. Non lo avrebbe concesso a nessun' altra di percorrere la stessa strada, lo stesso sentiero della sua Wendy; come tale, ce n'era una su un milione e anche di più, la sua sola donna incapace di crescere e di volersi affacciare al mondo adulto, come del resto lo era anche lui.
"Dove la porti oggi? A sfinirla con i tuoi allenamenti?" si voltò Logan masticando un pancake preparato da Jake.
"No, spiritosone. La porto a fare spese, oggi sono tutto a sua completa disposizione" aveva un paio di idee in mente, e non solo un giretto tranquillo. Idaho voleva stupire la ragazza tanto da toglierle le parole di bocca, lasciarla affascinata al punto che commuoversi, imprimere in testa da nella compagnia lei CONTAVA QUANTO GLI ALTRI, e non era l'ultima per importanza solo perché era entrata dentro di recente.
Scesero le scale, più ampie di quelle del primo appartamento e molto più curate, misero i cappotti e si imbatterono subito in un ampio viale che si stava man mano riempendo di visitatori e venditori con i propri stand. La visione era incredibile, sembrava di trovarsi in mezzo ad un formicaio a grandezza elevata, dove ogni formichina si faceva strada per completare la propria mansione.
Le bancarelle più dominanti erano quelle con i prodotti della zona: formaggi e confetture liberava o i propri profumi per tutta la lunghezza della strada attirando quante più persone possibili; i contadini e i pastori non perdevano tempo per elencare e descrivere il lungo processo per creare quelle meraviglie, lanciandosi di tanto in tanto degli sguardi di sfida per vedere chi avrebbe venduto più prelibatezze. A fare da mediatore c'era lo stand del miele, con timidi vasetti sparsi per il bancone e dei torroncini candidi che si potevano abbinare. Charlotte non aveva mai assaggiato il torrone, ma ricordava che alcuni piccoli carretti lo vendevano anche al circo di Grave, dove grappoli consistenti di bambini pronti a trasgredire il divieto dei genitori si accaparravano quanti più pezzi possibili, per mangiarseli in segreto. Ricordava che i pochi persi venivano comprati subito, al punto che il carretto era presente al massimo per un paio di giorni.
Ma in quella grande città ci pensava un'altra bancarella ad attirare i piccoli che correvano e trotterellavano lungo la strada: una grandissima esposizione di dolciumi e giocattoli faceva da padrona in mezzo a tutto il viale, quasi fosse stato il vero punto focale delle feste. Scatoline e file ordinate di caramelle e cioccolatini, seguendo una complessa scala di colori, rendeva alla vista uno spettacolo meraviglioso, un quadro dipinto da un artista in procinto di farsi conoscere; ai lati erano appesi ed esposti dei bastoncini colorati con dei pupazzetti attaccati all'estremità: un cavallino, un cagnolino, anche un soldatino, oppure piccoli carretti reali in legno.
"Vorresti assaggiare qualcosa?" chiese Idaho attirando l'attenzione della ragazza. Ma Charlotte non riuscì a rispondere in modo serio: appena si voltò verso il ragazzo dai ricci dorati, scoppiò in una fragorosa risata. Il ragazzo dai ricci dorati aveva due o tre foulard intorno al collo e quattro cappelli da donna variopinti in testa.
"E quelli dove li hai rimediati?"
"Nella bancarella dietro di me. È collegata alla boutique della città, la proprietaria adora le feste".
"Immagino adori anche i pagliacci come te, allora" rise la ragazza mettendosi una mano davanti alla bocca, le veniva complicato restare seria davanti ad un Idaho che le ricordava un camaleonte alquanto confuso.
"Quello meno, ma ho intravisto delle cose interessanti dentro al negozio. Perché non entriamo e ci facciamo un giro?" le tese la mano in attesa che lei la stringesse, mostrandole una faccia che non ammetteva ulteriori polemiche. E per fortuna Charlotte non si oppose questa volta, lasciando che il suo Peter Pan giocoso la conducesse verso una parte dell'Isola Che non C'è ancora inesplorata. Non lo avrebbe ancora detto davanti ad Idaho, ma lei adorava la sua compagnia: quel modo coinvolgente di includere tutto e tutti, quella sua voglia di tornare bambino ad ogni spettacolo che non passava mai, il suo modo di parlare capace di unire finzione e realtà; non avrebbe mai creduto che al mondo potesse esistere un soggetto tanto piacevole, e si chiedeva - semmai fosse successo qualcosa di brutto in famiglia - come due genitori potessero restare tanto disinteressati verso il proprio figlio.
In effetti Charlotte non aveva mai sentito il ragazzo parlare della sua famiglia, né lo aveva visto leggere delle lettere che potevano avergli inviato. Era come se quella parte di vita gli fosse totalmente sconosciuta e indifferente, lontana da ogni tipo di contatto. Quando aveva provato a sapere il minimo indispensabile, Logan l'aveva bloccata sostenendo fermamente che ad Idaho non piaceva parlare della sua famiglia. Per rispetto delle sue difficoltà, Charlotte non aveva voluto approfondire oltre, capendo bene cosa volesse dire non aver voglia di parlare.
Il negozio in cui entrarono aveva un ché di magico: sembrava essere l'atrio principale di un castello; il pavimento decorato da piastrelle di marmo con vene variopinte donava una luce intenta a tutto lo spazio che si rifletteva sulle candide pareti; le file di appendiabiti pieni di abiti ordinati apparivano come tanti modelli intenti a sfilare per i migliori giornali e stilisti di alta moda, con un effetto più galante della prima boutique che aveva visitato la ragazza; grandi vetrate rendevano l'ambiente più ampio e spazioso, con disegni artistici a completare l'aspetto estetico.
"Avevo visto questi vestiti e non ho potuto fare a meno di pensarli su di te" disse Idaho indicando le file di vestiti con un gesto ampio del braccio.
"Ci sono tante cose che vedi pensando a me, ho notato".
"Vero. E... non ti è mai venuto da pensare al motivo?"
Eccome, certo che le era sorto il pensiero, solo che non aveva mai avuto bisogno di scoprire il motivo del suo comportamento. Se non era Idaho ad alludervi, ci pensavano tutti gli altri: il suo atteggiamento era talmente limpido e palese che non pensava nemmeno di nasconderlo. Aveva sempre confermato in modo serio e non tutte le volte che qualcuno insinuava volesse farsi una scappatella. Charlotte per certi versi era lusingata dall'avere quel tipo di attenzioni quando per diciotto anni non aveva ricevuto altro che sputi e schiaffi, ma dall'altra parte non voleva prendersi troppo terreno in confronto ad altri.
Lo aveva sempre detto, e Idaho aveva sempre risposto che non doveva farsi certi pensieri, ma ignorava il fatto che ci fosse un fondo di verità nelle intenzioni della ragazza. Nel suo primo circo, essere ai vertici delle preferenze non era un privilegio aperto a tutti, e chi ultimo arrivava spesso correva più rischi. Perché non esisteva che l'ultimo scarto della società diventasse in pochi giorni il principe della compagnia quando aveva meno diritto di una formica, e tutti provvedevano prontamente a smontare quella catena disordinata ripristinando il reale movimento. Dal canto suo, Charlotte mai aveva anche solo sfiorato quel gradino, era solo caduta sempre più in basso. Un lato positivo, in tutta quella gerarchia, era che lei non aveva mai sperimentato qualcosa che avrebbe potuto incattivirla, sicché gli altri avevano solo provveduto a tagliarsi le gambe da soli.
Non poté però rispondere alla domanda del giovane, poiché la commessa della boutique li salutò in modo allegro e cordiale: "Sei stato di parola vedo!" esclamò guardando la ragazza con occhi brillanti, "È un vero splendore!"
"Le avevo detto che le sarebbe stato bene tutto il negozio, se solo ci fosse stata la possibilità".
"Sì ma..." Charlotte decise prontamente di calmare gli animi, "Andiamoci piano, non sono certo la modella più ricercata d'Europa".
La signora, una donna non molto alta e robusta, con dei capelli scuri legati in un'ordinata acconciatura tenuta insieme da due bastoncini, le lanciò uno sguardo furbo. A parer suo, non era una fonda modella ma ci mancava davvero poco; fece loro cenno di seguirla e li condusse in un atrio con un camerino accanto. Questo era composto da un grande specchio a muro e con un piccolo rialzo al centro del pavimento.
"Se ce ne fosse bisogno, faccio vestiti su misura. Per esempio per accorciare o allungare, non avete idea di quante clienti sono entrate per apportare modifiche di tutti i generi ai vestiti" spiegò srotolando una grossa bobina di stoffa chiara, puntando al busto magro e delicato di Charlotte.
"No... aspetta" la bloccò la ragazza, "Non vorrete fare un vestito... adesso".
"Dove sarebbe il problema? Ne cuce e crea ogni giorno..."
"Idaho, no" Questa volta Charlotte decine di adottare un atteggiamento e un tono serio. Prima poteva anche aver accettato di subire in modo scherzoso e avevo sempre lasciato che il ragazzo facesse quello che voleva, ma adesso voleva che lui capisse in modo serio che lei non aveva intenzione di accettare un trattamento tanto principesco, quasi volesse farla spiccare più degli altri. E finalmente, Idaho questa volta rimase zitto, forse intuendo di aver esagerato. Il fatto era che Idaho non riusciva a comprendere come Charlotte potesse trattenersi dall'avere un minimo di vita dignitosa come tutti gli umani di questo mondo, perché si ostinava a mettersi in ultimo piano quando, per motivi di necessità evidenti, era quella che aveva forse più diritto del resto della compagnia ad essere servita?
La vide allontanarsi, e posati tutti i foulard e cappelli, la inseguì come se lei avesse avuto una calamita.
"Mi spieghi per quale motivo dici sempre di no? Ogni volta che vogliamo dimostrarti un minimo di interesse, ti choudi a riccio. Non lo comprendo sinceramente".
"Semplicemente... io non penso di meritare le vostre, le tue attenzioni. Alla fine cosa sono? Nient'altro che un essere umano privo di passato e probabilmente di futuro, che vive di un presente fittizio. Ma non capisci, Idaho? Non riesci proprio a capire questo disagio?"
Idaho scosse la testa, e Charlotte lo vide per la seconda volta con uno sguardo più serio di un carabiniere. No: non lo capiva o forse non voleva capirlo; evidentemente si rifiutava di accettare un no da parte sua oppure nel suo piccolo era convinto di poter fare quello che voleva.
"Io so solo una cosa, Charlotte" disse prendendole le mani, "In tutta la tua vita, ti sei messa da parte così tante volte da esserti autoconvinta di non contare nulla in questo mondo. Ma non è così: quelle che stai ripetendo sono solo le parole di un essere che di umano ha niente, e tu, TU CHARLOTTE, non hai meno diritti degli altri a vivere, o prenderti dei vizi innocenti. Smetti di autosminuirti in questo modo, per una volta pensa a quello che vuoi, che vorresti... perché devi annullarti?".
La ragazza sospirò, non riusciva a trovare uno sbocco che le desse una via di ragione. Qualsiasi cosa uscisse dalla bocca del ragazzo, diventava un'arma talmente potente da non conoscere alcuna risposta. Però lei adesso non voleva farsi abbindolare da quelle belle scie di suoni, non avevano un significato concreto al momento, forse in futuro le avrebbe rivalutate, ma in quell'istante sentiva un forte senso di impotenza salirle dentro.
"Idaho, io..." mormorò con voce bassa, sentendosi improvvisamente piccola e deludente, per averlo fatto arrabbiare e per non essere in grado di sciogliersi, "... io non sono sicura di essere... un tipo di persona con cui varrebbe la pena passare il tempo. Lo dico per te... non dovresti perdere tempo in questo modo. Non posso darti quello che chiedi, ad oggi..."
Le dispiaceva, e anche parecchio, dovergli dare quella considerazione. Era l'ultima forse, che avrebbe voluto vederlo triste e deluso, ma se quello era il risultato quotidiano dei suoi sforzi, voleva dire che Charlotte non era la persona giusta.
Fece per staccarsi, ma Idaho la tirò di nuovo a sé: "Io non credo" dichiarò con voce sicura, "E sono sicuro che presto te lo dimostrerò".
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