13
Sagra della mela
Il naturale profumo delle mele mature le aveva avvolto le narici come se fosse stato un foulard leggero di seta pregiata. Lo giornale era bella come quella prima volta che i loro occhi si erano incrociati quasi attratti da una calamita. Un incontro che aveva segnato la vita di una povera donna, che per vivere era stata costretta a vendere la propria dignità dopo che la propria famiglia si era mostrata incapace di provvedere all'intera prole avuta con pochissimi stacchi di tempo.
E in quel meleto, dai profumi inconfondibili che la natura mai avrebbe ceduto all'uomo, mettendola in secondo piano, proprio sotto gli odori forti e pungenti della lenta ma radicale urbanizzazione, un'innocua passeggiata aveva segnato quello che sarebbe diventato un percorso emozionante sotto molti punti di vista.
Un giovane bracciante, Cole Gerard, di invidiabile senso del dovere a dalla bellezza sprecata per l'impiego che si era trovato, insieme alla sua famiglia composta dal padre e due fratelli più grandi, aveva individuato una figuretta camminare in disparte in mezzo a tanti altri contadini intenti a raccogliere le mele che sarebbero servite per la sagra del paese. Si erano tutti svegliati di buona leva per terminare la giornata con un numero sufficiente di frutta da poter riempire cesti interi in pochi giorni. Un compito stancante e una certo adatto ad una donnina delle dimensioni della figura individuata da Cole.
Lasciò cadere l'ultimo frutto che aveva raccolto, il cesto poteva definirsi abbastanza pieno, e senza dare nell'occhio percorse quel labirinto di alberi senza forma e senza pareti, mantenendo lo sguardo sulla figuretta in posa come un quadro.
Una silhouette invidiabile anche dalla miglior ballerina dell'epoca, lineamenti morbidi e delicati che le plasmavano il viso il tronco con fianchi irresistibili per le dita; i capelli biondi, a tratti più scuri seguivano la leggera brezza con un movimento talmente leggero da ricordare la più pregiata delle stoffe orientali. Che cosa ci facesse in un luogo del genere una simile creatura, che pareva essere uscita danno di quei poemi greci, le cui più grandi ispiratrice si descriveva come ninfe e muse, non seppe se volerglielo chiedere e restare a contemplarla come uno spettacolo unico e inimitabile.
Cole esitò. Non era sicuro di potersi avvicinare senza causare spavento e inquietudine sulla giovane ragazza, ma dalla posa, e forse dello sguardo perso in un punto vuoto, pareva essere triste. E quale evento aveva osato intaccare il suo dolce animo, non lo avrebbe voluto scoprire. Perché quella visione era tanto bella e ancestrale che anche un solo fiato avrebbe interrotto tutto, rovinando l'atmosfera.
Non si accorse però della ghiaietta appena prima dei suoi piedi, che divideva il meleto dal balcone naturale che aveva reso il paesaggio un Belvedere; un solo passo fece trasalire la giovane facendola voltare di scatto. A Cole venne davanti la visione angelica del suo viso, rovinato, se possibile, da due scie di lacrime pronunciate che le avevano bagnato le guance rosee.
"Scusa" disse con un tono rassicurante, in modo che la ragazza non si spaventasse del tutto, "Non era mia intenzione disturbarti... ciao" si avvicinò piano abbozzando un leggero sorriso, cauto, senza che lei potesse avvertire un possibile pericolo. Era plausibile in fondo, non si erano mai visti e a giudicare dalla figura completa, adesso che la luce calda del sole aveva permesso di metterla del tutto a fuoco, un evidente segno sul viso non prometteva nulla di buono.
"Per favore..." mormorò la ragazza al terzo passo del giovane, "Non dirgli che sono qui... non vogliono che esca durante il turno..."
Che cosa potesse mai succedere, da dove venisse per avere quel terrore, a Cole la domanda martello la mente costringendolo a fermarsi: "Non puoi uscire...? Perché?"
La donnina abbassò lo sguardo, i segni di paura le stavano scivolando via dal corpo come le lacrime grandi che aveva ripreso a scorrere lungo il viso: "La proprietaria del locale ci proibisce di uscire in pieno giorno, non vuole che sprechiamo le forze inutilmente prima della sera, dove l'attività è più intensa".
Di locali in quella città ce n'erano tanti, quasi fossero apparsi nella notte come funghi. Quella fu un'altra informazione che Cole non volle sapere subito, e anche se la lista si stava allungando, nel vedere quella poverina ridotta in quello stato gli impedì di essere anche solo un filo sfacciato. Si avvicinò piano, fino a trovarsi a pochi centimetri da lei, e come se qualcuno gli avesse sussurrato che era la cosa giusta da far, si ritrovò ad avvolgerla con le sue forti braccia, rassicurandola con lievi sussurri. Un gesto banale, forse impacciato, forse lei avrebbe frainteso. Ma in quel momento tanto delicato non era riuscito a trattenersi, forse il sentirla sfogarsi del tutto gli aveva dato la forza necessaria per non mollare la presa.
Te lo ha fatto lei, questo? Chiese una volta che la loro connessione di corpi fu interrotta.
"No..." la giovane scosse la testa, "... mio padre".
"Tuo padre?"
"Ho cercato di farmi valere, gli ho detto che non voglio più fare quel lavoro... ma non ha voluto capire".
"E quale essere ignobile può agire così, davanti alla propria figlia?"
"Non biasimarlo. Per noi non è semplice sfamare tutti i membri della famiglia".
Rimasero ancora in silenzio, fissando, questa volta, entrambi il Belvedere. Poi Cole volle sapere almeno una cosa su tutte: "Come ti chiami?"
Quel giorno, quella bella giornata ma che per lei divenne un maledetto pomeriggio, venne segnato forse uno dei periodi più difficili per la giovane: "... Lisette".
"Non ci si vede da anni, cara Lisette" era incredibile come il calmo tono di voce non fosse proprio cambiato, come il fisico scolpito fosse ancora persistente e come il suo sorriso, all'inizio tanto bello quanto dannato dopo, fosse ancora presente senza modifiche. Lisette non avrebbe creduto di ritrovarselo davanti dopo aver cercato di toglierselo dalla mente per anni, allontanandosi il più possibile da quello che ormai era diventato solo un pretesto per soffocarla. Cole ora era davanti a lei, come se nulla fosse cambiato, come se quel loro primo incontro si fosse ripresentato facendo scorrere il nastro della loro vita a ritroso.
"Ti trovo incredibilmente bella. L'ultima volta che ti ho visto eri..."
"Sono passati sei anni da allora, Cole" si accorse solo dopo di aver risposto con un tono di voce monocorde, diffidente proprio come quella volta, ma meno insicura. Mai si sarebbe mostrata fragile davanti all'angelo che le aveva rovinato la vita negli anni successivi. Cole la guardò incuriosito, sorpreso nel sentire una simile sicurezza nell'atteggiamento della donna, quando la prima visione che aveva impressa nella memoria era una piccola ragazza fragile e in lacrime.
Poi il suo sguardo cadde leggermente alla destra di Lisette, individuando una piccola figura dai curiosi lineamenti familiari. Taglio di capelli e colore erano inconfondibili, per nulla casuali.
"Ma, lui è..."
"No!" Lisette fece uno scatto, ponendosi tra uomo e bambino, quasi avesse avvertito un pericolo imminente minacciare Colin, "Non è tuo, non lo è mai stato e mai lo sarà!"
"Che succede? Lisette!" Logan e Idaho interruppero quel momento difficile. I loro sguardi agganciarono e briciarono Cole dopo pochi secondi. L'ultima cosa che si sarebbero aspettati si era invece presentata, eppure erano certi che quell'uomo non abitasse in quelle zone.
"Cosa diavolo ci fai qui, Gerard?" il sibilo dell'uomo muscoloso parve più un ringhio. Colin d'istinto si nascose tra la mamma e il signor Parsefall.
Non era la prima volta che i due si incontravano, e in nessuno dei casi era stato un incontro piacevole. Era uno dei tanti disturbi di Logan, e quando si trattava di Lisette, in molti avevano notato quanto la cosa lo disturbasse ancora di più. Cole era stato un soggetto che non aveva mai sofferto, il solo pronunciare il nome aveva lo stesso effetto di Idaho quando sentiva pronunciare suo padre.
"Ogni volta, trovo sempre la combriccola al completo" disse Cole, soffiando una buona dose di disprezzo nei confronti del suo interlocutore. Logan faticò a mantenere il controllo e la calma, non era mai stato bravo a gestire le emozioni dirompenti che il corpo trasmetteva in situazioni specifiche. L'unica cosa che adesso avrebbe voluto era vederlo sparire come un cumulo di povere, spazzato via anche dalla poca brezza che stava accarezzando i capelli di tutti i presenti.
"Non stare qui a perdere tempo, Logan. Andiamo" disse poi Idaho, tirandolo per i bicipiti scolpiti, "Non ha senso litigare in mezzo alla strada".
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