Capitolo 16
Diana's pov
Mi aveva baciata...
Perché? Perché lo aveva fatto?
Io ero solo una schiava, un qualcosa che lui riteneva suo a prescindere: ero qualcosa, non qualcuno per lui, già da quello si capiva tutto.
Sospirai guardando la figura bellissima, per quanto mi costasse ammetterlo era così, di lui che mi dava le spalle, dormiva non facendosi tutte quelle paranoie che invece mi facevo io da quando era iniziata la mia vita da schiava. Non riuscivo a farne a meno dato che da ogni suo capriccio sarebbe potuta dipendere la mia vita.
Quella notte non riuscii a chiudere occhio, persa nei pensieri, nelle preoccupazioni, nei ricordi belli e dolorosi del passato... oramai, appunto, però era passato e dovevo lasciarli andare, soffocarli, perché per quanto lo avessi desiderato non sarei potuta tornare indietro e vivere in quei ricordi senza mai andare avanti.
Mi addormentai che era quasi l'alba, lasciandomi trasportare dal silenzio che regnava nel palazzo in un sonno agitato e popolato da incubi.
Ad un certo punto sentii lui che mi dava leggeri baci sul collo e carezze su tutto il corpo.
Mi ritrovai stretta al suo corpo caldo, bollente come il fuoco.
Lui era fuoco e ad avvicinarsi troppo al fuoco si finisce puntualmente bruciati ma, come una falena non sa resistere alla luce della fiaccola anche se sa bene che la ucciderà, io non sapevo resistere alla dolcezza di quelle carezze inaspettate, semplicemente mi ritrovai a non riuscirci.
Strinsi la sua mano che si era andata ad adagiare infine sulla mia coscia e l'insana voglia di voltarmi verso di lui mi assalì all'improvviso, forte ed impetuosa come un uragano.
Lo feci. Mi voltai e fu l'errore più grande che avessi mai potuto fare, mi ritrovai ad annegare in quegli occhi rossi, ardenti, che bruciavano come fuoco vivo e scoppiettante.
Un brivido mi salì dalla spina dorsale per poi andarsi ad espandere in tutto il corpo, come un'onda che man mano avanza verso la riva. La mia riva, la mia meta, in quel momento erano i suoi occhi e quando mi resi conto dello strano effetto che questi ultimi stavano avendo su di me distolsi lo sguardo più in fretta che potevo.
Ma era già troppo tardi lo sapevo, mi ero già bruciata.
Lui non accettò di interrompere il contatto visivo, infatti mi prese il mento tra pollice ed indice in modo da poter ristabilire quella connessione di sguardi.
Voleva che lo guardassi e io amavo guardarlo, per quanto non ne potessi sopportare l'idea era così.
Emanava calore come se il sole fosse lui, come se bruciasse dall'interno andando in autocombustione.
Mi ritrovai a desiderare ardentemente un suo bacio; volevo che lo facesse, che mi baciasse come mai aveva fatto con nessuna, ma non glielo avrei mai chiesto. Ero troppo orgogliosa, non mi sarei abbassata mai al livello di elemosinare un suo bacio, soprattutto se era un suo bacio.
Mi costrinsi a tornare con i piedi per terra ed inarcai un sopracciglio, come a volergli chiedere spiegazioni.
Notai il suo sguardo mutare all'istante e subito desiderai di non averlo mai fatto.
Un blu macabro si fece largo nei suoi occhi nascendo direttamente dal rosso dell'iride, fuoco e tempesta.
Quel blu scuro era talmente innaturale per un demone...
Guardando meglio poi, notai piccole pagliuzze azzurre e gialline comparire a sprazzi all'interno di quel blu intenso, affascinante ma allo stesso tempo spaventoso.
Ero esterrefatta, erano così belli i suoi occhi, anche in quel modo, ma avvertivo che dietro a quello sguardo straordinariamente spettacolare si celasse un grande pericolo.
Lo vidi indietreggiare e alzarsi di scatto dal letto mentre si copriva gli occhi con le mani, come se questi gli causassero atroci dolori «Vattene!» urlò «Vattene subito, cazzo!»
Non riuscii a capire... che diavolo stava succedendo?
Lo guardai confusa e spaventata al tempo stesso. «Ma... che succede? Stai bene?» mi alzai a sedere sul letto per poterlo guardare meglio.
L'unica cosa che sentii furono parole appena sussurrate tra i denti «Vattene, Diana!»
Ringhiava come un animale al limite di sopportazione mentre mi indicava quella maledetta porta.
Come poteva essere che ogni minimo mio gesto lo facesse innervosire a tal punto? Lo facesse impazzire in quel modo?
Sospirai rumorosamente e, dato che non avevo voglia di un'altra discussione per quel giorno, mi alzai iniziando a riallacciarmi la veste che il giorno prima lui stesso si era tanto premurato di togliermi.
Quando ebbi finito uscii velocemente da quella stanza decisa, almeno per quella mattina, a non avere altri incontri con lui.
Tornai nella stanza dalle altre, al fianco di Leila, ma improvvisamente la vidi in modo diverso; non la desideravo più come la desideravo fino al giorno prima.
Tutto per colpa sua.
Aveva installato in me un seme di odio ed eccitazione, ogni volta che me lo ritrovavo davanti mi sentivo bruciare.
E adesso cosa sarebbe successo?
Bè, non lo sapevo ma speravo di non annegare ulteriormente nelle mie ansie e nelle mie paure.
Cole's pov
Come è possibile che in così poco tempo lei possa avermi stregato?
Cazzo.
Come è possibile che abbia già una tale influenza su di me?
Solo lei ci era riuscita...
I suoi occhi verdi diventavano i miei ma i miei occhi rossi non si spegnevano mai.
Tornavano nei miei incubi tormentandomi e urlandomi che gli appartenevo.
Io sono i miei occhi.
I miei occhi sono le mie emozioni.
Le mie emozioni a volte sono pericolose, non riesco a trattenerle, non riesco a trattenermi...
In Diana oramai rivedevo lei e cazzo non doveva essere cosi! Non doveva e non volevo che lo fosse!
Dovevo tenerla a distanza, non si doveva mai più avvicinare a me... ma non riuscivo a tenerla lontana cazzo! La volevo e non avevo idea del motivo.
Il maggiordomo mi si avvicinò solenne porgendomi una busta con dentro una lettera.
"Signor Cole Stolen, invitiamo lei e le sue due più fedeli schiave al banchetto che si terrà questa sera.
Luogo: palazzo di roccia, 5*piano
Ore: 19.00
Firmato; Casata nobile degli Hangensem"
Un altro stupido banchetto a cui avrei dovuto partecipare.
Decisi di prendere con me Sharon perché lei non mi avrebbe dato problemi e poi Diana perché lei era sempre la causa di tutti i miei di problemi.
Presi un vestito blu scuro ricamato finemente in azzurro con zaffiri incastonati, lo riposi in una scatola e scrissi due semplici righe:
"18.30, nelle mie stanze con questo. Non tardare."
Sapevo di non starle dando molte informazioni ma non le meritava... o forse si.
No no e ancora no! Era una schiava e dovevo iniziare a trattarla da tale.
Sospiro e ripongo il vestito e il bigliettino in una scatola di velluto nero per poi darla al maggiordomo in modo che gliela faccia avere.
Spero ardentemente di non dovermi pentire di questa mia scelta.
~18.30~
La vedo varcare la soglia della mia camera appena l'orologio a pendolo spacca il trentesimo minuto.
Quel vestito le sta d'incanto, risalta tutta la sua bellezza ed è... bè, è da togliere il fiato!
Lei mi guarda, i suoi occhi di zaffiro si incastrano nei miei alla perfezione e sento che il tempo si ferma.
È una sensazione strana, troppo...
L'ho chiamata qui un'ora prima della partenza perché la devo istruire su cosa fare e non fare.
Non l'ho mai portata ad un banchetto e ho bisogno che lei sappia cosa deve fare e come rivolgersi a me, che sia ubbidiente.
Il contrario di quello che è praticamente.
Lei incrocia le braccia sullo stomaco e si morde il labbro abbassando il viso, probabilmente non si sente a suo agio e non riesco a capire perché dato che con quel vestito addosso è incantevole.
«Avvicinati!» la esorto.
Lei si avvicina seducente e ammaliante, probabilmente non se ne rende conto visto che non riesce a vedere nemmeno lontanamente quanto riesce ad essere bella.
Mi guarda furtivamente, penso che la strigliata di stamattina e il mio malumore non le siano andati a genio e che ce l'abbia con me ancora per ciò.
Resta in silenzio, attendendo che io parli mentre si tortura con i denti il labbro inferiore di quella bocca invitante.
Ho l'impulso di baciarla, come sempre del resto.
«Ti ho chiamata qui perché ho bisogno che tu sappia alcune cose per il banchetto.»
«Che genere di cose?»
«Ho bisogno che mi chiamiate solo e soltanto padrone.»
La vedo sospirare ma poi annuisce anche se si sforza per farlo.
«Grazie, avrei giurato fosse più complicato.»
«Mi hai chiesto di chiamarti così in pubblico, anche se non mi piace l'idea... cercherò di farlo.» mi dice sospirando.
«Un'altra cosa...» dico guardandola per poi alzarle il mento con un dito e fissarla negli occhi «Per qualsiasi cosa aveste bisogno io ci sarò, che sia una richiesta di aiuto o un semplice "voglio la vostra compagnia".»
Lei mi guarda e vedo che corruga la fronte, chissà cosa le passa per la testa... «Okay...»
«Ci sei rimasta male per stamattina?»
«Senti, farò quello che dici non ti basta? Lasciami stare...» l'ultima frase la sussurra distogliendo il suo sguardo dal mio.
«Oh...» sorrido io amaro e con un strano ghigno in volto «Va bene.»
Tanto sarà lei a perderci in questo caso, non sa fino a dove posso spingermi.
Fa la forte, la dura ma io so, io noto l'effetto che ho su di lei e lei, mi costa molto ammetterlo, ha un certo effetto su di me.
«Bene...» mormora e si scosta appena da me, lo noto solo ora che il suo sguardo è spento.
La guardo, voglio alzare la posta.
«Quando mi vedrai ti inginocchierai.»
«Cosa?!» mi guarda allibita.
«Si, al banchetto.» la guardo freddo ed indifferente «Voglio che tu ti inginocchi al mio passaggio.»
Vedo che lei arriccia le labbra in una smorfia contrariata e mi guarda male. «Non ti basta che ti chiamo padrone?!» ringhia.
«No, voglio avere tutto di te!» Dico per poi voltarmi e andare verso il bagno, sono stanco delle sue continue impertinenze e spero che lo capisca.
Non la sento ribattere, solo sospirare; per una volta sono riuscito a lasciarla senza parole e questo mi piace.
~19.30~
Siamo al banchetto da qualche minuto. Ho lasciato Sharon e Diana nella zona schiave, ovvero un angolo di questa enorme sala da pranzo dove ogni signore lascia le sue schiave.
Diana e Sharon sono quelle vestite meglio e le più belle di questo posto, e poi lei osa anche darmi dello schifoso? Sarei schifoso se le trattassi come tutti qua trattano le loro schiave, senza rispetto né riguardo.
E' pieno di ragazze gonfiate, arroganti nei loro vestiti pomposi e acconciate come bambole.
Molte sono ad avvicinarsi e altrettante vengono rifiutate mentre in lontananza ne noto una che sta a farsi gli affari suoi mentre legge un libro.
Mi avvicino con eleganza e sorrido stando alle sue spalle «Buonasera, signorina.»
Lei alza gli occhi stranamente di un colore violetto e li punta nei miei per poi arrossire subito. «S-salve, signore» mi risponde timidamente.
Guardo il libro che legge e mi incuriosisco, sta leggendo "Il bacio d'argento", noto libro umano di una scrittrice donna che narra di una ragazza innamorata di un vampiro, poi esso come uno stupido cede all'amore uccidendosi per lei all'alba.
Romanzo romantico ma anche splatter per l'inquietante fratellino (maggiore/minore) secondo il nostro punto di vista.
«Vi piace il libro che state leggendo?»
«Il libro... oh, si! Si, mi piace moltissimo!» dice lei giocando con una ciocca dei suoi capelli bruni, li tiene sciolti sulle spalle.
Di certo cosa che non amo in una donna, trovo che i capelli raccolti siano più eleganti.
«Posso sapere il vostro nome signorina?»
La vedo mordersi le labbra e chiudere il libro che stava leggendo prima di rispondermi con timore «Amelia, signore...»
«È davvero un grande piacere conoscervi Amelia, immagino che il vostro nome derivi dai vostri occhi singolari.» che noia ste ragazze troppo timide, mi sa che l'idea che ho avuto su di lei sia sbagliata, non sembra molto interessante.
Ma di sicuro è molto più interessante il fatto che due lame azzurre continuino a guardarmi come se volessero maledirmi.
E? dannatamente divertente.
«Dai miei occhi?» corruga la fronte non capendo il nesso tra il suo nome ed il colore dei suoi occhi.
«Bè, l'amaranto è un legno viola molto simile ai vostri occhi e con ciò penso che vostro padre, non che l'organizzatore di questo banchetto, vi abbia dato questo nome, ovvero Amelia, prendendo spunto dal legno.» dico guardandola «O forse erro il nesso logico tra le due cose?»
Amelia mi guarda riflettendoci per qualche secondo. «Sinceramente, non ho idea del perché mio padre abbia scelto questo nome per me, ma suppongo che possa essere come voi dite.»
«Vi andrebbe di ballare signorina?» dico porgendole la mano.
E' quasi eccitante, adrenalinico il modo ossessivo e arrabbiato in cui mi guarda, la sento.
Sento la sua gelosia e mi piace, voglio farla incazzare.
«Mi state chiedendo seriamente di ballare con voi?» mi guarda divertita e anche la sua voce lo è, la cosa mi irrita.
Odio la gente frivola, ma lei mi sembra diversa, è quasi come se dietro la sua innata timidezza cercasse di nascondere il suo essere, una personalità malvagia immagino.
«Se la prendete come un gioco signorina sarò felice di non disturbarvi più.» dico guardandola fermamente con gli occhi rossi che non perdonano «Sapete, mi ero recato da voi per potervi conoscere perché siete l'unica donna che in mezzo ad un banchetto non cerca un marito o un aggancio sociale ma cultura.» dico avvicinandomi di più per poi sussurrarle all'orecchio dopo aver scostato i capelli «E a me intrigano le donne che hanno qualcosa da nascondere come voi!»
I suoi occhi viola si accendono, brillano letteralmente mentre sorride. «Vi ringrazio per i complimenti...» sussurra a sua volta lei al mio orecchio. «Ma credo che ci sia qualcun altro che sarebbe molto felice di ballare con voi al posto mio, e poi... come voi stesso avete detto, non mi interessa nessun tipo di contatto. Con nessuno...» conclude guardandomi dritto negli occhi senza alcun timore, altezzosamente, come se volesse farmi capire che non apprezza nessuno lì dentro, me compreso.
«Come preferite.» dico facendo spallucce «Ma sono sicuro che se non dessi peso alla vostra troppo giovane età vi avrei preso come consigliera, mi piacete signorina e mi piace il vostro modo di valutare le cose.» sorrido per poi baciarle la mano «Posso chiedervi l'ultima cortesia?»
Lei a quel mio gesto arrossisce appena sulle gote ma la sua voce rimane straordinariamente ferma quando mi risponde. «Chiedete pure.»
«Vi dispiace dirmi a chi vi riferivate prima?»
A quel punto la vedo sorridermi e mi prende la mano facendomi girare verso la festa. «Lì nell'angolo dove sono le schiave» mi sussurra all'orecchio. «La ragazza dagli occhi azzurri come il cielo.»
«Grazie mille, è stata piacevole la conversazione con voi, se avete voglia di compagnia cercatemi pure.» dico iniziando ad avanzare verso la zona schiave sotto lo sguardo di lei che poi riprende la sua lettura.
Diana è lì che mi guarda ma non appena nota che mi sto avvicinando distoglie repentinamente lo sguardo da me per andarlo a posare sui demoni che ballano in quell'enorme salone.
Mi avvicino e la guardo «Hai qualcosa da dirmi?» chiedo pacato ma fermo, quasi arrogante.
Lei si gira a guardarmi nuovamente. «No,cosa dovrei dirti?» stranamente è calma, non c'è più traccia dell'espressione che aveva poco fa sul suo viso.
«Non pensi di aver scordato qualcosa nella frase?» chiedo irritato, so che lo ha fatto apposta per infastidirmi, lo sento.
«Mmh, non credo.» dice facendo finta di pensarci.
«Vedi di portarmi rispetto!» dico guardandola, sto iniziando ad incazzarmi.
«Non sto facendo nulla di male!»
«Ti ho chiesto una cosa semplice e tu fai di tutto per non rispettare l'unica regola che ti ho dato!»
«Ho solamente risposto alla tua domanda.» sospira e gioca con una ciocca dei suoi capelli scuri.
Sento persone che ci guardano e riservano le loro attenzioni a noi iniziando a vociferare sulla mia incompetenza come padrone.
Mi sto incazzando.
Mi avvicino di più a lei «Fa quello che ti ho detto!»
Fortunatamente lei capisce, o sente i mormorii della gente, perché dice «Non ho nulla da dirvi, padrone...»
«Bene.» dico tenendomi la testa, il mal di testa mi assale «Perché mi guardavi così intensamente prima?»
«Non so di cosa state parlando padrone.» risponde in modo meccanico, sicuramente le fa strano chiamarmi così e a me che lei lo faccia, ma deve farlo.
Mi sento così frustrato da questa situazione.
Non sopporto le voci.
In uno scatto la prendo e la imprigiono contro il muro mettendo una gamba tra le sue divaricandogliele senza la minima spiegazione mentre i vociferii si placano e la gente si distrae prestando attenzione ad altre persone e altre attrattive tipo le danzatrici.
Mi sta guardando male, l'ho fatta incazzare.
«Che cazzo stai facendo?» sibila a denti stretti però stando attenta a non alzare troppo la voce.
«Zitta vedi di assecondarmi, per la tua insolenza prima ci stavano fissando tutti, e io odio essere al centro dell'attenzione!»
«Bè, almeno questa è una cosa che abbiamo in comune...» mormora improvvisamente calma.
«Bè, vedi di non azzardarti più a scordarti di chiamarmi padrone, nemmeno ora!»
Diana sospira e si morde il labbro inferiore. «Perché hai deciso di portare me qua, padrone..? Sono come un pesce fuor d'acqua in mezzo a tutta questa gente.»
«Perché era ora che imparassi a rispettarmi e tutte le altre ragazze stavano male, sai problemi da donne e a me servivano due ragazze, te e Sharon.»
«Mmh...»
All'improvviso nel salone echeggia la voce di una donna che urla contro qualcuno, mi volto per guardare e noto proprio Amelia che sbraita incazzata nera con una serva.
La ragazza tiene il capo basso ed è scossa da singhiozzi, trema visibilmente per la paura.
I suoi capelli sono mossi di colore castano ramato, la corporatura esile e minuta, la pelle diafana, gli occhi color cioccolato, sul viso una spruzzata di efelidi che la fanno sembrare ancora più piccola di quello che è.
«Stupida ragazzina mi hai rovinato tutto il vestito!» grida Amelia furiosa. Mi accorgo solo ora che il suo vestito è completamente inzuppato di vino rosso e sangue pregiato.
Vedo il padre della ragazza alzarsi.
La serva non credo abbia più di 13 anni, è davvero piccola per essere entrata in questo mondo di sfruttamento.
Le tira i capelli e la piccola geme di dolore iniziando a piangere mentre freneticamente chiede mille volte scusa ma lui sembra fregarsene e anzi la picchia ancora più forte, è uno scempio ma i demoni intorno a lei sembrano ignorare la scena.
Sento il corpo di Diana premuto contro il mio che si irrigidisce, evidentemente anche lei deve aver visto.
«Fermalo... ti prego fermalo è solo una bambina!» la sua voce trema ed è carica di angoscia mentre ancora guarda la ragazzina soffrire.
«Non sono affari nostri Diana, non posso imporre a nessuno come educare e trattare le proprie schiave, non sono d'accordo con ciò che fa ma non posso fermarlo quindi fai finta di non vederlo.»
Scuote la testa e con forza si libera dalla mia presa. «Non posso far finta di non vederlo!» mi volta le spalle e corre verso di loro mettendosi in mezzo tra la giovane schiava e il padre di Amelia.
Dio come può disobbedirmi sempre? Ora sarò costretto a punirla pubblicamente come minimo sempre che Robert, il padre di Amelia, non lo faccia per me.
Non sopporterei mai che si azzardasse a toccare la mia schiava.
Mi avvicino a loro mentre Robert alza la mano per farle capire che sta per darle uno schiaffo «Spostati, schiava!» urla a Diana ma lei sta davanti alla piccola che singhiozzando si nasconde dietro di lei.
Tocco la mano di Robert guardandolo «Caro amico mio, Robert...» dico fermo «Per favore mi faccia il favore di mettere fine a questo scempio e non tocchi la mia schiava.»
Lui mi guarda arrabbiato ma dopo le mie parole sembra riprendere lucidità e abbassa la mano «Insegna a questa schiava a stare al suo posto, non ho mai visto schiave indisciplinate sotto il tuo controllo tranne quella mezza umana con gli occhi verdi ma di sicuro non era impertinente come questa quindi vedi di insegnarle a stare al suo posto o ci penserò io stesso.»
«Tranquillo, sono sicuro che capirà la lezione.» dico guardandola per poi scattare e prenderla per il collo «Inventa delle scuse davvero convincenti perché sono davvero incazzato stavolta!» le ringhio contro l'orecchio.
Lei sgrana gli occhi per la sorpresa ma non emette un fiato anche se sento il suo piccolo cuore accelerare i battiti, non parla ma dal suo sguardo mentre cerca di mantenere la calma capisco che non si è pentita di aver difeso quella ragazzina.
«Chiedi scusa al signore!» ringhio guardandola, tirandole appena i capelli.
Fa una smorfia a quel mio gesto e guarda Robert con le fiamme che le ardono in quegli occhi così insoliti per una demone. «Scusi, signore...» dice a denti stretti.
La tiro su incazzato senza usare delicatezza «A casa facciamo i conti, ora fila e vedi di non fare altre cazzate!»
In quello stesso istante vedo la ragazzina ricominciare a piangere mentre due guardie la trascinano via verso le scale e Robert li segue in quella direzione.
La musica riprende mentre io, in imbarazzo, spingo Diana verso Sharon.
Giuro che stavolta a casa le darò una lezione.
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