Sixteen.
Il suono insistente della sveglia di Louis disturbò i miei sogni e mi costrinse a socchiudere gli occhi, incontrando la luce fioca delle mattine di gennaio.
I corsi universitari non erano riniziati, era sabato ma soprattutto erano le sette e quarantacinque, perché diavolo doveva alzarsi ogni giorno a quell'ora? Nemmeno sapevo esistesse un mondo prima delle nove di mattina.
"TOMMO! Spegni quell'aggeggio!" ululai, lanciando uno dei libri impilati sul comodino contro la parete che confinava con la stanza del mio nuovo coinquilino.
I primi dieci giorni di convivenza erano andati egregiamente, se non fosse stato per il pallino di Louis per il jogging. Si era auto convinto di essere grasso e quindi, giustamente, doveva alzarsi a ore improbabili per andare a correre. Dove trovasse tutta quella forza di volontà era ancora un mistero.
Sospirai rassegnata, portando il piumone fin sopra la testa. Tanto valeva alzarsi, a quel punto. Avrei sfruttato la mattina per studiare, mi dissi, cercando di trovare una scusa valida che mi incitasse ad uscire dal tepore delle coperte.
Mi infilai velocemente i calzettoni di lana ed indossai, sbadigliando, il maglione rosso, con la A dorata.
Era uno dei pochi ricordi che mi restavano di Zayn. Uno di quelli che ero riuscita a nascondere ad Harry, per lo meno.
Da quando Styles mi aveva messo con le spalle al muro, dovendo scegliere al bivio tra lui e il moro, non c'era stato un giorno in cui io non avessi pensato a Zayn. Da quel maledettissimo trenta di dicembre, nessuno aveva più fatto il suo nome in presenza mia o di Harry. Per quanto ne sapevo, a quest'ora poteva essersi arruolato e trovarsi in guerra in Pakistan tanto quanto essersi fatto prete.
Il succo della questione era che mi mancava. Ma avevo fatto la mia scelta e, per quanto doloroso fosse, dovevo ingoiare quel macigno che si piantava in mezzo al cuore ogni mattina, quando mi alzavo e realizzavo che ormai Zayn non faceva più parte della mia vita.
Certo, continuare ad indossare quel maglione non aiutava. Ma era l'ultima testimonianza del fatto che lui fosse davvero esistito, e che la sua amicizia non era stata un sogno.
"Buongiorno splendore!" squittì Louis, in calzoncini corti e felpa, pronto sull'uscio di casa per il suo allenamento mattutino.
Tutta quella mielosità era davvero eccessiva per le sette di mattina ed era veramente troppo pieno di energie, avevo bisogno del suo spacciatore se volevo sopravvivere ad altri risvegli del genere. Biascicai un "buongiorno" mentre lui saltellava fuori di casa, con la cuffie nelle orecchie, salutandomi con un sorrisone a trentadue denti. Lo sentii canticchiare mentre scendeva la tromba di scale del palazzo, e sicuramente svegliò il signor Delaney del primo piano: mi preparai mentalmente all'arrivo di quel vecchio rimbambito e alla sua puntuale predica su quanto noi giovani d'oggi fossimo tremendamente irrispettosi.
Rimasta sola, misi a bollire dell'acqua per il mio obbligatorio Earl Grey e, aspettando, mi strinsi nella lana calda, fissando il mondo che lentamente si stava svegliando fuori dalla mia finestra. Un brivido inspiegabile mi percorse la spina dorsale, e una coltre di ansia insistente cominciò a bussare nella mia cassa toracica.
Il click del bollitore riportò la mia attenzione dentro le mura della cucina e versai l'acqua bollente nella tazza, prendendola poi con entrambe le mani, coperte dalle lunghe maniche del golf. Il vapore che saliva pigro, disperdendosi sotto il mio naso, mi scaldò non solo fisicamente, ma mi attraversò con il suo tenero calore attraverso le ossa, fino a toccare il cuore, anch'esso intorpidito. Sorseggiai attentamente la bevanda, iniziando finalmente a carburare. Sì, senza il mio tea mi era difficile riuscire ad affrontare una qualsiasi giornata.
Buttai quindi un occhio al cellulare, che avevo appoggiato distrattamente sul bancone della cucina: un sms non letto (sicuramente quello della buonanotte di Harry della sera prima) e una notifica di Facebook da parte di Jess. Tutto regolare insomma.
Eppure, nonostante il tea e nonostante tutto ciò che mi circondava sembrasse normale, quell'ansia non se ne andava e avevo come il sentore di star dimenticando qualcosa. Il che era difficile, dato che ormai la mia vita si era ridotta a studiare per gli esami, andare a prendere Alex a scuola e scorrazzarlo a destra e a manca, e vedere Harry.
Appoggiai la schiena contro la sedia, sbuffando.
Da quando avevo chiuso i rapporti con Zayn, vedevo meno anche Liam e Niall. Mi mancavano anche loro, nonostante cercassero di farsi sentire il più possibile. Ma giustamente, nel momento in cui si erano trovati a dover prendere le parti in quella assurda divisione che si era venuta a creare, avevano preferito stare accanto al loro amico. Dopotutto, lo conoscevano da una vita.
Ad essere sincera, mi sentivo sola.
Certo, avevo Harry che occupava ogni mio minuto libero ed io ero contenta di ciò, credo. Per lo meno mi teneva la mente occupata, così come Alex. Passare i pomeriggi con quel marmocchio non era mai stato tanto piacevole, era un po' come evadere dal mondo "dei grandi" per qualche ora. E poi c'era anche Louis, sempre presente, quasi a compensare l'assenza di Jess nel quotidiano, il quale più di una volta mi aveva confortata in quei momenti di depressione che, ultimamente, mi prendevano sempre più spesso. E certo, sentivo la mia migliore amica ogni sera, e grazie a quelle chiamate riuscivo ad arrivare a fine giornata con un debole sorriso sulle labbra.
Ma la realtà era che mi sentivo comunque sola perché non avevo più lui.
Era un pensiero fisso, martellante. E la cosa assurda era che mi sarebbe bastato poco, solo un briciolo di coraggio per chiamarlo e sentirmi meglio. Ma ogni volta che ero sul punto di cliccare quel tasto verde sullo schermo del telefono mi ricordavo degli occhi delusi e tristi di Harry, su quella spiaggia. Mi ricordavo del dolore nelle sue parole e nei suoi gesti. E quindi sentivo di meritarmi quella sofferenza e quel magone che mi accompagnava ogni giorno da ormai dodici giorni.
Dodici giorni.
Di scatto mi voltai verso il calendario appeso vicino al frigorifero.
Era il dodici di gennaio. Il giorno del compleanno di Zayn.
Improvvisamente compresi da dove venisse tutta quell'ansia, quella mattina. Okay, ero già ansiosa di mio, ma quel risveglio era stato più angosciante del solito e ci misi un po' per rendermi conto del perché. E anche la stucchevolezza di Louis aveva un senso, adesso.
Ma non volevo la commiserazione di nessuno, soprattutto non quel giorno. In fin dei conti non era mica morto nessuno.
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Reazione di Friedel-Crafts: sostituzione elettrofila di uno ione idrogeno con un carbo-catione su un anello arom...
L'inconfondibile Marcia Imperiale di Star Wars ruppe il silenzio della casa, mentre cercavo invano di ripassare gli ultimi concetti di chimica organica, prima dell'esame di laboratorio qualche giorno dopo.
Mi allungai verso il telefono, vedendo poi la faccia buffa di Jess sullo schermo.
"McMillian, sto ripassando Organica e non ci sto cavando un ragno da un buco" mi lamentai, senza nemmeno salutarla.
La ringraziai mentalmente per avermi salvata dalla tortura di quel ripasso che mi stava tenendo impegnata da più di un'ora.
"Dai che l'esame è alle porte e spaccherai i culi come al solito! I Vogel non si lasciano sconfiggere da nulla e nessuno, dico bene?" rispose lei, la voce più allegra del solito, soprattutto per essere le dieci del mattino.
Avevo già capito dove volesse andare a parare.
"Se mi hai telefonato per sapere come sto - sottolineai quelle parole con enfasi - non hai nulla di cui preoccuparti. E' un giorno come un altro. Anche la tua dolce metà stamattina mi ha riservato un buongiorno coi guanti di velluto ma, davvero, non ho bisogno di facce contrite e compassionevoli. Sto bene, d'accordo? Fine della storia".
Forse avevo esagerato coi toni. Forse avevo messo fin troppa enfasi in quella risposta e, in effetti, sembravo tutt'altro che tranquilla. Sentii la mia amica sospirare dall'altro lato della cornetta.
"Sapevo che avresti reagito così. Ma ti conosco e so quanto ti starai angosciando in questo momento. Ti ho telefonato solo per chiederti di farmi un favore: smetti di ripassare ed esci. Vai a fare shopping, divertiti in qualche modo, tieni la testa occupata o finirai per fare qualche stronzata" replicò lei dura.
Non sopportavo quando assumeva quel tono da maestrina o, ancor peggio, da tiranno. E non sopportavo quando riusciva a capirmi meglio di me stessa: è vero, dovevo distrarmi.
Era da quando ero in piedi che non avevo fatto altro che pensare a lui. Ai suoi occhi ambrati, così profondi e liquidi. Al suo sorriso quando passavamo le serate assieme a leggere fumetti. Al suo dolce profumo di dopobarba e tabacco che si insinuava prepotentemente nell'aria ovunque mettesse piede. Al fatto che oggi era il suo compleanno, e avrebbe compiuto ventun anni, e avrei solo voluto passare la serata con lui a bere e scherzare. Quel peso costante che mi premeva da giorni era diventato ancor più insopportabile solo al ricordo di quei piccoli dettagli, tanto che mi pareva difficile persino respirare.
Chiusi il quaderno, alzandomi di scatto. Sì, Jess aveva ragione. Dovevo uscire, occupare la mente con qualcosa che possibilmente non riguardasse Zayn.
Mi vestii velocemente, buttandomi nelle vie frenetiche di Londra del sabato mattina.
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Dopo aver speso quasi metà del mio stipendio mensile e aver conseguentemente svaligiato mezzo TopShop decisi che sì, mi sentivo decisamente meglio. Lo so, si dice che fare shopping è terapeutico, ma avevo sempre pensato che fosse una cavolata che si raccontavano a vicenda quelle maniache degli acquisti per giustificare le loro spese folli.
Però effettivamente, con in mano due sacchetti pieni di quattro camicie, due paia di skinny, una giacca ed una felpa nuovi il mondo mi sembrava più allegro e spensierato.
Il sole aveva deciso di degnarci della sua presenza, riscaldando quella tarda mattinata di gennaio. Londra, sotto i raggi del sole, si trasforma: la luce si infiltra in ogni angolo della città e si riflette in ogni vetro, conferendo alle strade brulicanti di persone un'atmosfera quasi irreale. Continuai a girovagare per Oxford Street senza una meta precisa, lasciandomi cullare da quella sensazione appagante.
Con l'umore decisamente alleggerito, andai a consumare il mio pranzo (due miseri sandwich presi di corsa da Sainsbury's) su una assolata panchina ad Hyde Park, con la musica nelle orecchie, godendomi quello spettacolo.
Quella bella giornata sembrava aver risvegliato ogni anima di Londra, che si era riversata al parco per godere di quei caldi raggi: i sorrisi sui visi delle persone che mi passavano davanti era un antidepressivo potente tanto quanto lo era stato lo shopping e, per la prima volta da parecchi giorni, potevo dire di sentirmi sinceramente bene. Certo, il lato negativo doveva sempre esserci: chiaramente non mi ero portata nulla da leggere. Ma era un po' una legge di Murphy, quando non uscivo di casa con un libro in borsa, cosa che succedeva molto di rado, era sicuro che sarebbe stata una giornata perfetta da passare al parco con il naso immerso tra le pagine. Raccattai quindi i miei sacchetti, diretta verso la libreria che si trovava dall'altro lato di Hyde Park, e attraversai il parco quasi saltellando, tanto ero di buon umore.
La vibrazione del cellulare mi costrinse a mettere in pausa "Mr. Brightside" dei Killers che risuonava nelle mie orecchie.
"Pronto?"
"April? Dove sei, sono sotto casa tua, pensavo ci vedessimo da te per pranzo."
Harry. Mi ero dimenticata di lui. Una nuvola sembrò incupire il sole, in quel momento.
"Oddio, scusa. E' che era talmente una bella giornata che non mi andava di passarla a studiare e sono uscita a fare shopping" cercai di rispondergli con il tono più allegro e spensierato possibile, per quanto tutto quel controllo da parte sua stesse diventando... soffocante.
"Beh, potevi anche chiedermi se volevo unirmi, lo sai che non mi dispiace accompagnarti per negozi..." borbottò.
Come potevo dirgli che no, volevo stare un po' da sola, e quel giorno l'ultima persona che avrei voluto vedere era proprio lui?
"Lo so, scusami, davvero. E' che mi ha chiamato Rachel, la mia compagna dell'università, hai presente? Ho pranzato con lei e ora stiamo andando a cercare dei libri per un esame!"
Bugia. Ma la verità gli avrebbe fatto male, e in fondo non se lo meritava. Quella era una bugia a fin di bene, una bugia onesta.
"Figurati, mi ero solo preoccupato non trovandoti a casa. Ci vediamo stasera? Fammi uno squillo quando torni, magari prendiamo il messicano d'asporto, che dici?"
Accettai la proposta, cercando di essere il meno sgarbata possibile ma, nonostante stesse cercando di essere il meno pesante e pressante possibile, tutta quella sua preoccupazione mi irritava. Non si fidava di me, era chiaro, ma cosa potevo fare di più? Avevo allontanato Zayn per stare con lui, speravo che questo fosse bastato a fargli credere in me. Invece no, se avesse potuto molto probabilmente mi avrebbe tenuta al guinzaglio.
Chiusi la telefonata e tutto il buonumore accumulato nelle ore precedenti pareva essersi dissolto, assieme al bel tempo della giornata: un spesso strato di nubi grigie aveva totalmente oscurato il sole, e non prometteva niente di buono.
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Ero ferma imbambolata davanti quella villetta dalla facciata verde da quasi... quaranta minuti.
Probabilmente qualche vecchietta annoiata alla finestra mi aveva già scorto e chiamato la polizia, prendendomi per una stalker o una serial killer. L'impressione che dovevo dare era quella: il cappotto blu era diventato nero a causa della pioggia torrenziale che aveva preso il posto del sole, ed i capelli umidi sotto il cappuccio imperlavano di gocce di acqua anche il mio viso.
Non so perché mi trovassi lì. Cioè, lo sapevo, ma non so quale subconscio totalmente irrazionale mi ci avesse condotta.
Quando ero entrata in libreria, per ripararmi dalla pioggia, ero ancora sana di mente. Nessuna idea folle, ero solo scocciata e infastidita da Harry e le sue manie di controllo. Avevo iniziato a girovagare tra gli scaffali, cercando di ritrovare un po' di quella pace mentale che solo i libri riuscivano a darmi. Avevo finito inesorabilmente nella sezione fantasy. Mi sentivo a casa, circondata dai miei libri preferiti, e un sorriso si era impossessato delle mie labbra, fino a pochi minuti prima contrite per l'irritazione.
Avevo sospirato, accarezzando piano le coste dei libri disposti in ordine sulle mensole, cercando qualcosa che ancora non avessi letto - un'impresa alquanto ardua. Insomma, pensavo di essere sana e salva tra quegli scaffali, ma non potevo essere più nel torto: un dizionario Kilngon-Inglese aveva catturato la mia attenzione come una calamita. Il Klingon, per chi non fosse esperto del genere, è la lingua parlata dalla omonima razza di alieni nell'universo di Star Trek.
A quel punto, la April ragionevole e sensata si era distaccata completamente, lasciando carta bianca ad una April folle e totalmente sconsiderata. Avevo preso il libro, ero andata a passi veloci alla cassa, avevo pagati senza nemmeno preoccuparmi del resto e PUF! nel giro di venti minuti e dopo essermi presa tutta l'acqua che il cielo di Londra aveva deciso di riservarmi quel sabato eccomi là, davanti a quella casa, davanti a quel portone.
Adesso giri i tacchi e te ne vai.
No, piantala di fare la codarda. Sei April cazzo- Vogel e lui è il tuo... lui è... lui è il tuo migliore amico, di cosa hai paura? Piantala di fare la bambina.
Non è giusto nei confronti di Harry, lo hai promesso.
Mi tirai una pacca in testa. Sì, se qualcuno mi stava fissando in quel momento non avrebbe pensato due volte prima di chiamare un'ambulanza e farmi rinchiudere in manicomio. Perché non c'era altra spiegazione, stavo letteralmente impazzendo.
Alzai gli occhi verso il cielo che, dopo essersi sfogato, aveva deciso di darmi una tregua, concedendomi un tramonto che sfumava dal rosa pallido all'arancione acceso.
Sospirai, trovando in quelle nuvole dai colori caldi, la forza per fare quei pochi passi che mi dividevano dalla porta di casa Malik.
Un ultimo sospiro, e bussai. Si sentivano risate e un vociare intenso provenire dalle finestre del salotto, mentre dei passi frettolosi raggiunsero presto l'uscio di casa.
"April? Che sorpresa, da quanto tempo che non ti si vede! Vieni entra, sei tutta bagnata!"
Sorrisi debolmente a Doniya, mentre cercavo di riappropriarmi delle mie stesse gambe che, seguendo il cervello, volevano fare dietro-front e scappare. Ogni cellula del mio corpo sembrava ribellarsi e voler fuggire da quella casa.
Peccato che il cuore sia più forte di ogni altro organo umano.
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