Nineteen.
Era una situazione del cazzo.
Scusate il francesismo, scusate il linguaggio da scaricatore di porto, ma non mi vengono in mente termini altrettanto efficaci per descrivere quella situazione.
Era una situazione del cazzo ed io ero un codardo, altrettanto del cazzo.
Mi stavo facendo mangiare vivo dal senso di colpa nei confronti di Harry. E anche a ragion veduta: io ed April eravamo stati egoisti. Noi due siamo sempre stati egoisti, a dire il vero: non ci eravamo mai preoccupati dei sentimenti di nessuno quando passavamo nottate a giocare alla playstation a casa sua, non ci eravamo preoccupati di quello che avrebbero potuto pensare gli altri quando magari passavamo giornate assieme alle convention di fumetti, non ci eravamo nemmeno mai posti dei semplici dubbi.
No, ci siamo semplicemente buttati in quella sottospecie di relazione pseudo-clandestina che avevamo, senza nemmeno sapere di averla.
Perché effettivamente, se ci ripenso, se guardo a tutto quello che è successo dal punto di vista di Hazza, anche io sarei stato pieno di paranoie e mi sarei fatto mille film mentali. Che poi, considerati gli avvenimenti, non erano poi così infondati. Sì, noi siamo stati egoisti e stupidamente impulsivi, come al solito.
Perché chiaramente né io né lei avevamo pensato per nemmeno una frazione di secondo a cosa avrebbe potuto comportare un bacio fugace durante la Vigilia, men che meno un bacio divertito e anche cercato nel gelo del mare scozzese. No, nessuno dei due aveva pensato alle conseguenze: c'eravamo fatti trasportare dall'attimo.
E, per la prima volta in vita mia, avrei preferito che quel dannato carpe diem non fosse mai esistito: è un motto idiota, che porta quasi sempre solo problemi. Noi ne siamo la prova vivente.
Perché adesso, grazie a quel cazzo di carpe diem, stavamo tutti di merda.
Liam, Louis e Niall dovevano fare i conti con una compagnia di amici divisa, e sapevo perfettamente quanto questo fosse per loro non solo doloroso, ma anche fisicamente estenuante: provateci voi ad organizzare le uscite con persone che non possono (e non vogliono) più vedersi, ma che un tempo erano pappa e ciccia.
April stava male. Come stavo male io senza di lei, del resto. Quando l'avevo vista, bagnata come un pulcino e che tremava come una foglia, sull'uscio del salotto di casa mia, per qualche secondo avevo pensato di mandare tutti al diavolo perché non potevo sopportare di vederla in quello stato, avrei solo voluto abbracciarla e dirle che sarebbe andato tutto bene. Però poi mi erano balenati subito in mente gli occhi smeraldo di Harry.
Harry, che conosco da quando abbiamo sei anni, che è sempre stato una presenza costante ed importante nella mia vita, che mi aveva sempre supportato in tutto, stava male e soffriva per causa mia.
E il suo dolore batteva ogni cosa, batteva ogni lacrima di April, ogni problema organizzativo degli altri, perché io avevo ferito uno dei miei migliori amici. Lo avevo pugnalato alle spalle, come fanno i più vili tra i nemici: ma io non ero un nemico, non avevo mai voluto esserlo. Non mi sarei mai sognato di mettermi in mezzo tra lui ed April ma, come ho detto, sono un egoista. Un egoista che non pensa mai due volte prima di agire. Quindi, l'unica soluzione percorribile a tutta quella sofferenza che avevo causato, mi sembrò solo quella di allontanarmi da loro, come lui aveva richiesto. Mi sembrava il minimo che potessi fare, dopotutto.
Però penso che nessuno di noi si fosse fermato a riflettere su cosa questa decisione comportasse. Io, sicuramente, non avevo previsto che potesse fare tutto quel male.
Mi mancavano.
Mi mancavano tutti, mi mancava uscire con i miei amici come un tempo, mi mancavano le feste da Liam, mi mancava il nostro cazzeggiare a casa di Horan scolandoci litri di birra, mi mancava fare remix al limite dell'ascoltabile con Tommo, e mi mancava Harry: mi mancavano i suoi consigli ingenui ma al contempo saggi, mi mancava il suo sguardo sempre vivace, mi mancava passare pomeriggi assieme in biblioteca maledicendo il professore di Aziendale e mi mancava addirittura la sua pizza cruda.
Però, più di tutti, mi mancava lei.
Perché mi ero illuso che fosse una semplice amica, ma lo sapevo perfettamente quello che provavo per lei. Sapevo di essere innamorato di April, del suo sorriso divertente, dei suoi occhi vivaci, amavo i suoi gesti e ciascuna parola che usciva dalla sua bocca, e sapevo di amarla anche quando mi sbatteva la porta in faccia nervosa, sapevo di essere innamorato di lei anche quando litigavamo per qualche stronzata. Ma cercavo di infossare tutto quel sentimento totalizzante, che spesso mi stordiva, etichettandolo con amicizia.
Probabilmente mi ero illuso soprattutto perché lei stava con Harry, e quel poco buon senso che avevo mi diceva che non era morale cercare di rubare la ragazza al tuo migliore amico. Ma April ed io eravamo... connessi. Era scattato subito qualcosa, da quelle prime mail, e me lo ricordo come se fosse adesso: scorrevo le sue parole sullo schermo luminoso del pc e mi sembrava talmente assurdo che potesse essere una ragazza vera, in carne ed ossa. Io volevo bene ad April, un bene talmente profondo e radicato che mi soffocava, ma non avevo ancora il coraggio di chiamare con il suo vero nome: amore.
Insomma, per farla breve, quella situazione nella quale ci eravamo intenzionalmente ficcati stava portando solo dolore, a tutti. E tutte quelle parole desiderate e pensate ma mai dette cominciavano a pesare prepotentemente al centro del mio petto.
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Mi ero quasi deciso a raccogliere ogni briciola di quel poco coraggio che mi restava per andare a parlare con Harry e April quando sentii suonare il campanello di casa. Sicuro fosse una delle mie sorelle, scesi le scale controvoglia, maledicendole per essersi dimenticate le chiavi per l'ennesima volta.
Però, quando spalancai il portone bianco, incontrai uno sguardo che forse non ero ancora pronto ad affrontare. O, per lo meno, avrei avuto bisogno di una preparazione psico-fisica.
Harry era là. I suoi occhi, solitamente grandi e vivaci, erano quasi socchiusi, le sopracciglia aggrottate: stava tentando di trovare qualcosa da dire, o da fare. Stava cercando lo stesso coraggio che cercavo anche io.
"Entra" dissi sottovoce, aprendo di più la porta di casa per farlo accomodare, e lui annuì, seguendo il mio invito, restando però immobile nell'atrio.
"Dobbiamo parlare" esordì poi, mentre nel frattempo io mi scervellavo per trovare qualcosa da dire che esulasse dalle solite scuse che ormai si era sentito ripetere fino allo sfinimento.
Per fortuna fu lui a fare il primo passo con quelle due semplici parole, ed io feci un cenno d'assenso col capo, per poi farmi seguire in cucina. Me ne pentii subito: troppi coltelli in cucina.
Troppe armi potenzialmente mortali.
Ancora non sapevo nemmeno quali fossero le reali intenzioni di Hazza. Grazie a dio, si limitò a sedersi su uno sgabello, lontano dal cassetto delle posate, senza staccare gli occhi dalle sue mani nervose.
"Harry - cercai di farmi forza, per riuscire a spiccicare qualche parola - Harry, se potessi tornare indietro, se potessi rimediare alla stronzata che ho fatto, lo farei seduta stante. Lo sai quanto ti voglio bene e lo sai che-"
"Lo so, Zayn - mi interruppe lui, spostando le sue iridi verdi dal basso delle sue mani all'altezza dei miei occhi - lo so. Lo so che mi vuoi bene, lo so che te ne penti, lo so che ti dispiace. E ci mancherebbe altro, se posso permettermi" disse, abbozzando un sorriso.
Era strano vederlo sorridere, considerato che mi aspettavo che fosse venuto là per uccidermi, come minimo.
"Tutte queste cose le so già. So anche che ti manco, perché mi manchi anche tu. Come amico, sia chiaro" sogghignò.
Il tono di quel discorso stava diventando inquietantemente tranquillo e quasi spiritoso.
"Insomma, lo sappiamo tutti e due che hai fatto una carognata, ma so che non lo hai fatto per ferirmi, so perfettamente che non era nelle tue intenzioni, né in quelle di April. Ciò non toglie che mi avete entrambi tradito ed io sono stato e, in parte, sto ancora molto male per questo. Perché mi fidavo di te, Zayn, cazzo. Sei il mio migliore amico e... - no aspetta, fammi finire" cercai di interromperlo, aprendo la bocca per cercare di chiedergli ancora una volta scusa, di spiegargli che era solo colpa del mio egoismo e lui aveva tutte le ragioni del mondo a volermi escludere dalla sua vita, nonostante appunto questo stesse facendo stare male entrambi, ma lui non mi fece proferir parola, continuando il suo monologo.
"Tu sei il mio migliore amico, uso il presente perché, nonostante tutto, lo sei ancora. Ma in sostanza, queste sono cose che sappiamo entrambi, giusto? - annuii con la testa, ma non capivo dove volesse andare a parare - bene. Il punto della questione è che io so qualcosa che tu invece non sai. So che non avrei mai dovuto tenervi lontano dal principio, so che lei ti piace veramente, so che ti è sempre piaciuta, so che la trattavi di merda solo perché potesse stare con me, so che probabilmente avrei dovuto confidarmi con te prima di invitarla ad uscire, e so che quello che hai fatto non lo hai fatto per egoismo, lo hai fatto perché sei innamorato.
E mentirei se ti dicessi che non ti ho mai invidiato per quello che sei riuscito a costruire con lei, mentirei se ti dicessi che non ti ho odiato quando l'ho vista tra le tue braccia: mi pareva di esplodere, in quel momento.
Però poi, dopo aver riacquistato la calma e dopo aver visto quanto è cambiata lei senza di te, ho provato a cambiare prospettiva e a mettermi nei tuoi panni.
E tutto a quel punto aveva senso, e ho dovuto fare i conti con il mio, di egoismo. Perché sono io che l'ho costretta a stare con me, non troppo inconsciamente: sapevo che lei non sarebbe mai stata tipo da lasciarmi per te, per il suo migliore amico, nonostante fosse chiaro come la luce del sole che tra voi stava nascendo qualcosa. E' stato il mio egosimo che, alla fin fine, ha causato tutto questo patatrac".
Mi aveva preso in contro piede.
D'accordo che Harry era sempre stato il bambino saggio del gruppo, quello all'apparenza ingenuo e un po' sciocco ma che in realtà capisce molto più di tutti noi messi assieme, ma il fatto che fosse riuscito a leggere così distintamente e facilmente i miei sentimenti e le mie azioni mi sconvolse. Era un ottimo osservatore, è vero, ma quella volta mi sorprese perché nemmeno io mi ero reso conto che, effettivamente, quello era ciò che provavo. Quello era ciò che era successo.
E non voglio fare lo scarica barile, dando la colpa a lui quando effettivamente non ne aveva, però io ero davvero innamorato di April. E sentirlo dire ad alta voce, rese il tutto più ovvio e chiaro: Harry lo aveva spiegato con una tale semplicità che mi fece rendere conto che l'amore era veramente una cosa semplice. Non c'era mai stato nulla di complicato, in tutta questa faccenda, eravamo stati solo noi stessi a porci ostacoli immaginari, trappole ben piazzate per impedire di vedere come stavano realmente le cose.
Harry, al contrario, lo aveva capito forse fin da subito. E probabilmente la sua unica "colpa", se così la si può definire, era stata quella di non aiutare me ed April ad aprire gli occhi a nostra volta, ma invece aveva sfruttato questa nostra cecità a suo vantaggio.
"Beh, Malik muto come un pesce è una novità, devo ammetterlo - sghignazzò lui, alzandosi, per raggiungermi vicino al termosifone sul quale mi ero imbambolato - non avevi il coraggio di ammettere ad alta voce di essere innamorato di lei, eh?" mi sorrise.
Incrociai il mio sguardo confuso ed imbarazzato con il suo, annuendo impercettibilmente.
"Lo sapevo! Avrai pensato che erano solo sentimenti di normale amicizia, giusto? Ah, Zayn, Zayn, sei sempre il solito!"
"È che... lei è in primo luogo una mia amica. Lei è per prima cosa la mia migliore amica, e pensavo mi potesse bastare semplicemente quello - borbottai - e poi questo non giustifica quello che abbiamo fatto, avremmo dovuto... fermarci a pensare".
"In realtà, se guardi ai fatti con uno occhio totalmente esterno, questo vi giustifica eccome. Se non vi giustifica l'amore, allora cosa può farlo?" disse Harry, stringendosi nelle spalle e sorridendomi tristemente.
Lui era ancora innamorato di lei, lo potevo vedere chiaramente e sentire nettamente dalle sue parole, dette con un tono sicuro ma un po' rassegnato.
Lui la stava lasciando libera per me.
La stava lasciando in modo che potessimo essere felici, a discapito della sua, di felicità. E non era affatto giusto.
"Harry, no, non ci giustifica un cazzo. Tu sei innamorato di lei, forse più di me. Tu sei il ragazzo giusto, tu sai farla felice, tu sai cosa dire al momento giusto, tu la capisci: io sono solo buono per giocarci alla playstation per ore!"
"E' qui che ti sbagli. Il punto è che sì, io potrò amarla tanto quanto te, è vero, il problema è che io non sono quello giusto, io non la so far felice. E te lo dico perché in queste tre settimane, senza di te, lei è mutata, è depressa, ha perso tutta quella forza vivace, divertente, spiritosa che aveva fin quando c'eri tu.
Io non la capisco, Zayn: quello sei tu. Sei tu quello giusto, sei tu quello che la fa felice, e non te ne sei nemmeno mai reso conto. Non sai quanto ti ho invidiato per questo: lei quando ti guarda lo fa con occhi che sono diversi da quelli con cui guarda ogni altra persona, e tu sei troppo ottuso per realizzarlo" disse deciso, piazzandosi davanti a me e prendendomi per le spalle e ancorando il suo sguardo determinato nel mio dubbioso.
"Io voglio vedervi felici, cazzo. Perché so che la vostra felicità porterà anche la mia, forse non subito, forse prima sarà un po' doloroso, ma so che vedervi felici sistemerà ogni cosa. Quindi adesso, per favore, muovi questo culo che ti ritrovi e va' da lei: è dai Tomlinson. Non voglio discussioni, ti butto fuori di casa a calci se non ci vai, intesi?"
Abbracciai Harry a lungo, senza dire nulla, tanto qualsiasi cosa avessi potuto dire non avrebbe retto il paragone con i suoi discorsi, con il suo altruismo, con quel gesto di pura e semplice amicizia.
Quindi mi precipitai fuori di casa, senza nemmeno preoccuparmi che ci fossero meno cinque gradi ed io indossassi solo una felpa.
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