Capitolo 8
CASSIOPEA
Esco dal liceo velocemente, i piedi non mi rispondono, non riesco a fermarmi.
Non so dove stia andando, so solo che voglio stare lontana dalla scuola, da quella pazza della Ferrari e anche da Yoshida.
Ế assurdo tutto questo, è assurdo che sia obbligata a relazionarmi per di più con un ragazzino impertinente. Ma non è lui che mi fa del male, mi fa male il tempo che rende tutto insensato.
Voglio scappare, fuggire da Milano e andarmene altrove, lontano dalla mia famiglia, lontano dalla sofferenza che mi assale il petto fino a farmi soffocare.
Poi tutto arriva come un fulmine a ciel sereno, arriva l'ansia che mi nausea, l'angoscia che mi blocca il respiro.
La voglia di tagliarmi subentra e stringe il mio corpo come uno schifoso verme.
Il verme sono io che la lascio spazio, che lo faccio entrare dentro di me e mi devasta lentamente.
Sono complice della mia stessa morte . Poi penso alle parole della dottoressa, penso che ho i giorni contati, che potrebbe portarmi da uno psichiatra in chissà quale clinica.
Non posso permettermelo.
Mi porto una mano alla bocca e tento di fermare i singhiozzi. Intanto la gente va e viene e non si accorge di me, sono invisibile.
Le ferite bruciano, ma è un dolore fisico, è qualcosa che è insito in me, un segnale che mi avverte quando ne ho abbastanza del mondo.
Mi sto rubando la vita nel peggiore dei modi.
E sono sola, sola davvero.
Sola fino a farmi scomparire.
Mi rendo conto di essere vicina a casa
Mamma non deve sapere non può sapere.
Ma all'improvviso mi accorgo di non essere sola qualcuno mi sfiora una mano e io comincio a tremare, odio il contatto fisico.
Mi volto di scatto... Yoshida!
Ế qui vicino a me.
«C-c-cosa ci fai tu qui?» Balbetto tremante.
Mi allontano da lui e premo le unghie sulle braccia ferite.
«Stavo tornando a casa, Cass... qualcosa. Ti ho vista e nonostante il grande imbarazzo ho deciso di avvicinarmi a te.»
Che razza di stupido, non lo voglio con me, non voglio nessun ragazzo. Voglio solo drogarmi del mio dolore.
Se soffro so che potrò stare meglio, devo soffrire per essere qualcuno.
«Cassiopea....»
«Giusto "capelli rossi"! Bè, visto che dobbiamo fare amicizia, facciamola!»
«Ma che razza di amicizia vuoi fare?»
Inizio a camminare verso casa, ma sento che Yoshida mi sta seguendo e intanto blatera qualcosa che non ascolto.
«Senti "capelli rossi", non ci voglio andare da uno psichiatra!»
Lo sento urlare e fermarsi.
Mi blocco anche io, il ricordo dell'incontro con la Ferrari mi dà il voltastomaco
Mi volto di scatto mentre continuo a mordicchiarmi l'interno della guancia.
«Neanche io sia chiaro!»
Alex allarga le braccia e dice:
«Allora collaboriamo!»
Sospiro. Forse ha ragione, forse dovremmo davvero diventare amici, a meno che....
«Sento, Yoshida non mi piaci...»
«Neanche tu mi piaci.»
«Ti prego di non interrompermi più. Dicevo, se dessimo modo di convincere la Ferrari che stiamo collaborando?»
«Ovvero?» Alex alza il sopracciglio dubbioso.
«Fingendo di essere amici quando andiamo alle sue sedute.»
«Uh bé non mi dispiace questa soluzione, Cass- qualcosa»
Yoshida sorride e questa volta sorrido anche io.
Lui mi raggiunge, camminando affianco a me e ad un certo punto mi domanda:
«Che cosa le raccontiamo durante la prossima seduta?»
Alzo le spalle indifferente.
«Non so, che abbiamo preso il bus assieme e che abbiamo iniziato a chiacchierare.»
«In effetti stiamo chiacchierando.»
Scoppio a ridere, lo stiamo facendo sul serio.
«Vedi, Cass-qualcosa non è difficile fare amicizia.»
«Questa si può considerare amicizia?»
«Bè di convenienza, ma è pur sempre amicizia.» Dice Alex con voce limpida.
«Però dobbiamo raccontare qualcosa di più alla Ferrari.» Noto che Yoshida min guarda e io non posso sopportare il suo sguardo su di me.
«Che cosa?»
«Forse...» Quello che sto per dire mi urta e mi fa male perché va al di là delle mie capacità di relazionali.
«Parla, Cass-qualcosa!»
«Dobbiamo fare molto più di questa pseudo chiacchierata.»
«Certo che sei davvero strana "capelli rossi"!»
Innervosita lo guardo negli occhi per la prima volta .
«Usciamo, Yoshida.»
«Ế un appuntamento?»
«No, cretino! Nel senso, che ne so... andiamo sui Navigli.»
«E che ci andiamo a fare sui Navigli?»
«Ma ti devo proprio dire tutto! Insceniamo un incontro, facciamo finta che ci stiamo dando da fare!»
Yoshida sorride beffardo e mi porge la mano, ma lo vedo ritrarsi, capisco che è un gesto estranei anche per lui.
«Domani dopo la scuola prendiamo il bus assieme.» Afferma pesando le parole.
All'improvviso il suo sguardo si rabbuia.
Alex Yoshida si oscura e mi ritrovo completamente nel suo strambo comportamento.
Annuisco, rendendomi conto di essere tornata a casa.
«A domani, Yoshida!»
«A domani Cass- qualcosa!»
Dopodiché ci allontaniamo e ognuno va per la propria strada senza immaginare che la nostra finzione ci costerà cara.
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