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| Capitolo XVI | - Amo i jeans

* LORENZO *

Sia chiaro, non avevo due anni e il mio non era un trauma da infanzia bruciata! Per lo più, uno shock da fratello che scopre che sua sorella potrebbe un giorno diventare sua cognata.

Mi scrollai di dosso quel pensiero assurdo con un brivido.

Era stata una notte insonne, trascorsa a rigirarmi e a rimestare in un'angoscia immotivata. Di certo mi stavo immaginando tutto, o almeno così mi ostinavo a ripetere, nel prendere a testate il cuscino.

Eppure, l'allarme non cessava. Avvertivo come... Una violazione, nella sicurezza della nostra casa. Era una sensazione che non avrei saputo definire altrimenti. Tutto a un tratto, essa era diminuita, ma l'intruso era ancora vicino... ancora un pericolo.

Infine, avevo rinunciato all'idea di dormire e avevo bussato alla porta di Naay, giusto per mettermi il cuore in pace. Nello spazio di un minuto, ero giunto alle peggiori conclusioni: che l'avessero rapita, ferita, uccisa, che avesse recuperato la memoria e fosse tornata da dove era venuta, sparendo dalla nostra vita senza un saluto.

Avevo provato a chiamarla, ma il suo telefono vibrava sul comodino. Allora ero andato nel panico e mi ero vestito prima di cercare Diego, sicuro che a sua volta lui si stesse preparando a uscire a cercarla.

"Diego e Naay... Che idea!" bofonchiai tra me, avanzando a passo svelto nel viale. "Napoleone e Buddha avevano più cose in comune!"

Di certo litigavano di meno. Quei due, al contrario, non riuscivano a tenere una conversazione su una qualsiasi tematica senza rischiare di colpirsi o insultarsi a vicenda.

Ripensandoci, questo avrebbe dovuto essere un campanello di allarme... per anni avevano nascosto ciò che provavano a tutti, inclusi sé stessi. In cuor mio, consideravo Naay una sorella a tutti gli effetti, ma lei e Diego non avevano vissuto a lungo nella stessa casa. Non si erano mai considerati a vicenda tali e, se la cosa mi aveva inizialmente intristito, ora ne comprendevo la ragione.

Iniziai a ridere di me. Mi facevo vanto di essere un buon osservatore e non mi ero accorto di una cosa simile?

D'accordo, forse ho reagito in modo esagerato, mi dissi.

D'altro canto, non avevo forse il diritto di essere furioso per essere stato, ancora una volta, lasciato all'oscuro, a rimestare per ore nell'ansia?

Fu allora che un sibilo attirò la mia attenzione dalla vegetazione che sovrastava la stradina. Proveniva nella direzione del giardino di Boboli, che si poteva raggiungere risalendo il colle su un erto sentierino, il cui sbocco era poco distante.

Me lo ero immaginato? Con la mia fortuna, avrei scommesso tutti i miei averi di no. L'istinto mi gridava di scappare, ma se mettermi a correre avrebbe innescato nella creatura l'istinto di rincorrermi e sbranarmi?

No, non ero venuto sin lì solo per girarmi e nascondermi dietro alla gonna di mia sorella. Dovevo uscirmene con un esordio epico come...

"Ehi... c'è qualcuno?" mi azzardai a sussurrare, muovendo un passo indietro "Io... ehm... vengo in pace. Parlo per Naay, figlia di Atris. Puoi uscire dove posso vederti, per favore?"

Il cuore mi balzò nella carotide, come scorsi l'ombra di una creatura china scomparire dietro a un cipresso. Incrociai allora i suoi occhi gialli e vi lessi una silente minaccia.

La consapevolezza di quanto fossi stato idiota mi raggiunse come una martellata.

Mossi un passo indietro, nell'istante in cui la voce di Naay mi raggiunse da lontano, chiamando il mio nome.

Feci per risponderle, quando una mano di pietra mi tappò la bocca da dietro. Provai a divincolarmi, con l'unico risultato di far serrare la morsa di pietra del mio assalitore finché le mie costole non protestarono.

Quanto alla creatura dagli occhi gialli di fronte a me, essa mi diede le spalle per fuggire. Prima che scomparisse tra i cespugli, ne distinsi chiaramente la sinuosa e alta cresta che le troneggiava sulla schiena.

"Silenzio, umano!" ordinò una voce femminile alle mie spalle, "Smettila di contorcerti o io cesserò di essere delicata!"

La fisionomia era quella di una normale ragazza, lo potevo sentire, ma la pelle era dura e liscia. Possedeva una forza innaturale, il che rese tutto un po' meno umiliante e più terrificante.

La cosa mi sollevò i piedi da terra senza apparente sforzo e iniziò a correre all'interno del bosco a velocità sovrumana. Rametti mi graffiarono e i tronchi di albero si confusero in una macchia sfuocata. Non riuscivo a respirare a causa della velocità, o forse della stretta soffocante e il mio sguardo si riempì di stelline finché, lentamente, non persi i sensi.

***

Il sole era già sorto e doveva essere mattina inoltrata, ma, come mi destai, la corsa della mia rapitrice stava rallentando. Assurdo quanto silenziosamente riuscisse a muoversi con i piedi di pietra che si ritrovava! Fu l'impatto con il terreno (in particolare un sasso nelle costole) a svegliarmi completamente, ricordandomi che Madama Sfortuna non si scordava mai delle nostre quotidiane chiacchierate.

"Siamo arrivati, sacco di carne." mi informò la ragazza di pietra. Tossii nel tentativo di riprendere fiato, quindi balzai in piedi, prima di essere rispedito a terra da un calcio nell'interno del ginocchio destro. "Sta giù!"

Mi volsi per vedere il suo viso, i cui armonici tratti, rilucenti contro i raggi del sole del mattino, erano contorti dal disprezzo.

"Aspetta..." iniziai, soffocando un gemito sofferente "Chi sei tu? Perché... indossi dei jeans sotto un vestito da prost... voglio dire... un abito?"

D'accordo, avrei anche potuto porre una domanda più idiota, ma ci sarebbe voluto impegno. Non era ciò che pianificavo di dire all'inizio, ma il dolore e quell'outfit inaspettato e provocante in uno spirito della terra mi avevano distratto. Voglio dire, era in pelle nera e le aderiva come un guanto, lasciando scoperte ampie zone di... ehm, roccia.

"Che hai detto, umano!?"

Si scostò, infastidita dalla luce diretta dal sole, per entrare nell'ombra fornita da un bosco di latifoglie e conifere - conifere!? All'orizzonte scorsi - con mia incredulità e orrore - montagne. L'altezza delle cime non era tale da escludere che fossero Appennini, ma avevo il brutto presentimento che non lo fossero affatto. Dove accidenti eravamo!?

"Era solo una domanda! Non che abbia qualcosa contro i jeans... sarai comoda così, lo capisco! Domanda più pressante... quelle sono le Alpi...!? Ehi!"

Gli occhi verdi della sconosciuta fiammeggiarono.

"Non molte ore fa ti ho ordinato di tacere! Ritieni forse che qualcosa sia cambiato!?"

Non ebbi che una frazione di secondo per sollevare la mano, mettendo in conto di frantumarmi le ossa contro lo schiaffo di pietra della mia rapitrice. Ciò che nessuno dei due si aspettava fu che il marchio sulla mia mano si illuminasse... o meglio, diventasse incandescente. Fu sprigionato un calore intenso che fece tremolare l'aria e carbonizzò i fili d'erba e le piantine di mirtilli più vicine.

La ragazza mosse qualche passo indietro, non sopportando la luce e il calore, e imprecò tra sé in una lingua morta. Wow. Cosa. Stava. Succedendo? Il marchio mi aveva dato un superpotere!?

Il bagliore e il calore scemarono in pochi secondi, lasciandomi spossato. Una scossa di terremoto fu accompagnata da un rumore di rottura poco distante. Una manciata di istanti dopo, una serie di terrificanti figure assai più massicce e deformi emersero dal bosco.

"Cosa hai trovato, figlia mia?" domandò un Aesir con voce cavernosa; "Per quale ragione hai preso l'umano e perché è ancora vivo?"

La ragazza chinò il capo di fronte ad un mostro di pietra completamente nudo, che le somigliava solo nell'incarnato (per fortuna di lei).

"Diceva di parlare per Naay degli Atridi, padre."

Oh oh. Avevo la netta sensazione di aver compiuto un'idiozia di proporzioni apocalittiche.

Uno degli esseri ringhiò, abbattendo distrattamente un arbusto con il dorso della mano. Riluceva al sole come fosse stato composto da quarzo. "E tu gli hai creduto, sciocca mezzosangue? L'Atride non manda messaggeri."

Ora incombeva su di lei, al chiaro scopo di intimidirla.

"L'Atride... mi ha davvero mandato a dire qualcosa, volete sentirla?" mi azzardai a mormorare, terrorizzato. Una decina di sguardi irati mi trovò. Senza preavviso, una rocca appuntita fu sollevata da terra e saettò sino alla mia gola.

"La domanda non era rivolta a te, mortale." mi apostrofò quello che aveva parlato per primo; "Mia figlia parlerà per sé stessa."

Ero incredulo, eppure stavolta non mi azzardai a emettere un fiato, concentrato com'ero sulla pietra che levitava e mi graffiava il collo. Come indietreggiai, essa mi seguì, per poi accelerare e costringermi a muovere un altro passo indietro. Mi bloccò il tronco di un albero che la mia schiena colpì. Ero intrappolato.

Dell'energia termica che mi aveva salvato prima, nessuna traccia. Il marchio era freddo, ora.

"Non agire in modo avventato, padre!" replicò inaspettatamente la ragazza "Questo non è un umano qualsiasi. Non hai percepito l'energia che si è sprigionata da lui? Può esserci di maggiore utilità da vivo!"

L'irritazione abbandonò l'espressione dell'Aesir, il quale si avvicinò per ispezionarmi dalla testa ai piedi. L'alito che mi investì, causandomi un colpo di tosse, era l'incubo di qualsiasi dentista. Realizzai dove fosse il suo naso bitorzoluto soltanto quando questi mi annusò approfonditamente.

"Ma tu guarda... ti segue il sentore del fuoco, umano. Naay degli Atridi deve avere molta stima di te. Forse... piangerebbe la tua morte, non credi?"

Oh, merda!

Prima che potessi articolare parola, la ragazza sospirò con aria frustrata.

"Padre, ripetimi come ha fatto quella mezzosangue a divenire la portavoce di Atris? Eh?"

La domanda inaspettata ed evidentemente retorica lo fece esitare, a sufficienza perché lei si fornisse una risposta.

"Perché, a dispetto del sangue impuro, è efficiente. Lei pensa prima di agire!" storse il labbro, come se non potesse credere di ciò che le usciva di bocca. "E crede che noi Aesir della crosta non siamo in grado di fare altrettanto! Dimostrale che si sbaglia e ascolta il mio piano, per favore!"

L'essere inclinò lievemente il capo, distogliendo i terrificanti occhi di pietra dai miei.

"Non sono interessato. Quest'umano ti ha mancato di rispetto, figlia. Ha rischiato di bruciarti!"

Schiusi le labbra per ribattere, prima di realizzare che probabilmente avrei solo peggiorato le cose. Fortunatamente, la sconosciuta fermò suo padre ancora una volta.

"Sì, beh... io l'ho rapito, padre. Lascia che sia io a deciderne il destino. Ho una proposta per la nostra gente."

"L'idea di tua figlia di ritrovarci lontani dagli Atridi si è rivelata sensata." commentò uno dei suoi pari, grattandosi una delle sue corna. "Io sono interessato ad ascoltarla, Ramier."

Ramier emise un sordo ringhio, al che io trattenni il fiato, disgustato. Ah, quell'alito!

"Molto bene, Rianne, ti ascolto. Illustraci cosa intendi fare con l'umano. Ti avverto, farai bene a non farci perdere tempo."

Un sorriso soddisfatto si dipinse sul volto di Rianne. Prima ancora che iniziasse a parlare, fui certo che non mi avesse risparmiato per bontà d'animo.

"In pochi erano consci della natura della missione di Naay figlia di Atris in superficie, mentre altri ne sono venuti a conoscenza soltanto di recente, per bocca di mio padre. Chi tra noi ne era consapevole ha concesso alla mezzosangue di calpestare la superficie, vivendo come un'umana."

Serpeggiarono numerosi versi di repulsa e astio. In quell'istante, notai che molti altri esseri di pietra si radunavano dal bosco, ansimando come se avessero corso per chilometri, per poi rallentare e avvicinarsi con circospezione. Ognuno era leggermente differente dall'altro, per materiale e forma, ma tutti erano umanoidi, sebbene taluni possedessero più di due braccia.

"Questo perché..." proseguì Rianne, alzando la voce, "... eravamo convinti che fosse nel nostro interesse lasciare che ritornasse spontaneamente da dove proviene, a fare rapporto a sua madre Atris. D'altro canto, la mezzosangue, a dispetto di ogni cosa, è ben nota per il proprio onore e non distorcerebbe a tal punto la realtà. Ora, però, sono trascorsi quattro anni... troppi!"

"Già! Che cosa aspetta!? Cosa altro potrebbe mai vedere!?"si lamentò un Aesir arrabbiato, del colore del viola intenso della pietra Agata. Questo portò a un deciso brusio, in cui distinsi due accuse in particolare:

"Quei miseri sacchi di carne stanno distruggendo le nostre case, spostando i nostri fiumi, uccidendo con il cemento la vita!"

...e...

"Osano rimodellare la natura a loro uso e consumo e avvelenano il terreno e l'acqua!" uno di loro soffiò "In cento anni hanno sepolto il mio territorio sotto le loro... strade e case!"

Di colpo, la serietà del problema mi si delineò chiaramente. Iniziai a ricomporre un puzzle terrificante. L'estremo ecologismo di Naay. La famosa missione che la tormentava. Gli eventi cataclismatici in crescita in tutto il globo, di cui mi ero informato, chiedendomi se ci fosse una connessione.

Eccola, era di fronte ai miei occhi.

Si parlava tanto del fatto che la Terra prima o poi si sarebbe ribellata ai maltrattamenti del genere umano. Il momento era finalmente giunto... in modo assai più letterale di quanto chiunque avrebbe mai sospettato.

Ad un ringhio sonoro del padre di Rianne, calò il silenzio.

"Grazie, padre." bofonchiò la ragazza di pietra, monopolizzando nuovamente il discorso. "Avete ragione, fratelli e sorelle. Naay degli Atridi non è rimasta in superficie per adempiere alla missione, ma per proteggere i mortali assassini a cui è tanto affezionata! Costui ne è la prova: un umano benedetto da poteri oltre la sua comprensione, in grado di respingere l'attacco di un Aesir. Che capisce la nostra lingua... guardatelo!"

Mi indicò, attirando decine di sguardi ostili e increduli su di me. "Chiaramente l'Atride vuole rimandare la sua discesa nel Mantello per prolungare questo stallo. Lo vogliamo tollerare?"

"NO!" esplosero gli Aesir, iniziando a battersi il petto con furia. Fu una scena impressionante e il frastuono generato mi costrinse a tapparmi le orecchie, con terrore.

Fu con shock che distinsi una figura famigliare, che ascoltava il discorso in disparte. Incrociai lo sguardo di Irsas, l'essere incontrato sul monte Cerreto. Se io feci del mio meglio per mascherare la sorpresa, lui spalancò gli occhi verdi e sottili con riconoscimento.

Ma mi avrebbe aiutato? Ne dubitavo... che motivo avrebbe avuto?

"Allora attiriamo l'Atride da noi usando l'umanità che ama tanto e costringiamola a scegliere la nostra gente! Con gli spiriti del Mantello dalla nostra parte, i nostri avvelenatori saranno spazzati via!" gridò Rianne, come un'infervorata.

Il consenso, questa volta, fu tanto rumoroso che le mie costole ammaccate protestarono, da quanto vibravano. Quindi, la pazza furiosa osservò interrogativa suo padre, il quale le riservò un sorriso di approvazione.

Oh, no, Naay... pensai, straziato. Tutto questo era colpa mia... colpa della mia famiglia.

Cercai con lo sguardo Irsas, il quale non si stava unendo all'esaltazione generica. Al momento, era l'unico a non guardarmi con intenti omicidi. Come schiusi le labbra, quello scosse il capo in un gesto di avvertimento. Qualunque cosa avessi detto per difendere la causa di Naay o dell'umanità, qualunque domanda avessi posto, non avrebbe portato a nulla di buono.

Serrai gli occhi per nascondere la mia disperazione. Io mi ero fatto catturare come un'idiota... ora dovevo scappare prima che accadesse qualcosa di irreparabile.

Era mio dovere impedire a Naay di cedere al ricatto o l'intera Terra sarebbe stata potenzialmente spacciata.


Lo so, nuovo finale ansiogeno, chiedo venia... mi sa che è il mio modus operandi.

Il prossimo capitolo non tarderà ad arrivare, per farmi perdonare! 😊

Buona lettura,

Marti.

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